LA CRISI DELLA FILOSOFIA NATURALISTICA: LA SOFISTICA

LA CRISI DELLA FILOSOFIA NATURALISTICA: LA SOFISTICA

Insufficienza del naturalismo

Il nome di sofista acquistò da Socrate in poi significato spregiativo, perchè a coloro, ai quali si era dato tal nome, si addossò inseguito gran parte della responsabilità dell’ulteriore disorientamento degli spiriti e della decadenza della Grecia, e se ne posero di conseguenza in particolare rilievo alcuni aspetti che potevano sembrare biasimevoli, come la critica spregiudicata delle idee e dei costumi tradizionali, il frequente disputare, non tanto per la verità quanto per il successo, l’aver introdotto l’insegnamento per lucro.

Prima,  sofista era sinonimo di filosofo. La sofistica non fu propriamente una scuola, ma l’espresione di  generale di pensiero; crisi di sviluppo, avvenuta in un tempo in cui il livello culturale di Atene non era molto elevato, e brillante era altresì la sua situazione politica ed economica. Siamo all’indomani delle vittorie sui Persiani, nel secolo di Pericle, di Fidia, e di Polignoto, di Pindaro e dei grandi tragediografi, di Aristofane e degli storici famosi. C’era libertà di pensiero e d’insegnamento, con tutte le conseguenze Atene era una splendida palestra d’ingegni: fortemente sentito il bisogno di cultura, apprezzati l’erudizione, l’esercizio delle abilità intellettuali, la potenza della parola. La genialità greca si spiegava integra, con la soddisfazione dello spirito quale premio maggiore; altri premi: il plauso dei cittadini, gli onori, le cariche pubbliche, la ricchezza, la fama assicurata presso i posteri.

IL PROBLEMA DELL’UOMO

LA  PERDUTA COSCIENZA DELLA ESIGENZA UNITARIA UNIVERSALE

È in questo fervido ambiente storico e culturale che fioriscono e trionfano i sofisti, maestri di scienza e di retorica, divenuti assai numerosi alla fine del quinto secolo a. C. La discordanza dei grandi sistemi ancora in elaborazione, come quello degli atomisti, o sempre vivi e presenti alla classe colta, come quelli degli eleati e degli ionici, portava i sofisti a una naturale revisione critica, alla messa in rilievo dei punti contradditori, a svolgere a volta a volta gli uni o gli altri, a spostare il centro di gravità del pensiero umano e dell’umano interessamento dalla investigazione della natura allo studio dell’uomo.
Tolto così alla verità il solito punto oggettivo d’appoggio e di riferimento, la natura fisica, e non riuscendo a sostituirvene un altro (cosa del resto ben difficile, dato l’atteggiamento assunto, decisamente antidogmatico e frammentaristic0), i sofisti vennero alla conclusione che tutto è vero relativamente e nulla assolutamente. E avendo in tal modo sostituito il relativo e il verosimile all’assoluto e al vero nel campo della conoscenza, dovettero finire col sostituire il bene relativo e soggettivo, che spesso è l’utile e il piacevole, al bene assoluto, nel campo della morale.
Analoghe conseguenze si ebbero nella religione e nella politica.

I sofisti ebbero, dunque, dei demeriti, il principale dei quali fu la perduta coscienza dell’esigenza unitaria universale; ma ebbero il merito d’aver posto in primo piano il problema dell’uomo.

PROTAGORA DI ABDERA, nato circa il 480 a. C., celebre maestro in Atene, amico di Pericle e di Euripide, trasse dal sensismo degli ionici, e specialmente dalla concezione eraclitea del divenire continuo, la conclusione che la verità si risolve nell’esperienza che ognuno si forma per conto suo; e ognuno si forma quell’esperienza che le condizioni soggettive gli permettono. Egli fu l’esponente del pensiero del tempo. Lo espresse con tutta chiarezza, ponendo gli Ateniesi in faccia a loro stessi; sorse in questi, per contrasto e per dispetto, una reazione e Protagora fu bandito dalla città.

Egli, in fondo, rappresentava ed esprimeva la conseguenza ultima della speculazione filosofica antecedente. Lo sforzo di penetrare l’essenza dell’oggetto (la realtà) doveva necessariamente finire nel riconoscere che l’oggetto così studiato non era altro che il risultato dello studio e di chi compie lo studio, cioè dell’uomo. Così Protagora poteva dire: “È l’uomo la misura di tutte le cose“. Queste nostre cose, in se stesse, ci sono? o non ci sono? cosa sono? Sono quel che si vuole e come si vuole. Deciderà ognuno per conto suo; ognuno ha le sue sensazioni, i suoi sentimenti, la sua mentalità, e perciò anche la sua realtà e la sua verità.

Il credere il contrario è un volontario illudersi, o è una passiva e abitudinaria accettazione di convenzioni. Chi se nei libera non è più dominato, ma domina; naturalmente ci vuol dell’abilità a farlo, bisogna vincere dei pregiudizi. Protagora ne insegnava il modo. Era ancora il razionalismo di tutti i filosofi precedenti; salvo che, per l’avvenuto spostamento del centro di gravità dall’oggetto al soggetto, diventava pragmatismo del pensiero e della condotta.

GORGIA DI LEONTINI (Sicilia), contemporaneo di Protagora, recatosi con successo ad Atene a chiedere aiuto durante la guerra peloponnesiaca, vi rimase poi lungo tempo, circondato da grande fama. Se Protagora diceva che tutte le opinioni sono vere, Gorgia osservava che era lo stesso dire che tutte le opinioni sono false, mancando il criterio oggettivo di verità. La certezza diventava un affare tutto personale.

Gorgia non è meno ardito di Protagora nel trarre le ultime conseguenze dalle premesse relativistiche e soggettivistiche della sofistica. Da tali premesse viene che la realtà è fenomenica e senza consistenza; per questa vanificazione dell’essere, si può dunque dire che di “essere” non ce n’è e che, a ogni modo, se qualcosa ci fosse, non sarebbe conoscibile in se stessa; da ultimo, se la doppia ipotesi dell’esistenza e della conoscibilità si verificasse, chi conosce non potrebbe far passare nella conoscenza di altri l’oggetto della propria; n’on ci si può, infatti, esprimere adeguatamente, essendo l’espressione ben altro dalla supposta cosa espressa. Come si vede, è ancora un puntare sull’essere oggettivo, pur già negato: insopprimibile esigenza, questa, dell’oggettività e universalità del conoscere, e motivo interiore di risoluzione, iniziata da Socrate, della stessa sofistica nella teoria del concetto, che si sostituisce alla teoria naturalistica dell’oggetto esterno, della quale i sofisti avevano denunciato l’insufficienza.

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