FILOSOFIA DI ARISTOTELE 

  LA SCUOLA DI ATENE – Raffaello Sanzio (vedi scheda)

Critica del dualismo platonico

ARISTOTELE

Nel celebre affresco vaticano, detto la Scuola d’Atene, Raffaello presenta nel mezzo della scena Platone e Aristotele, ritti l’uno accanto all’altro in solenne colloquio. Platone leva la destra in alto, quasi voglia indicare il mondo divino delle Idee, Aristotele spiana la sua tenendola abbassata, quasi voglia richiamarsi anche alla terra che abitiamo. Sono due gesti significativi, accompagnati da un diverso atteggiamento del viso, da una diversa luce nello sguardo e da una diversa movenza della persona.

Il genio di Raffaello ha “veduto” giusto. Platone tende alle altezze della speculazione filosofica, Aristotele cerca di stare ancorato al sapere positivo. Ambedue studiano la realtà, ma l’uno con animo di filosofo  quasi di poeta e di mistico, l’altro con mente di filosofo e di scienziato. La stessa forma degli scritti lo dice: da una parte abbiamo gli animati Dialoghi di Platone, in cui il rigore del ragionamento si accompagna alla schermaglia dialettica e non di rado alla poesia e al mito, dall’altra i ponderati Trattati scientifici di Aristotele.

Eppure sentiamo anche in Aristotele, malgrado differenze notevoli di manifestazione, lo stesso bisogno filosofico di rendersi della realtà e della vita una ragione superiore: bisogno fatto dei medesimi motivi e materiato della stessa sostanza di quello dei grandi pensatori, che l’avevano preceduto. In lui c’è maggiore sistemazione, anche formale, dovuta all’enorme erudizione, alla robustezza e positività del suo spirito e alla fase di maturità a cui era ormai giunta la speculazione greca classica.

Egli non è quasi più tormentato dal “problema”, crede di essere in grado e in diritto di “fermare il punto”, e lo fa, decidendo, risolvendo, classificando.
Ma, accanto a lui, ecco restare imponente e ammonitore Platone, con la sua filosofia del divino, i cui  motivi ideali rompono le leggi scientifiche di Aristotele; e la filosofia ritrova, sempre risorgente, il mistero della vita e dell’universo.

Nuove teorie si formeranno; però platonismo e aristotelismo saranno ormai presenti e operanti, ora più l’uno ora più l’altro, nello sviluppo della cultura e della civiltà europea.

ARISTOTELE nacque nel 384 a. C. a Stagira, nella Tracia, dal un medico del re di Macedonia. Recatosi diciottenne ad Atene, frequentò per venti anni la scuola di Platone, e già in quel tempo mostrò di discostarsi dalle dottrine del maestro. Alla morte di questo, Aristotele andò in Asia Minore e quindi in patria, dove fu per tre anni educatore di Alessandro il Macedone. Tornato ad Atene, ormai in possesso di. un proprio sistema filosofico, fondò una scuola vicino al tempio di Apollo Licio, che dal luogo fu chiamata Liceo e dall’abitudine, che Aristotele aveva d’insegnare passeggiando, venne detta anche Scuola peripatetica. Insegnò e scrisse attivissimamente, occupandosi di tutto; divenne veramente il “maestro di color che sanno”, come dice Dante. Nel 323, morto allora Alessandro, e il partito nazionalista ateniese, capeggiato da Demostene, rialzando il capo, Aristotele, per sottrarsi all’accusa di empietà che, per colpirlo politicamente, si macchinava contro di lui, riparò a Calcide nella Vicina Eubea, dove morì l’anno seguente.

Aristotele scrisse molto: abbiamo di lui libri di logica, riuniti più tardi sotto l’unico nome di Organo;  libri di filosofia prima, chiamati poi dall’àristotelico Andronico di Rodi libri di Metafisica; libri di etica, come l’Etica Nicomachea, dedicata al figlio Nicomaco, e l’Etica Eudemia, scritta per l’amico Eudemo; libri di psicologia (L’anima), di fisica, di Scienze naturali, di politica, di poetica, di retorica.

