STOICISMO E SCETTICISMO

STOICISMO E SCETTICISMO

LO STOICISMO

Quantunque, nella comune opinione, stoico sia considerato quasi in antitesi di epicureo, in realtà le due dottrine hanno molti punti affini nelle premesse materialistiche e sensistiche e nella comune determinazione del fine ultimo della vita: la serenità dello spirito, la padronanza di sè. Ambedue dànno prevalente importanza ai problemi della vita pratica e in ambedue appare la stessa tendenza a educare l’uomo a raccogliersi in se stesso e ad affermare effettivamente la superiorità dello spirito sul mondo esteriore, naturale e sociale.
A lungo andare e nonostante la splendida fase platomico-aristotelica, l’interesse della ricerca si era veramente capovolto, passando dall’oggetto al soggetto, e l’uomo, l’uomo “vivente”, era veramente divenuto la misura della realtà. Tutto il contorno di dottrina cosmologica, fisica, o anche metafisica, che vedremo accentuarsi ancora un poco nello stoicismo in confronto dell’epicureismo, e pure il contorno di dottrina logica e gnoseologica, non sono, appunto, che contorno, e non hanno valore o ragion d’essere se non in funzione della teoria della vita.
A questa medesima esigenza risponde anche lo scetticismo, assumendo in proposito un atteggiamento radicale; e vi risponderanno pure il neoplatonismo e il cristianesimo.

Lo stoicismo, tuttavia, su questo motivo ormai fondamentale e acquisito, fa sentire delle variazioni interessanti e caratteristiche. Esso non si adagia, come l’epicureismo, in una raffinata sufficienza spirituale che, benchè superiormente professata, rasenta talora la passività ed è fatta, in fondo, d’indifferenza; esso si sottrae alle vicende e al tumulto del mondo esterno per vivere un dramma nell’intimo della coscienza e lotta e afferma; la calma dello spirito è una calma vigilata, la serenità dello spirito è una serenità conquistata, non accettata come un dono della natura o degli Dei; la vita razionale, la vita del saggio, non è considerata un facile godimento, ma uno stretto dovere.

Questo è il divario profondo esistente fra l’epicureismo e lo stoicismo, che pure hanno tanti lati in comune. Questo divario spiega come il primo abbia allietato un Orazio e il secondo abbia invece nutrito un Catone; e, infine, l’intuizione di questo divario è stata la causa che ha allontanato, nell’apprezzamento della storia, lo stoicismo dall’epicureismò, benchè derivassero da medesime esigenze, e l’ha avvicinato al cristianesimo, benchè le premesse e le finalità di questo siano così differenti.

Degli stoici principali il primo fu ZENONE di CIZIO (Cipro) nato verso il 3 34 a. C., che tenne scuola in Atene, nella Stoa pecile, (ossia Portico dipinto “da Polignoto”), donde venne a lui e ai suoi seguaci il nome di stoici. L’austerità dei suoi costumi era proverbiale; narra la leggenda che dopo la sua morte, avvenuta nel 262 a. C., gli ateniesi gli innalzarono un monumento con la scritta: “la sua vita fu sempre conforme alla sua filosofia“.

Dopo di lui si distinsero CLEANTE di Asso nella Troade e CRISIPPO di Soli in Cilicia, detto secondo fondatore dello stoicismo, perchè coi suoi scritti ne portò a compimento il sistema filosofico. Poi il famoso astronomo ERATOSTENE di CIRENE, DIOGENE IL BABILONESE, che introdusse lo stoicismo in Roma, quando vi andò, nel 155 a. C., come inviato da Atene, insieme con l’accademico Carneade e l’aristotelico
Critolao. Suo discepolo fu PANEZIO di RODI, ascoltato da molti patrizi romani, fra cui Scipione. Con Panezio s’iniziò un nuovo periodo dello stoicismo, di carattere piuttosto eclettico, e da lui provenne POSIDONIO di APAMEA, che a Rodi insegnò anche a Cicerone. A Roma si ebbero pure notevoli stoici, come vedremo più avanti.

