FILOSOFIA IN ROMA – EPICUREISMO, STOICISMO, ECCLETISMO

FILOSOFIA DI ROMA

EPICUREISMO, STOICISMO, ECCLETISMO

Roma non ebbe scuole filosofiche originali. Essa accolse la filosofia greca dapprima dalla Magna Grecia, poi da Atene e Alessandria; dapprima a rilento, poi con crescente favore. Si diffusero così per opera di Romani che si erano recati a studiare in Grecia, o per opera di maestri greci venuti a Roma, o condottivi in seguito a conquiste, le varie, dottrine greche, dal platonismo allo stoicismo.
L’epicureismo ebbe un perfetto ed efficace cantore in TITO LUCREZIO CARO, (Roma, 98-55 a. C.), che, col poema De rerum natura, aggiunse alle dottrine di Epicuro vedute personali sul progresso umano e sul valore della scienza, con uno spirito talvolta vicino a quello dei tempi moderni.

Lo stoicismo ebbe notevoli cultori in Seneca, in e in Marc’Aurelio, per non menzionare che i maggiori per gli scritti lasciati.

SENECA di CORDOVA (4-65 d. C.), maestro di Nerone, poi caduto in disgrazia e costretto al suicidio, fu autore di opere di morale, delle Consolationes ad Marciam, delle Naturales Quaestiones e delle Epistulae ad Lucilium. Egli accentua la dottrina stoica della solidarietà con tutti gli uomini e nelle sue concezioni intorno alla divinità, alla vita religiosa e alla virtù rivela talvolta uno spirito affine a quello del cristianesimo.

EPITTETO di GERAPOLI in Frigia, schiavo e poi liberto a Roma verso la fine del I secolo di C., discepolo dello stoico Musonio Rufo, fu maestro d’una morale stoica fatta della religione del dovere, del disprezzo del dolore e di tutto quanto è realtà esteriore alla vita dell’anima, e perciò d’una morale affine, anche questa, alla cristiana, ma priva d’un sincero sentimento di carità e del concetto d’una finalità ultraterrena. Il suo discepolo Flavio Arriano ne raccolse le massime nel celebre Manuale e nelle Dissertazioni, che portano, l’uno e le altre, il nome del maestro.

MARC’AU’RELIO (121-180 d. C.) imperatore, educato da filosofi stoici, fra i quali Giulio Rustico, scrisse i Ricordi, improntati a un elevato e sereno stoicismo in cui il monismo materialistico di Zenone e Crisippo si trasfigura talvolta nel dualismo platonico. Si direbbe che, come Seneca, sentisse l’influsso dello spirito del cristianesimo.

Una sapiente, se non sempre profonda, scelta ed elaborazione di teorie dei principali filosofi greci fece MARCO TULLIO CICERONE, considerato perciò come un eclettico. In metafisica tende verso il probabilismo dei neo-accademici: in morale adotta uno stoicismo temprato dalle dottrine platoniche ed aristoteliche. Forte avvocato e cittadino romano, qual era, oltre che filosofo, Cicerone applicò, fra i primi, la filosofia al diritto. Egli era nato ad Arpino nel 106 a. C. e fu vittima del secondo Triumvirato nel 43 a. C. I suoi principali scritti filosofici sono: De natura deorum, De finibus bonorum et malorum, De officiis, De republica, De legibus, Tusculanae disputationes.

IL DIRITTO ROMANO E I SUOI NESSI  CON LA FILOSOFIA GRECA

La gloria di Roma è il diritto. In questa rassegna di storia del pensiero filosofico dobbiamo considerare il diritto romano nei suoi rapporti con la filosofia greca diffusasi in Roma. È certo che essa contribuì moltissimo a dare al diritto romano quel carattere di universalità e di razionalità, d’autorità e insieme di libertà, che fece di esso il cemento della compagine di molti popoli e lo rese possibile d’estensibilità a tutti gli uomini.

Così il diritto romano consolidò e mantenne a lungo quel dominio che, fondato sulle sole armi, sarebbe stato impossibile a formare e a ogni modo rapidamente caduco. Esso ebbe dalla filosofia greca, opportunamente sopraggiunta, la forza di superare la mentalità laziale ed etrusca, che l’avrebbe tenuto confinato nei limiti d’una regione o d’una nazione, e di allargarsi in un concetto che ha per confini ideali e virtuali il mondo intero, perchè nel mondo intero vivono esseri dotati di ragione. Per il lievito portogli specialmente dalla filosofia stoica, il diritto potè dare a Roma la possibilità del compito indicatole da Virgilio: “Tu regere imperio populos, Romane, memento, pacisque imponere artes…”. Per il diritto, inspirato a una filosofia cosmopolitica, qual era quella che allora si affermava, Roma poteva attuare quanto le riconosceva un poeta romanizzato, il Gallo Rutilio Numaziano:

“Fecisti patriam diversis gentibus unam,
urbem fecisti quod prius orbis erat”.