CRITERIO FONDAMENTALE DI ARISTOTELE

LA NECESSARIA IMMANENZA DELLA FORMA SOSTANZIALE NELLE COSE

Aristotele fa sue e conferma le principali conclusioni dei pensatori che l’hanno preceduto. Anche per lui, vero sapere e conoscere l’essenza e la came delle cose, e conoscere ciò che ha carattere di necessità e di universalità. Perciò ritiene egli pure che il filosofo non deve fermarsi all’esperienza immediata, ossia alla conoscenza sensibile, il cui oggetto è la moltitudine dei fenomeni particolari (cose e fatti), ma passare a razionali sintesi dei particolari, fino alla. risoluzione di tutte le sintesi in una sintesi suprema, ragione e fondamento di tutte le conoscenze particolari, e il cui oggetto è l’essere perfetto, causa prima di tutti gli esseri particolari. Così per Aristotele il pensiero è riconoscimento dell’essere.
Dall’unità dell’essere assoluto, come da prima causa e fonte, si dispiega la molteplicità degli esseri e dei loro atti nello spazio e nel tempo, e in essa rientra, come a suo fine. Allo stesso modo, dalla sintesi suprema del pensiero filosofico, come da prima ragione, si dispiega la molteplicità delle conoscenze particolari, e ad essa ritorna, come a sua ultima giustificazione.
Così, per Aristotele, il concetto di “essere” si fissa nella concretezza dell’individuo ed è riferibile tanto a Dio quanto agli enti finiti. Realtà non individuali per lui non esistono, come esistono per Platone le Idee. Il dualismo ontologico platonico, quasi parallelismo o correlazione di due mondi, e qui nettamente negato. Intendiamo come vogliamo l’essere, ma è  certo che per Aristotele esso si può e si deve predicare sia di Dio che degli esseri della natura; la diversità di grado non toglie l’identità di concetto, ma fissa la distinzione di valore e, quindi, di realtà individuale.
Pertanto, per Aristotele, il rapporto fra l’Essere e gli esseri è immediato, senza bisogno di riconoscere esistenza propria agli oggetti delle sintesi intermedie, ossia alle idee, che non hanno quindi realtà ontologica propria, ossia separata dalle cose, ma hanno realtà in esse, quali loro forme sostanziali. Così ancora, per Aristotele, queste forme specifiche, immanenti nelle cose, diventano esse direttamente il tramite e la causa della nostra conoscenza degli esseri di cui son forme, quando l’essere umano, dotato di una “forma” superiore e quindi comprensiva, in potenza, di tutte le altre, entra in relazione con quelli, mediante i sensi.
Pertanto è spiegabile l’aforisma aristotelico-scolastico che la verità è adaequatio rei et intellectus. In Dio questa “adeguazione “dev’essere certo perfetta, assolutamente perfetta, cioè di tutto il pensiero a tutto l’essere, pensiero ed essere formanti una sola “profonda e chiara sussistenza”. Il conoscere umano, quando è vero, è anch’esso perfetta adaequatio rei et intellectus, ma relativa, in quanto non c’è mai nè tutto l’essere nè tutto il pensiero, e quindi in ogni atto conoscitivo nostro si realizza un limitato particolare pensiero, cui corrisponde un limitato particolare essere o gruppo unificato di esseri.

È questo il fondamentale criterio ontologico e gnoseologico di Aristotele. Possiamo ora immaginare il Filosofo di fronte alla grandiosa concezione d’una Realtà una eppur molteplice, viva, d’una vita manifestantesi sotto l’aspetto di Essere e di Pensiero assoluto, e di esseri e pensieri relativi, diversi di grado e valore, ma formalmente analoghi. Immaginiamolo nell’atto di studiarne e di renderne le leggi. È ciò che avevano fatto, come abbiam visto, i grandi pensatori prima di lui; è ciò che faranno, come vedremo, i grandi pensatori dopo di lui. Quale contributo portò Aristotele?

LE LEGGI ARISTOTELICHE DEL PENSIERO E DELL’ ESSERE

a) LOGICA – Per l’uomo il pensiero è riconoscimento dell’essere; scoprire le leggi dell’essere è lo stesso che rendersi conto delle leggi del pensiero. Ma come fare questa scoperta e questa resa di conto, dato che si presentano come condizionantisi a vicenda? Riflettendo. Essere e pensiero sono reciprocamente immanenti, ma per ciò stesso anche reciprocamente controllabili. Senza la premessa di questa reciproca immanenza, già avvistata dai filosofi anteriori, non sarebbe possibile dare una qualsiasi legittimazione al nostro conoscere. Essere e pensiero formano un circolo solido; solo per astrazione possiamo considerare a parte il pensiero e considerare a parte l’essere. La logica, che contiene le leggi del pensiero astratto e che perciò è detta formale, ha pieno valore in quanto trova la sua applicazione nella realtà; e trova questa applicazione, perchè è la logica della realtà; se no, vuol dire che è una logica sbagliata e allora i fatti s’incaricano di correggerla; però non sono i fatti che la correggono, ma la logica di quei fatti; cioè una logica ne corregge un’altra e la corregge secondo principî, che sono i principi d’una sola vera logica.
Questi principî sono costitutivi del pensiero, quindi sono spontanei e, per così dire, nativi; rifletterci sopra e mettere in evidenza la loro funzione, come fece Aristotele, è costruire una teoria del pensiero, una scienza della logica, la quale diventa poi metodologia o strumento per l’indagine scientifica. Certi principi sono evidenti per se stessi, come il principio d’identita (un concetto è quello che è ; A è A), il principio di contraddizione (un concetto non può non essere quello che è; A non è non-A), il principio del terzo escluso (un concetto o è o non è). Come si vede, si riducono, in fondo, a un medesimo principio e sono validi anche per la realtà, tanto che a ” concetto” possiamo sostituire “oggetto”, “cosa”, “fatto”.

