FILOSOFIA – SOCRATE e SEGUACI

La ripresa della coscienza dell’esigenza unitaria con la teoria socratica

PASSAGGIO A SOCRATE

L’individualismo e fenomenismo sofistico, che si salvava dallo scetticismo con lo spurio mezzo d’un pragmatismo a oltranza (e che segna il carattere anche della crisi culturale dei tempi moderni), mentre era l’ultima fase di logico sviluppo del razionalismo sistematico precedente, ne era insieme il colpo di grazia. La realtà oggettiva dell’essere finiva col dissolversi nell’apparenza, ma finiva col ridursi all’opinione del singolo anche la validità universale del conoscere. E proprio allora si spiegava, accanto alla sofistica, l’irridente materialismo di Democrito: connubio che si ripresenterà in altre epoche. La sofistica fu una crisi dello spirito greco; l’ho già detta crisi di sviluppo; Socrate la sentì e la visse tutta; volendo risolverla in sè e per gli altri, ne fu vittima; vittima più della crisi stessa che non degli uomini, come tutte le grandi vittime umane. Altri noti sofisti furono: PRODICO di Ceo (che insegnò anche a Socrate), IPPIA di Elide, POLO di Agrigento (discepolo di Gorgia).

SOCRATE

Socrate nacque ad Atene nel 470 a. C. dallo scultore Sofronisco e dalla levatrice Fenarete. Combatté bravamente a Potidea, a Delio, ad Amfipoli. Fu di quegli uomini del popolo, dotati di vivo ed inquieto ingegno, che sono potenti, assimilatori ed elaboratori delle suggestioni ambientali e delle idee del tempo, soprattutto se il tempo è di crisi. Frequentò i sofisti, entrando presto in polemica con essi. Sentì in sè prepotente la vocazione del filosofo e, lasciata l’arte del padre, si diede alla missione di risvegliatore ed educatore delle coscienze. L’intento suo era altissimo: rinsaldare i principî del conoscere, per restaurare i valori morali. Diceva di sentire una voce interiore, che gli suggeriva la norma da tenere là dove la riflessione non lo poteva soccorrere.

Accettò la pregiudiziale dei sofisti, che la verità va cercata nell’uomo, donde il suo famoso Conosci te stesso; ma la integrò e approfondì, mirando alla coscienza umana comune a tutti, all’umanità, e contrapponendo in tal modo alla teoria dell’opinione individuale quella di un sapere di valore universale.
Lo faceva consistere nella conoscenza dei concetti delle cose, ai quali si arriva per induzione, partendo dall’esperienza ed elaborandola criticamente, fino a metterne in chiaro l’intima ragione. Definiti così i concetti, essi hanno valore razionale, costante e necessario; con essi è possibile costruire la scienza, e con la scienza fondare la moralità, perchè, quando si sa veramente cosa sia il bene, lo si pratica anche; da qui l’altro aforisma socratico: Scienza è virtù.

Socrate non professava una filosofia raccolta in sistema; la sua indagine filosofica era continuamente in atto, del tutto sincera e disinteressata; la sete di verità gli faceva dire di non saper nulla e di voler essere istruito dagli altri. Ma la sua finezza ed acutezza gli faceva scoprire facilmente in essi ignoranza e presunzione. Cosicché la sensazione della strana situazione in cui venivano a trovarsi l’interlocutore e lui, per effetto del suo atteggiamento, lo disponeva a quel sorriso e talvolta a quel tono di fine derisione, che furono detti ironia socratica.

Il metodo dialogico, che egli sempre usava e col quale si faceva compagno con altri nella ricerca, mirava a far trovare la verità, cioè a definire l’essenza di ciò di cui si discuteva, a colui o a coloro coi quali parlava. Quest’arte di aiutare un altro a partorire la verità, latente nell’intimo della coscienza, è stata detta maieutica spirituale socratica.

Molto traeva Socrate dai sofisti e sotto vari aspetti appariva come tale, ma se è evidente che, come sofista, fu un sofista mancato, è anche vero che, come superatore della sofistica, egli lavorava per pochi privilegiati del suo tempo e per il futuro. La sua figura morale si imponeva, e tuttavia egli venne accusato proprio di istigare i giovani contro la religione e contro le leggi.

Molti, disorientati e allarmati delle nuove idee, vollero forse colpire la sofistica in lui, che di essa aveva solo l’involucro, tutt’altra essendo, come abbiam visto, la sostanza; o piuttosto vollero proprio resistere ai moniti insistenti di Socrate, che ormai parevano inopportuni e fastidiosi, anche per il modo col quale erano fatti. I suoi accusatori, Anito, Meleto e Licone, non furono che i portavoce dei cittadini presuntuosi e influenti di Atene. Gli altri resistettero debolmente; spiacque anche il contegno di Socrate che, davanti al tribunale dei Cinquecento che lo giudicava, parlò più da maestro che da accusato; perciò, benchè a lieve maggioranza di voti, fu condannato a morte mediante veleno. Fu tenuto, in carcere per un mese, rifiutò la fuga preparatagli da amici fedeli, continuò, ad ammaestrare quelli, che lo visitavano, sul dovere di essere giusti e di ubbidire alle leggi, come egli mostrava col fatto, parlò, l’ultimo giorno di sua vita, dell’immortalità dell’anima e bevve serenamente il veleno portato in dal carceriere, mentre intorno a lui piangevano pochi discepoli, rimastigli vicini fino alla morte. Ciò avvenne nel 399 avanti Cristo.

SCUOLE SOCRATICHE

 Intanto il seme sparso da Socrate fruttifica. In Atene e fuori alcuni suoi discepoli fondano scuole filosofiche, inspirandosi al Maestro, ma quasi tutti sviluppano unilateralmente certi aspetti della sua dottrina o del suo atteggiamento.

