LETTERATURA DEL TRECENTO – BOCCACCIO

IL TRECENTO

Giovanni Boccaccio

La vita – Il terzo grande “trecentista” è Giovanni Boccaccio, nato probabilmente a Certaldo nel 1313, morto nel 1375. Contemporaneo e amico del Petrarca, con lui condivise il culto dei classici latini, e come lui contribuì ad avviare il grande movimento culturale dell’Umanesimo.

La fama del Boccaccio è, indubbiamente, tutta affidata alla sua opera di novelliere: il Decameron è un monumento della prosa italiana, le 100 novelle che lo compongono sono state definite la “commedia umana”, in contrapposizione alla “divina”, di Dante (di cui Boccaccio fu grande ammiratore) e rappresentano la pittura realistica, eseguita con mano maestra da un grande “moralista”, della società e della storia dell‘epoca. Anche l’opera di “umanista” e di “erudito” (uomo colto, istruito in varie materie) del Boccaccio fu di notevole importanza; e non va trascurata nel tracciare un disegno della personalità artistica e umana del certaldese.

Figlio illegittimo di un ricco mercante fiorentino (Boccaccio di Chellino), Giovanni fu accolto nella famiglia del padre e inviato, ancora giovane, a Napoli perché facesse esperienza nella professione di mercante. Ma la vita dell’uomo d’affari gli era odiosa, e Boccaccio ottenne dal padre di poter cambiare: provò così a studiare il diritto, che però ben presto gli venne a noia. La sua passione era la poesia, la letteratura, lo studio dei classici latini e degli scrittori in volgare italiano. Dopo avere sprecato dodici anni nelle attività che non amava, poté alfine dedicarsi in pace ai diletti studi: da solo, senza aiuto di insegnanti, si fece una cultura vasta e profonda, anche se con qualche lacuna.

Visse A Napoli, nell’ambiente brillante della Corte di re Roberto d’Angiò; in un clima di vita gaia e raffinata, dove accumulò esperienze che saranno più tardi preziose per la sua opera di scrittore. Amò, sembra, una Maria dei conti d’Aquino, figlia naturale di re Roberto, e la celebrò col nome di Fiammetta. Fra gli studi e gli amori trascorse vari anni, finché fu costretto a tornare a Firenze, richiamatovi dal padre, che aveva avuto gravi dissesti finanziari.
.Poco si sa, della vita del Boccaccio tra il 1340 e il 1350; certo fu in ristrettezze economiche, e si sa che servì il Comune di Firenze, che lo utilizzò anche come ambasciatore. Nel ’50 conobbe il Petrarca, stringendo con lui una cordiale amicizia. Nel 1362 ebbe una grave crisi religiosa; decise perfino di dare alle fiamme tutte le proprie opere, di abbandonare gli studi e di dedicarsi interamente a una vita di devozione. Da così fieri propositi lo distolse, fortunatamente, proprio il Petrarca, dimostrandogli come solo gli ignoranti e gli sciocchi potevano trovare un contrasto insanabile tra la fede religiosa e gli studi umanistici e poetici.

Gli ultimi anni del Boccaccio furono rattristati dalle malattie e dalla povertà. Solo nel 1373 il Comune di Firenze gli affidò il compito di leggere e commentare pubblicamente la Divina Commedia; Boccaccio eseguì l’incarico per i primi 17 canti dell’Inferno, poi, essendo troppo malato, si ritirò in Certaldo, dove morì nel 1375.

Opere minori – Prima del Decameron Boccaccio scrisse, in volgare: Filocolo.., Filostrato.., Teseida.., Ninfale d’Ameto.., Amorosa Visione.., Elegia di Madonna Fiammetta e il Ninfale Fiesolano, poema in ottave (la più notevole delle opere scritte prima del Decameron).

Dopo il Decameron, che fu portato a termine negli anni tra il 1348 e il 1353, scrisse ancora il Corbaccio, un’amara satira contro le donne. Inoltre compose, sempre in italiano, delle Rime (di non grande valore); il già citato Commento ai primi 17 canti dell’Inferno, e un Trattatello in laude di Dante, che è una breve “vita” del grande poeta.

Infine, vi sono opere e latine, tutte scritte nell’ultimo ventennio della vita. Le principali sono: De casis virorum illustrium (Dei casi degli uomini illustri.), De claris mulieribus (Delle donne illustri) e Degenealogiis deorum gentilium (Della genealogia degli dei pagani), una vasta raccolta di notizie di mitologia  classica.

 Il Decameron – È una raccolta di 100 novelle, narrate a turno, per dieci giorni, da dieci giovani (tre uomini e sette donne) che si sono rifugiati, per sfuggire alla peste di Firenze, in una villa di campagna. Ogni “giornata“ di 10 novelle è dedicata a un argomento, che viene variamente svolto da ognuno dei narratori.

Ciascuna delle 100 novelle è, così, un racconto compiuto; ma tutte sono inserite nella “cornice”, costituita dal racconto riguardante i dieci giovani narratori, la loro vita nella villa, la scelta dell’argomento per la giornata successiva, ecc.

L’interesse del Boccaccio è tutto rivolto al “mondo degli uomini”; è un interesse per la vita, per le vicende varie dell’umanità, realisticamente considerate e descritte.
Molti, e variamente intonati, sono quindi i motivi che si intrecciano nell’opera boccaccesca, dal comico al drammatico al tragico, all’avventuroso, al cavalleresco. Ma due sono, a ben guardare, gli spunti che più accendono la fantasia e attraggono l’interesse dell’autore; il primo è la “materia amorosa“, e cioè la rappresentazione della forza della passione d’amore, descritta in tutti i suoi aspetti: di passione sublime e anche tragica, come pure di gioioso e spesso licenzioso abbandono alla libertà dei sensi. Il secondo, è il “culto della intelligenza”, la esaltazione cioè della intelligenza dell’uomo, in tutte le sue manifestazioni: dalla nobile e cavalleresca gentilezza di costumi, alla battuta spiritosa e alla destrezza del cortigiano, alla astuzia infernale del delinquente. E naturalmente, accanto all’esaltazione dell’intelligenza, la contrapposta derisione della umana sciocchezza: la inimitabile galleria degli stolti, vittime predestinate dell’imbroglio e della beffa. Il tutto, sorretto e dominato da uno stile sicuro, sempre aderente alla situazione e al carattere del personaggio; e da una enorme capacità di osservazione psicologica, di descrizione della realtà e di potenza narrativa

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