FILOSOFIA STOICA

a) FISICA – I tre caratteri della fisica stoica sono il materialismo, il dinamismo e il panteismo. Materialismo perchè tutti gli esseri, anche Dio e l’anima, sono sostanze corporee, di natura più o meno sottile.
Dinamismo, perchè la materia sarebbe per sè inerte e priva d’espressione, senza la presenza in essa di una forza inseparabile, detta principio attivo. Panteismo, perchè questo principio attivo, unico e divino, concepibile come fuoco (poichè il calore genera, anima e muove tutto) è interiore o immanente, non separato dalla materia, la quale è il principio passivo.
Il principio attivo, o Fuoco divino, vivificante, è dunque l’anima universale, la ragione seminale, che è insieme il destino e la provvidenza dell’universo, poichè tutti gli esseri si collegano razionalmente e necessariamente in esso. Il mondo, formato dal Fuoco, è destinato a essere consumato da esso, per essere nuovamente formato e poi consumato, in un ciclo senza fine di creazioni e consunzioni. È evidente la derivazione di questa teoria da Eraclito. Anche l’anima umana è una particella di questo Fuoco, la quale ha in sè un elemento superiore, destinato a governare l’uomo e che è chiamato l’egemonico. Un’inviolabile necessità governa il Tutto.

b) LOGICA – Anche per gli stoici l’origine d’ogni conoscenza è la sensazione. L’anima è come una carta bianca, sulla quale i sensi scrivono i primi caratteri; questi si conservano nella memoria, si raggruppano, formando l’esperienza e fornendo la mente umana di anticipazioni (o nozioni comuni) per altre conoscenze.
L’atto della percezione sensibile però, per produrre la certezza, deve essere accompagnato da una funzione propria dell’anima, provocata a ogni modo, dall’evidenza dei dati sensibili, e che è detta l’assenso. Quindi l’atto integrale conoscitivo risulta di due coefficienti: senso e assenso. Segue la comprensione, la quale sta alla base della elaborazione scientifica.

c) ETICA – Abbiamo visto che, pur sullo sfondo d’un pretto materialismo, gli epicurei accentuavano nell’anima umana il lieve potere, da loro attribuito a tutti gli atomi, di sottrarsi col clinamen al rigido fato. Sotto una forma più chiara e decisa, meglio rispondente al carattere del sistema, troviamo un’analoga tendenza nel materialismo panteistico e dinamico degli stoici, per i quali infatti è nell’uomo, più che in qualunque altro essere del mondo, che agisce la forza emanata in lui dalla ragione divina e costituente la sua anima razionale.
Ricollegandosi a Socrate e ad Antistene, gli stoici rinnovano nella loro morale quel processo di pratica affermazione di reale supremazia spirituale, di libertà della persona umana e di diretta comunione (e quasi diremmo vita) con lo spirito assoluto, che in Platone s’era alquanto appesantito nel vasto apparato teologico-politico e in Aristotele s’era piuttosto inaridito nel non meno vasto apparato scientifico-sociale. Le condizioni dei tempi aiutando, gli austeri stoici dànno la mano, in questa tendenza alla liberazione spirituale, ai sorridenti epicurei, agli irridenti scettici e precorrono anche i neoplatonici e i cristiani. Tanta è la forza intrinseca di questo vigoroso frutto della cultura del carattere greco, che Roma ne subisce potente impronta, così nella vita politica degli ultimi fieri repubblicani, come in quella di un grande imperatore (Marco Aurelio), come nella filosofia (Cicerone, Seneca), come nella storiografia (Tacito) e soprattutto nel diritto.
L’impulso primordiale è la conservazione del proprio essere; nell’uomo la ragione sopraggiunge a regolare questo impulso. Criterio e guida è la vita della natura, in cui signoreggia la Ragione. Proprio del saggio è dunque vivere in armonia con la natura propria e con la natura universale. Poiché la ragione circola in tutto l’universo ed è comune a tutti gli esseri ragionevoli, cosi, dato il panteismo, dire “vivere secondo natura equivale a dire vivere secondo ragione” ; così, ancora, lo stoico supera i limiti ristretti dello Stato, e come al posto del cittadino pone l’uomo, così al posto dello Stato pone l’umanità, affrontando il pericolo dell’astrazione.

Con la coscienza di vivere secondo ragione, il saggio è superiore a quanto gli sviati chiamano agitazione, dolore; esso è sereno, imperturbabile; il male sensibile non è vero male; ideale è l’impassibilità, che non è insensibilità, ma calma inalterata, voluta e mantenuta perchè la ragione così comanda.

