FILOSOFIA – LA SCUOLA ELEATICA

LA SCUOLA ELEATICA

Troviamo assai accentuata l’esigenza unitaria, nella spiegazione della realtà, presso i filosofi eleati, per i quali la molteplicità e la mutabilità delle cose è semplice apparenza, e l’unità e l’immutabilità la loro vera essenza. Questa è nascosta alla conoscenza sensibile, ma è palese a quella razionale. Si accentua pertanto un doppio modo di vedere e di valutare la realtà, come pure di intendere la conoscenza. La Scuola prende il nome da Elea, città della Magna Grecia sul versante tirrenico.

SENOFANE DI COLOFONE, vissuto verso il 550 a. C., costretto a lasciare la patria, venne in Sicilia e poi si stabilì a Elea. La sua filosofia muove dalla critica alla concezione antropomorfica e politeistica della divinità, concezione che lega la divinità all’ imperfezione e alla caducità degli esseri molteplici della natura. Dio deve essere inteso come uno e assoluto.
Ogni altro essere è relativo, particolare, determinato. Inoltre Dio solo è vero essere, perfezione e pienezza di essere, unica sostanza in cui tutto l’universo, appaia a noi o non appaia, si risolve; le differenze e le trasformazioni vi si neutralizzano e annullano, superate. Come si vede, l’antinomia dell’essere e del divenire dell’uno e del molteplice, è risolta in favore completo dell’essere e dell’uno.

PARMENIDE DI ELEA visse intorno al 500 a. C., diede leggi alla città nativa e compose lui pure, come fecero quasi tutti i filosofi di allora, un poema intorno alla Natura. La sua filosofia esercitò grande influenza su Platone. Egli accentua la posizione unitaria e razionalistica di Senofane; anche per lui i fenomeni molteplici e mutevoli sono illusioni dei sensi; l’essere vero, uno, immutabile, eterno è oggetto della ragione.
Parmenide arriva a identificare l’essere col pensiero e ad affermare che il divenire, attribuito all’essere assoluto ed eterno, è contradditorio e inconcepibile; quanto è proprio del tempo, come appunto è il divenire, non tocca l’essere. Eraclito considerava lo “assoluto” spiegantesi nei tempi e negli spazi; Parmenide considera tempi e spazi risolti nello “assoluto”.
Così, mediante la dialettica di essere e divenire, si delineavano in Eraclito e in Parmenide le prime esplicite sintesi dei due termini; ma erano sintesi in cui uno dei termini tendeva troppo a prevalere sull’altro. Però, benchè Eraclito preferisse guardare nell’unità la molteplicità, non era meno assetato di “assoluto” di Parmenide, che vedeva nella molteplicità l’unità.

Tutto il simbolismo fenomenistico di Eraclito, che però è parte secondaria anche nel suo sistema, non ha più ragion d’essere in Parmenide, il quale, ripudiata la sensazione e assunta la sola ragione come criterio di verità, e giunto perciò all’identità di pensare e di essere, non può finire che risolvendo tutto nel pensiero assoluto identico con se stesso: vera, unica, perfetta Idea (Verità) e insieme vera, unica, perfetta Realtà (Essere).

ZENONE DI ELEA, discepolo di Parmenide, fu uomo di grande carattere. Morì vittima d’un tiranno della città. Fu il polemista della Scuola, di cui sviluppò la dottrina fino alle ultime conseguenze, con una dialettica tanto ardita da diventare paradossale. Sono famose le sue argomentazioni sottili e argute contro la realtà del movimento e, in generale, contro la realtà della materia. Se la materia esistesse, si dovrebbe poter dividere all’infinito; ma come può un essere finito, quale concepiamo sia la materia, risultare di un numero infinito di parti? Nemmeno il tempo è veramente reale; infatti esso si compone di istanti, ognuno dei quali è indivisibile e senza durata; come può risultarne il tempo, che è durata?

Il divenire è pure illusorio, in quanto implica mutamento; ora, il mutare equivale a non essere più ciò che qualcosa era prima, senz’essere ancora ciò che sarà; si riduce a inesistenza di realtà.

Così pure il movimento nello spazio è ammissibile come apparenza, non come realtà. Zenone lo dimostra con alcuni argomenti, dei quali eccone tre: (la dicotomia): Per andare da un punto a un altro bisogna anzitutto percorrere la metà dello spazio nella metà del tempo che occorre, ma prima bisogna percorrere la metà della metà dello spazio nella metà della metà del tempo, e così all’infinito, il che equivale a non venirne mai fuori e quindi, in realtà, a essere sempre dove si era. (Achille e la tartaruga): Il più lento, postosi davanti e partito insieme, non sarà mai raggiunto dal più veloce, poichè è necessario che l’inseguitore giunga prima là, donde il fuggente è partito, si che questi, quantunque più lento, necessariamente precederà l’altro sempre di qualche tratto. (la freccia): La freccia che vola è immobile; infatti, in qualunque punto (e sono infiniti) della sua traiettoria la consideriamo, ve la troviamo ferma, e così il suo preteso movimento non sarebbe che una successione infinita di fermate (riposi); il che è assurdo.

La dialettica di Zenone, per quanto paradossale, colpisce chiunque voglia spiegare l’essenza della realtà solo mediante cambiamenti di rapporti nello spazio e nel tempo, vale a dire sulla sola base della molteplicità e del divenire, e l’ammonimento che ne viene è la conferma della dottrina di Parmenide, che cioè bisogna porre la vera realtà in una sfera superiore al mondo sensibile dello spazio, del tempo e del movimento: mondo, questo, che per sè non si giustifica, essendo pieno di contraddizioni e di assurdità. La quale considerazione, com’è chiaro, ha anche un significato religioso e morale.

Altro celebre polemista eleate fu MELISSO DI SAMO, vissuto circa il 450 a. C., e distintosi pure come uomo di stato e di guerra. Anche per lui l’essere è eterno, perchè l’essere non può non essere; infinito, perchè non potrebbe essere limitato che da “essere”, cioè da se stesso; uno, perchè infinito e identico sempre a se medesimo; immobile, perchè mancando un vuoto, cioè un non essere, in cui muoversi, gli manca la possibilità di farlo. La concezione è rigorosamente razionale, ma ne risulta evidentemente una realtà irrigidita. E l’esigenza del divenire si ripresenta.

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