Inquadrati in questi principî ci sono i concetti delle cose. Essi sono distinguibili in dieci categorie o generi supremi, che rappresentano i più generali modi di essere, ossia gli attributi che si possono predicare delle cose e che sono: la sostanza, la quantità, la qualità, la relazione, il luogo, il tempo, la disposizione, l’avere, il fare, il patire. Esse formano il quadro dell’esistenza e della vita di tutti gli esseri(cose e fatti).
Perchè si abbia un concetto reale, occorre che l’oggetto di esso sia rappresentato sotto una o più di queste categorie. Il concetto è già un giudizio implicito. Mettere in rapporto due concetti è formare un giudizio esplicito; più giudizi, un ragionamento.

Il ragionamento può partire da concetti o giudizi, particolari per concludere a un concetto o giudizio di carattere generale, e allora si chiama induzione; il procedimento contrario, deduzione. Il ragionamento deduttivo tipico è il sillogismo, con cui da un giudizio di carattere generale si deduce necessariamente un giudizio di carattere particolare, purché in essi interceda un giudizio medio, collegato con entrambi. Quel ragionamento, che è detto dimostrazione, mira a chiarire una verità per mezzo della sua causa; la definizione mira a determinare un concetto per mezzo della sua essenza.

Di tutto questo e di quant’altro riguarda le leggi del pensiero, nella sua forma di verità come nella sua possibile falsità, Aristotele ci ha lasciato una trattazione così esauriente da valere anche oggi.

L’ UNIVERSALE – IL CONCETTO DI POTENZA E DI ATTO

IL PRIMO MOTORE

b) METAFISICA – È la scienza dell’essere in quanto tale (puro), prescindendo dalle sue proprietà sensibili. Cosicché anche questa è scienza astratta; riceve la sua concretezza quando si applica a Dio, e allora diventa Teologia, e quando si applica al mondo, e allora diventa Fisica. Come s’è già visto, Aristotele nega l’esistenza separata delle idee; per lui gli universali, o idee, esistono negli individui (come loro “forme”), non fuori di essi.

In quanto “forme”, non possono infatti esistere senza i loro “formati”, nè questi senza di quelle. Per astrazione possiamo pensare al “formabile”, ossia alla materia, che è indeterminata possibilità di accogliere ogni forma. (Non confondiamo questo concetto filosofico di “materia” con quello del parlare comune).
Il passaggio dal possibile al reale si fa per mezzo del movimento. La supposta materia è mera possibilità,
pura “potenza”. Il ricevere una “forma” è l’attenuarsi di un ente. Ogni ente quindi è l’atto di passaggio dalla possibilità alla realtà; ecco perchè ogni ente è vivo e in movimento, e tutta la realtà è vita e moto; ma ecco anche perchè ogni ente è morta e grave conseguenza di questa profonda concezione aristotelica della potenza e dell’atto!

Applicata a Dio, cioè all’Essere per sè, questa teoria perde il suo significato; ma, per contraccolpo, fa risalire il concetto di Dio, e il Concetto di Dio fonda il valore della teoria, legittimandone l’applicazione al mondo: essendo, infatti, Dio, non possibilità di essere, ma l’Essere, ne viene che esso è puro alto, “forma” suprema attuata in se stessa, motore immobile, causa prima, fine ultimo: tutte qualifiche a lui attribuibili giustamente in proprio: e, rispetto al mondo, egli è veramente, come dice l’aristotelico Dante, “Colui che tutto move”, la cui azione gloria, pur essendone distinto,

“Per l’universo penetra e risplende
In una parte più o meno altrove”.

ALTRE DOTTRINE DI ARISTOTELE

c) FISICA – È la scienza della realtà corporea e delle sue condizioni, come la sostanza, il moto, lo spazio, il tempo. Aristotele concepisce l’universo geocentricamente: nove sfere concentriche, in cui sono fissati gli astri, mosse dal Motore immobile (“Colui che move il sole e l’altre stelle”) intorno alla terra.
L’universo, che Aristotele concepisce come finito, è composto della parte celeste, con gli astri formati di sostanza pura e incorruttibile (etere) e della parte terrestre, i cui esseri sono corruttibili.
Nella sostanza terrestre si riscontrano i quattro elementi semplici e primordiali: terra, acqua, aria, fuoco, che si dispongono e si muovono verticalmente, mentre il movimento dei corpi celesti è circolare, cioè perfetto. Lo spazio è il luogo dei corpi e del loro movimento; il tempo è la risultante dei tre termini: corpo, spazio, moto. Oltre il moto suddetto, che si chiama di traslazione o secondo il luogo, ci sono il moto di alterazione o secondo la qualità, e il moto di accrescimento (e diminuzione) o secondo la quantità.