LA FUNZIONE CRITICA DELLO SCETTICISMO

IL SUO LATO ASSURDO

Il significato etimologico della parola scetticismo è “ricerca”. Ma anch’essa, come quella di “sofista”, ha assunto poi un senso alterato. Portando avanti a oltranza la ricerca, non si arriva mai a una conclusione del tutto soddisfacente, poichè ogni giudizio, che si enuncia, ha bisogno di un giudizio ulteriore che lo giustifichi. Quindi è necessario riconoscere che la verità ultima non è raggiungibile e che per conseguenza il nostro conoscere è incerto. È bene pertanto sospendere ogni giudizio. In questa determinazione gli scettici erano confermati dal vedere le contraddizioni dei filosofi e dal constatare i frequenti errori dei sensi e della stessa ragione. Mancando un sicuro criterio di giudizio e riconosciuta la possibilità di sbagliare, era facile e logico generalizzare.

D’altra parte, quello che più interessava era il vivere felici: in questo, anche gli scettici erano figli della filosofia del loro tempo. Abbiamo visto, infatti, che gli epicurei andavano in cerca della felicità per la via del piacere e gli stoici per quella della virtù.
Lo scettico ci va per la via dell’indifferenza conoscitiva, la quale riguarda, oltre i giudizi di vero e di falso, anche quelli di bene e di male. Così non si affatica la mente, così non si opprime l’animo con desideri o con timori o con rimorsi; e cosi si può vivere tranquilli (Atarassia).

Le condizioni del tempo in cui sorse, il grado elevatissimo raggiunto dalla cultura e il temperamento  critico e sottile degli Elleni, la tendenza alla pace dello spirito spiegano il sorgere dello scetticismo, all’indomani della morte di Alessandro Magno e di Aristotele. Nella valutazione generale dello scetticismo si è sempre stati propensi a ritenerlo un atteggiamento assurdo, presentandolo come pensiero che vuole stabilire limiti a se stesso. In realtà lo scetticismo è sempre sorto con funzione critica, nei rispetti di determinati sistemi o concezioni. Pertanto è servito e serve all’incremento del pensiero, se pur negativamente, come vi serve il dogmatismo. Quando esso vuol porsi come Teoria, allora veramente scopre l’aspetto di assurdità che gli è proprio, perchè allora diventa dogmatismo, cioè cade in ciò che vuol negare. Dobbiamo ritenere filosoficamente giustificato il problema dello scetticismo, pur riprovando la professione di scettico.

PRINCIPALI SCETTICI

PIRRONE di ELIDE (360-270 a. C.), al ritorno dalla spedizione di Alessandro in Oriente, che aveva seguita, fece propaganda soprattutto pratica di scetticismo. Quantunque non abbia lasciato scritti, è considerato il patriarca del primo scetticismo greco, tanto che questo è detto anche pirronismo. TIMONE di FLIUNTE, suo discepolo, ne raccolse alcune sentenze nelle sue poesie satiriche. ARCESILAO di ATENE e CARNEADE di CIRENE, che abbiam già nominati come neo-accademici, se non furono proprio scettici, furono probabilisti, cioè sostenitori della teoria che si deve preferire, fra due tesi contrarie, quella che appare più probabilmente vera; il che, mancando il criterio di verità, non è logicamente possibile, quantunque in pratica lo si faccia. Quindi, dal punto di vista filosofico, probabilismo e scetticismo si equivalgono.
ENESIDEMO di CNOSSO, che insegnò ad Alessandria, circa la fine del primo secolo a. C., fede professione di neo-pirronismo e fu famoso pei dieci motivi (o tropi) scettici. Erano basati sulla constatazione delle differenze fra gli animali, di quelle fra gli uomini, di quelle della struttura degli organi senzienti in uno stesso uomo, di quelle degli stati fisiologici o psichici in cui ci troviamo, di quelle dell’educazione, dei costumi, delle leggi, delle opinioni.
Di AGRIPPA, altro scettico, si conoscono il nome e i cinque motivi di dubbio: la contraddizione, il progresso all’infinito, la relatività, l’ipotesi, il circolo vizioso.
SESTO, greco, detto EMPIRICO, perchè appartenente alla scuola dei medici empirici del suo tempo (circa 200 d. C.), raccolse le tesi scettiche e le difese in due libri: Le sentenze di Pirrone e Contro i matematici.

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