La SCUOLA CINICA, iniziata da ANTISTENE DI ATENE, e così chiamata forse perchè fu aperta presso la palestra del Cinosarge, o forse per il costume spregiudicato di vita dei suoi seguaci, esagerò l’amore di Socrate alla semplicità naturale. I suoi seguaci, in nome d’un ideale puro e intransigente di virtù, che cercavano di perseguire con ogni sforzo, divennero nemici d’ogni convenienza sociale, alieni dagli onori e dalle comodità della vita, desiderosi di sottrarsi a quanto potesse vincolare la libertà dello spirito. Forse così facevano anche per reagire alla politica tirannica e torbida del tempo. Ma il loro vero motivo era che della società non valeva la pena di occuparsi.

Dopo tante vicende del pensiero greco e della vita sociale greca, si delineava la tendenza alla professione di una filosofia pratica, che procurasse soddisfazione interiore. La stessa speculazione approfondita rendeva, in ultima analisi, lo spirito umano servo della realtà, che lo irretiva in un groviglio inestricabile di problemi e di preconcetti; meglio era accettare il semplice realismo sensistico e materialistico. Per questo la scuola cinica non si distingue per vigore speculativo e si affida ai dati sensibili, e ancora per questo è simile alla scuola cirenaica.

Nel campo della conoscenza, i cinici negavano che l’essenza di una cosa fosse definibile dal suo concetto, di carattere universale , e soprattutto negavano l’esistenza dell’idea (intesa nel significato ontologico riconosciutole, come vedremo, da Platone) separatamente dalla cosa sensibile. Si narra che un giorno Antistene dicesse a Platone: “Vedo questo e quel cavallo, ma non vedo la cavallinità” e che Platone gli rispondesse: “Tu hai gli occhi per vedere questo e quel particolare cavallo, ma non hai gli occhi per veder l’idea, generale, che fa si che questo e quell’animale siano cavalli”. Com’è evidente, si trattava di distinguere gli occhi della mente da quelli del corpo.

Famoso cinico pratico fu DIOGENE DI SINOPE, cui la leggenda attribuì una austerità tale di vita, da farlo vivere, in una botte e da fargli rispondere ad Alessandro, di non aver bisogno di nulla.

La SCUOLA CIRENAICA, fondata da ARISTIPPO DI CIRENE, altro scolaro di Socrate, dà la mano a quella cinica per il comune sensismo filosofico e la comune quasi esclusiva importanza data alle questioni della vita pratica. Era però lontana dall’austerità scontrosa dei seguaci di quella. Il suo ideale era il piacere (perciò è detta anche scuola edonistica) e anzitutto il piacere sensibile e attuale, poichè la nostra realtà, come la nostra verità, si riduce alla vita del senso; gli oggetti stessi non sono per noi che gruppi di sensazioni; una ipotetica realtà, che le oltrepassi nello spazio e nel tempo, oltrepassa pure ogni nostra conoscenza, e perciò non ci riguarda.

Legge della vita è dunque fuggire il dolore e godere il piacere. Con questo criterio è possibile istituire e insegnare una dottrina del piacere ben calcolato, così da dominare gli impulsi e servirsi senza scrupolo di tutto ciò che può accentuare il godimento.

La via era così aperta a due conseguenze: l’una egoistica e pessimistica e l’altra ottimistica e altruistica. Fece sua la prima il cirenaico EGESIA, detto il persuasore di morte, perchè, giudicando la felicità irraggiungibile e la vita piena di mali, dichiarava essere meglio morire. Fece sua la seconda il cirenaico ANNICERI, il quale, convinto che il piacere va pure cercato in un ambito più largo e anche più degno dell’uomo, che non sia quello del puro piacere attuale e materiale, godeva dei conforti che danno l’amicizia, la stima altrui e il far del bene ai propri simili,

Come la concezione morale dei cinici è affine a quella, che vedremo, dello stoicismo e degli asceti cristiani, così l’edonismo dei cirenaici è affine all’etica epicurea.

La SCUOLA MEGARICA fu fondata dal socratico EUCLIDE DI MEGARA e portò all’eccesso l’abiladine, che anche Socrate aveva, ad imitazione dei sofisti, di discutere a oltranza e sottilmente. Perciò venne detta anche eristica (arte del disputare – in greco ἐριστική τέχνη – attraverso schermaglie dialettiche volte a far prevalere la propria tesi, indipendentemente dal suo contenuto di verità) e fu appunto una scuola più di dialettica che di morale. Si ricollegava pure ai polemisti eleati Zenone e Melisso di Samo, sia per il metodo che per i problemi intorno all’essere e al divenire.

Un’altra scuola socratica fu quella fondata a Elide (da uno dei discepoli prediletti di Socrate, FEDONE, trasferitasi poi a Eretria; ma ebbe scarsa importanza.
Queste quattro scuole furono dette Socratiche minori, per distinguerle dalla più celebre e veramente degna dell’inspiratore, cioè da quella di Platone, detta dell’Accademia. Furono notevoli, ma rimasero schiacciate dal confronto col Maestro comune e con Platone e poi col discepolo di costui, Aristotele. Però i loro “motivi” non tramontarono e si ripresentarono potenziati nelle filosofie postaristoteliche, volte anch’esse più ai problemi pratici che non a quelli. speculativi.
La vita e la dottrina di Socrate, che non lasciò nulla di scritto, le conosciamo, oltre che dai frequenti richiami dei filosofi posteriori, specialmente dagli scritti dei discepoli Senofonte e Platone.

SENOFONTE, storico, ci presenta nei Memorabili di Socrate la figura dell’uomo; Platone, nei famosi Dialoghi, la figura dell’uomo e del filosofo.

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