LETTERATURA DELL’UMANESIMO

Luigi Pulci (Firenze, 15 agosto 1432 – Padova, 11 novembre 1484) è stato un poeta italiano famoso soprattutto per il Morgante, storia epica e parodistica di un gigante che convertito al cristianesimo si mette al seguito di Orlando.

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Con il termine Umanesimo si designa il movimento intellettuale che precedette e accompagnò la nascita del Rinascimento, coprendo l’arco di circa un secolo (dalla fine del 1300 al 1492, anno di morte di Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico e data della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo).
L’etimologia del vocabolo riporta alla parola latina humanitas, intesa nel senso individuato da Petrarca: riscoperta, studio e analisi di tutto ciò che riguarda l’uomo, nella sua accezione naturale, concernente cioè l’individuo come essere storico, civilmente e socialmente impegnato. Questa nuova valutazione dell’uomo e del suo operare terreno era già presente in embrione in alcuni scrittori precedenti (ad esempio Boccaccio), ma acquistò un’effettiva rilevanza solo nella seconda metà del Trecento, sino a divenire l’elemento distintivo di un movimento a carattere nazionale.
Quest’ultima affermazione può apparire in contraddizione con la realtà italiana dell’epoca, caratterizzata dal frazionamento politico delle Signorie e dei Principati. Infatti, benché la penisola italiana fosse ancora il tramite principale dei traffici con il Medio Oriente, cominciava a manifestare i primi segni di quel disagio economico, e soprattutto politico, che l’avrebbero portata alla decadenza: Signorie e Principati erano in continua guerra tra di loro, senza mai trovare un’effettiva stabilità; le dinastie signorili e principesche non riuscivano a radicarsi nella società e perciò restavano espressione di interessi particolari; infine nessuno Stato era in grado di emergere sugli altri e, solo dopo un periodo di continue e mutevoli alleanze, Lorenzo de’ Medici poté porsi alla guida della cosiddetta “politica d’equilibrio”, che impedì che la situazione precipitasse fino al 1494. La stessa Chiesa stava trasformandosi in uno Stato assoluto e la figura del pontefice tendeva a divenire quella di un sovrano rinascimentale, pronto a spogliare il patrimonio ecclesiastico per ingrandire quello della propria famiglia e renderla in grado di assumere cariche e ruoli politici importanti, in competizione con le potenze italiane (nepotismo). Nel frattempo in Europa si andavano rafforzando le prime monarchie assolute unitarie, che presto manifesteranno le loro istanze espansionistiche, mirando alla conquista degli Stati italiani, più deboli e piccoli, per porre fine alla possibilità di unificazione e di indipendenza dell’Italia.
Nonostante questa difficile situazione politica, l’Umanesimo riuscì a imporsi come fatto culturale nazionale. La riscoperta del latino, unita alla rilettura dei classici greci, rivelò la necessità di elaborare una cultura che andasse oltre i particolarismi della lingua volgare. Sorgeva infatti l’esigenza di recuperare un patrimonio spirituale e letterario creato dalle precedenti generazioni. In particolare la scoperta dei Greci si legò con il riesame degli scritti del filosofo Platone e con la presenza in Italia di dotti greci (come Giorgio Gemisto Pletone), che tennero lezioni in tutt’Europa e stimolarono la traduzione in latino delle opere platoniche.
Uomini dell’amministrazione fiorentina come Coluccìo Salutati (1331-1406) e Leonardo Bruni (1370 circa -1444) rivendicarono infatti l’importanza fondamentale dei classici nella formazione dell’individuo. Inoltre si posero come degli intellettuali che, protetti dal principe, si davano il compito di modificare radicalmente la società e di creare un’organizzazione culturale nuova. Per facilitare l’incontro tra le persone erudite si costituirono cenacoli di dotti e associazioni culturali con interessi comuni. Cosi nacquero a Napoli l’Accademia Pontaniana, a Roma l’Accademia Romana e a Firenze l’Accademia Platonica, fondata da Marsilio Ficino (1433-1499) nel 1463 e protetta da Lorenzo il Magnifico. Alla base dell’attività delle Accademie vi erano la discussione e la lettura dei classici e la produzione di opere ad imitazione dei modelli della latinità e della grecità.
Non solo si potenziarono le Università e si crearono nuovi centri per l’insegnamento, promuovendo lo studio della letteratura pre-medievale, ma si cercò anche di ampliare gli orizzonti culturali – fino ad allora limitati – riesaminando quei codici antichi rimasti inesplorati, sepolti nelle biblioteche dei conventi e dei monasteri d’Europa. Tra ì più accaniti e fortunati ricercatori spicca la figura dell’umanista fiorentino Poggio Bracciolini (1380-1459).
La sete di sapere generò strumenti adeguati a soddisfarla; si sviluppò così una nuova scienza: la filologia, che implica analisi, confronti, studio della lingua, per ricostruire l’opera nella sua stesura più vicina all’originale. Tale ricerca rivelava il bisogno dell’intellettuale umanista di arrivare alla verità, senza più accontentarsi delle apparenze e accantonando tutti i pregiudizi di origine medievale. In questo modo sorse una mentalità rigorosa e scientifica prima sconosciuta; inoltre la valutazione e la selezione dei documenti comportarono da parte degli umanisti l’esercizio di un autentico spirito critico del tutto nuovo.
La città di Firenze fu un centro particolarmente vivo, ove l’attività politica e l’impegno civile divennero tutt’uno con la nuova produzione letteraria. La figura di Lorenzo il Magnifico, prodigo mecenate, fu circondata dagli ingegni più validi. Oltre agli scrittori già citati, occorre ricordarne altri che, pur imitando i Greci e i Latini, posero al centro della loro riflessione l’uomo come costruttore dell’universo: Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), Lorenzo Valla (1405-1457), Giovanni Pontano (1422-1503) e Leon Battista Alberti (1404-1472), trattatista anche in volgare, ma soprattutto architetto e teorico dell’architettura e della pittura. Altri autori scelsero di scrivere in lingua volgare, meno codificata in generi e norme precisi, che permetteva di avere un pubblico più vasto.
In particolare acquistò spazio la poesia, ora con tendenze popolareggianti, ora raffinata, ora imitazione dei poemi cavallereschi, sempre redatta in volgare fiorentino. Maestri in questo genere letterario furono Lorenzo’ de’ Medici, poeta e letterato, oltre che valente statista (Nencia da Barberino e i Canti carnascialeschi, Luigi Pulci (1432-1484), autentico letterato cortigiano, autore del poema cavalleresco Il Morgante; Agnolo Ambroginì detto il Poliziano (1454-1494), dotto umanista, che scrisse l’esempio più perfetto di poesia in volgare: le Stanze per la giostra di Giuliano de Medici (1475-78); Matteo Maria Boiardo (1441-1494), autore del poema in ottave Orlando innamorato.

Un gruppo di umanisti alla corte di Lorenzo il Magnifico.
Da sinistra: Cristoforo Landino, Marsilio Ficino, Agnolo Poliziano, Gentile de Becchi

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