EPICURO – Il prevalere dell’interesse etico

 EPICUREISMO

Il prevalere dell’interesse etico

EPICURO nacque a Samo nel 341 a. C. Studiò specialmente Democrito e Aristippo. Nel 306 venne ad Atene, dove aperse una scuola di filosofia e di esempio di vita. Ebbe discepoli numerosi e assai affezionati. Morì nel 270 a. C. Dei suoi molti scritti non ci restano che scarsissimi frammenti. La sua scuola durò fino al quarto secolo d. C.; la sua dottrina si diffuse anche a Roma, dove fu esaltata da un grande poeta, Lucrezio Caro, e praticata da romani colti e raffinati, come Orazio. Oltre Epicuro e Lucrezio, la scuola, come tale, non ebbe altri illustri filosofi; possiamo ricordare, come notevoli rappresentanti, METRODORO di LAMPSACO, scolaro prediletto di Epicuro, ZENONE di SIDONE, che insegnò con grande successo ad Atene fino al 78 a. C. e, in Roma, PLAUTINA, moglie di Traiano, colta protettrice degli epicurei.
Il nome di epicureo acquistò significato spregiativo (come abbiamo visto avvenire per quelli di sofista e di cinico), perchè si considerarono solo alcuni aspetti dell’epicureismo e anche questi nella pratica che ne fecero i tardi seguaci. Epicuro è superiore alla sua fama.
L’epicureo professava il materialismo in fisica, il sensismo in logica, l’edonismo in morale. Dava più importanza a quest’ultima parte, secondo la generale tendenza pratica, seguita, come abbiam detto, dalla filosofia postaristotelica.

FILOSOFIA EPICUREA

a) FISICA – È il materialismo degli atomisti. Tutta la realtà è formata di corpuscoli materiali, inalterabili, dotati di tre proprietà originarie: forma, grandezza, peso. Movendosi nello spazio vuoto, si congregano in varia misura quantitativa e in varia disposizione; da ciò vengono le differenze degli esseri. Epicuro aggiunge un particolare alla teoria democritea della caduta degli atomi. Egli riconosce agli atomi una proprietà, che supera la semplice forza d’inerzia della materia e pertanto si sottrae al determinismo meccanico: è il potere di cambiare, d’un tratto impercettibile, la direzione naturale della caduta, deviando (Teoria epicurea del “clinamen”).

Questa possibilità implica spontaneità e contingenza e apre la via all’attribuzione d’una certa libertà all’uomo, tanto più che l’anima umana, essendo formata di atomi sottilissimi, può fruire, più che gli atomi corporei, di tale potere di deviazione. Può così l’anima umana avviarsi alle regioni serene della saggezza e dell’atarassia.

Quanto agli Dei, il loro intervento nelle vicende del mondo, anzi degli infiniti mondi, è un’ipotesi non necessaria; di più, essendo essi formati di atomi molto fini, aleggiano incuranti e beati negli spazi intermondiali. Nessun timore di loro castighi, tanto più che la morte, sciogliendo il nodo degli atomi del corpo, scioglie anche quello degli atomi dell’anima e l’individuo, finisce di esistere sotto qualunque forma.

b) LOGICA – Coerentemente al professato materialismo, Epicuro considera la sensazione come l’unica fonte della conoscenza. Egli perfeziona, per così dire, la teoria gnoseologica degli atomisti, dicendo che più percezioni simili, fissandosi nella nostra memoria, vi lasciano un’idea generale, che serve di rapido mezzo di riconoscimento per nuove percezioni (Teoria delle anticipazioni o prenozioni). Però anche queste idee generali si fondano, come è chiaro, sulla sensazione. Pertanto il criterio della certezza è ricondotto all’evidenza immediata dei sensi.

c) ETICA – Chiamare edonistica l’etica di Epicuro non è del tutto esatto, se si intende la parola nel significato lasciatole dai cirenaici e specialmente in quello moderno, in cui edonismo ed epicureismo son diventati sinonimi. Certo l’etica di Epicuro, parte principale della sua filosofia, è fondata sul materialismo e sul sensismo, ma possiamo dire che, anche in questo campo dell’etica sensistica, il filosofo di Samo ha superato le premesse.
Secondo lui, l’uomo, liberato dal timore degli Dei, ma anche dalla credenza nel cieco destino, trova la felicità nel vivere secondo la sua natura. I sensi, fonti del conoscere, gli indicano anche il criterio dell’agire.
Si tratta di soddisfarli. Ma come nella conoscenza si passa dalla sensazione a tutta un’elaborazione dei dati sensibili, così nell’attività pratica si passa a una corrispondente elaborazione dei richiami dei sensi: l’una e l’altra elaborazione avvengono mediante la ragione, facoltà superiore dell’anima nostra, dotata, più che qualunque altro gruppo di atomi, del potere di deviare dalla linea tracciata dal fato: ciò che costituisce l’umana libertà.

In base a questa sottile teoria, Epicuro può ben dire che il piacere è il primo bene e il primo criterio di valutazione, ma può anche concludere che il bene sommo è la serena indipendenza dalle circostanze esteriori. La via gli è aperta per più larghi sviluppi, che lo avvicinano in più punti ad altre teorie morali. Così passa dall’edonismo all’ulilitarismo, dalla teoria del piacere immediato, sensibile, fugace, a quella del piacere misurato, ordinato, spirituale, durevole. Così passa a dire che al turbamento, che l’ansia di godere e la stessa presenza del piacere producono, sono preferibili, per ciò che concerne il corpo, l’assenza del dolore e, per quanto riguarda l’anima, la calma e la serenità (Atarassia).

Anzi questo è il vero fine ultimo a cui dobbiamo tendere: e a questo godimento sereno della vita concorrono il vivere appartato, il bastare a se stessi, rinunciando alla famiglia, agli onori, alle pubbliche cariche e, contentandosi del poco, il cercare nella ragione la sanzione della propria condotta, il professare l’amicizia, il conversare con persone fidate, equilibrate, dotte.

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