d) PSICOLOGIA – È la scienza dell’anima. L’anima è la “forma” del corpo organico e vivente, ossia il suo “atto”, il “principio” della sua realtà e della sua vita. Anima e corpo sono l’individuo reale. Per Aristotele vi sono tre specie di anima: l’anima vegetativa, avente le facoltà nutritiva e riproduttiva e che è comune alla pianta, all’animale irragionevole e all’uomo; l’anima animale, avente le facoltà locomotiva, appetitiva e sensitiva e che è comune all’animale irragionevole e all’uomo; l’anima intellettiva, avente la facoltà conoscitiva, propria dell’uomo. Le facoltà appetitiva e sensitiva, combinandosi nell’uomo coll’intellettiva, danno luogo alla volontà.
L’anima umana percepisce, coi sensi, le proprietà particolari degli oggetti e coll’intelletto le pr0prietà specifiche, le loro “forme” essenziali caratteristiche; così l’anima si costruisce i concetti degli oggetti (“Di. sensato apprende quel che fa poscia d’intelletto degno”.)
Una questione importantissima, e che diede luogo a varie interpretazioni, è la distinzione che Aristotele fa di intelletto passivo e intelletto attivo. L’intelletto passivo (o possibile) è l’intelletto umano considerato come la nostra capacità naturale di conoscere; il senso, che si trova in diretta relazione con le cose o, per meglio dire, coi dati sensibili, interni ed esterni, ci dà di questi i fantasmi o rappresentazioni (species impressae); l’intelletto attivo è l’intelletto umano considerato in rapporto con questi fantasmi, dai quali trae i concetti (species expressae), per l’intelletto possibile. Soltanto per l’intelletto attivo, quindi, si stabilisce vero rapporto di forma (dell’uomo) a forma (dell’oggetto).

e) ETICA – È la scienza della vita secondo ragione, perchè tale dev’essere la vita dell’uomo, avendo egli la ragione, e il fine d’ogni essere essendo l’attuazione della sua essenza. La virtù è dunque abito di vita secondo ragione e tiene il giusto mezzo fra gli estremi. Qui vediamo apparire l’ideale greco dell’equilibrio e dell’armonia. Ci sono la virtù etica e la virtù dianoetica; la prima consiste nell’operare conforme a ragione, disciplinando la vita impulsiva e affettiva: sono virtù, etiche, ad esempio, la temperanza, il coraggio, la liberalità: la temperanza è il giusto mezzo fra l’astinenza e la sregolatezza; il coraggio è il giusto mezzo fra la viltà e la temerità; ecc. Tutte sono fondate sulla giustizia, virtù sociale per eccellenza, che si distingue in giustizia distributiva, il cui criterio è il merito, e in giustizia commutativa, il cui criterio è l’uguaglianza, l’equità. Virtù dianoetiche sono la prudenza e la saggezza e appartengono in proprio alla ragione. Virtù dianoetica per eccellenza è la contemplazione del divino. Attuando pienamente la sua essenza, cioè svolgendo tutte le sue attività, l’uomo consegue la felicità in questa stessa vita. (Teoria eudemonistica).

f) POLITICA – È la scienza del governo dello Stato. L’uomo è per natura un essere socievole (politico); perciò lo Stato è fondato sulla natura umana. Il fine dello Stato è la felicità dei cittadini : non il loro vivere, ma il loro ben vivere, perchè solo da questo nasce la felicità. Mezzi: l’educazione e le leggi. La politica può essere considerata come azione di governo e come scienza di governo; dottrina filosofica è questa seconda, che determina l’azione. Oggetto della scienza politica è il bene collettivo e attuale, che per Aristotele è il sommo bene. Una legge è retta quando giova a tutto lo Stato, cioè alla collettività dei cittadini; nello Stato bene ordinato sono le leggi, e solo esse, che devono avere autorità. Le forme di Stato sono tre: monarchica, aristocratica, democratica. Tutte e tre degenerano quando, invece di mirare al bene comune, chi governa mira al proprio vantaggio, e allora abbiamo la tirannide, l’oligarchia (governo di fazione) e la demagogia.

g) POETICA – È la teoria dell’arte. Anche per Aristotele l’arte è imitazione della natura. Però essa cerca di cogliere l’essenza delle cose, cioè la “forma”, la quale segna in esse, come sappiamo, l’atto di realizzazione del loro fine. Pertanto, come Platone, ma con altro criterio, anche Aristotele assegna all’arte un compito moralistico, consistente nel purificare e liberare dalle passioni stesse, che l’arte rappresenta (Teoria della catarsi).

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