La filosofia, che sarebbe finita in un vaneggiamento dottrinario o, anche quella stoica, in un individualismo avulso dalla società e perciò sterile, fu dal genere romano materiata di concretezza e di realtà, con la sua legislazione. La legge divenne veramente quello che a un animo umano e illuminato appare debba essere anche oggi: la mediatrice fra l’autorità necessaria e la libertà necessaria; l’autorità sta nella legge; per la legge siamo liberi.

Così la legge è l’espressione della ragione e insieme la forza che la sostiene. E perchè nell’uomo c’è anche la vita del sentimento e dell’intima coscienza, che integra e corregge la rigidezza della ragione, così provvidenza volle che, nel massimo fiorire del diritto romano, si affermasse una religione capace d’intenderlo e d’unirvisi, integrandolo.

Già Socrate aveva ammonito che bisognava sottrarre le leggi al criterio empirico fino allora seguito e invitava a definire razionalmente il concetto di legge, quello di giustizia e, filosofo e cittadino, dava l’esempio, con la morte, del rispetto che aveva per le leggi.
Platone coronava l’edificio suo filosofico con la Repubblica e Le leggi, vagheggiando uno Stato ideale, perfetto, fondato sulla giustizia, signoreggiato dalla ragione. Aristotele, che definiva l’uomo un essere politico, tracciava lui pure con alta mente i criteri del miglior ordinamento dello Stato nella Politica.

Ma si trattava sempre di concezioni giuridiche d’una compiutezza e d’una perfezione alla greca, cioè d’una “finitezza” circoscritta alla polis, allo Stato-città. La rivoluzione ellenistica, in seno alla quale, causa ed effetto insieme, agirono la forza macedone e il genio
d’Alessandro, ruppe quegli organismi e produsse concezioni filosofiche, sociali e politiche sempre  più vaste. La distinzione tra greco e “barbaro” più non valeva per le nuove menti, Visto che i “barbari” Macedoni avevano fatta propria la Grecia e altri “barbari”, i Romani, si apprestavano a fare anche di più. Così, sotto un ostentato atteggiamento individualistico, c’era un senso universale della vita; e si affermava, nel migliore stoicismo, anche il senso sociale.

Un senso sociale completo, vivo e operante, trarrà da esso il genio romano e lo fisserà nel suo diritto. ll cosmopolitismo degli stoici giungeva in un momento propizio, quando cioè si spiegava, per la forza delle legioni e dello spirito organizzatore latino, il cosmopolitismo politico dei Romani. Riceveva, dunque, da esso facilità di diffusione, ma anche dava. Dava al diritto romano il senso e il marchio dell’universalità morale, che è la vera giustificazione dell’universalità giuridica e politica.

Nella morale di Platone e in quella di Aristotele il concetto della dignità morale della persona individuale si perdeva troppo in quello dell’organismo del piccolo Stato e, per conseguenza, portava a una valutazione insufficiente dell’universalità morale. Rotto l’ente collettivo dello Stato-città, si accentuò l’ente individuo; la filosofia segnò la nuova situazione spirituale; lo stoicismo ristabilì il valore dell’uomo, dell’umanità. A questa conquistata universalità morale ideale occorreva un inquadramento sociale, positivo: le fu dato dal diritto romano. Attuazione: l’Impero.

Anche il senso religioso subì allora lo stesso processo (ciò che fa pensare che anche dei fenomeni religiosi è espressione e concausa la filosofia).  Cadevano le religioni statali, nazionali; si irrigidiva l’ebraismo; sorgeva il cristianesimo, basato sul valore supremo dell’anima individuale, in connessione con le anime di tutti o con l’Essezo divino. Anche a questo senso nuovo di religione cattolica (universale) occorreva un inquadramento sociale positivo; gli fu dato coi Vangeli, che raccoglievano il divino insegnamento di Cristo, con le Lettere degli Apostoli, e poi con la dogmatica patristica, non meno ferrea e precisa delle norme del diritto romano. Attuazione: la Chiesa.

Cicerone, inspirandosi allo stoicismo, diceva nel De legibus che la scienza del diritto non si ricava dagli editti dei pretori nè dalla legge delle Dodici Tavole, ma dal fondo stesso della filosofia, la quale c’ins’egna che c’è in tutti gli uomini una ragione comune: que-sta ragione è la legge. Da essa gli stoici facevano derivare il diritto. E fu veramente sulle premesse universalistiche della loro filosofia che fu fondato il superbo edificio della giurisprudenza romana. È stato riconosciuto che i grandi giureconsulti dell’impero romano, come GAIO, PAOLO, PAPINIANO, ULPIANO, furono tutti educati alla scuola dello stoicismo.

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