PATRISTICA LATINA – SANT’AGOSTINO

PATRISTICA LATINA

CARATTERI GENERALI

La patristica fu una gloria più del pensiero greco che non di quello latino; i più grandi rappresentanti (facendo eccezione per Sant’Agostino) ne furono i greci e l’elaborazione della dogmatica fu quasi tutta opera loro. Il cristianesimo occidentale intanto era fortemente provato dalle invasioni barbariche e dalle violente crisi interne dell’Impero. Era parte in causa.
Si affermava come organizzazione sociale, subiva le persecuzioni. e insieme cercava di inserirsi nei quadri politici ufficiali o di sovrapporvi i propri, che si concretavano nello stesso spirito giuridico maturato dal pensiero romano.

Roma, apprestando nuovi mezzi, rispondenti alla nuova situazione, attuava ancora la missione di reggere i popoli, poichè Roma cristiana era sempre la Roma imperiale, con la sua storia e il suo diritto, e uno spirito nuovo. Roma pertanto affermava e conseguiva il primato nella Chiesa e già mandava legati nei concili orientali. Roma e Milano gareggiavano con Costantinopoli. Il cristianesimo occidentale assumeva dunque, già dal tempo della patristica, un carattere d’imperiosa e pratica organizzazione; piegava Costantino all’accettazione e Teodosio all’obbedienza.

Ebbene, tale carattere pratico e, vorrei dire, politico e positivo del cristianesimo in occidente, si rispecchia anche nella patristica latina, la quale, oltre a essere assai meno ricca speculativamente della greca, insiste più volentieri sulle questioni della vita morale e di quella religiosa. Questi Padri hanno tutti una marcata diffidenza e una vivace ostilità verso la filosofia greca, anche S. Agostino negli ultimi suoi anni, il quale aveva pur formato con essa la sua robusta cultura. Sono tutti sostenitori dell’assoluta priorità e predominio della fede sulla ragione, esponenti dottrinali d’un cristianesimo d’azione.

APOLOGISTI E POLEMISTI

Apologisti efficaci della nuova religione furono ARNOBIO, retore africano (tra il secolo II e il III), LATTANZIO, istitutore alla corte di Costantino, MINUCIO FELICE, oratore romano e autore del noto dialogo didattico Octavius.
Ma il polemista più vigoroso fu TERTULLIANO. Nacque a Cartagine da famiglia pagana nel 160; divenne cristiano a 33 anni e, più ancora del suo grande conterraneo Agostino di due secoli dopo, spiegò nella nuova religione un ardore violento. Non solo fu d’un’assoluta intransigenza nelle questioni religiose, ma portò il rigorismo ascetico (fino all’eresia (il Montanismo) e l’odio alla filosofia fino a chiamarla madre di tutti gli errori. Non pertanto coltivò la filosofia; e le sue teorie in questo campo sono sensistiche e materialistiche. Scrisse parecchie opere: da ricordare l’Apologeticum e Adversus Marcionem.
Grandi formatori di coscienze cristiane e organizzatori ecclesiastici furono, nel quarto secolo, il dalmata S. GEROLAMO; noto anche come traduttore della Bibbia (vulgata), S. AMBROGIO di Treviri, vescovo di Milano, oratore religioso, poeta (Te Deum).polemista (Contra Simmacum).

SANT’AGOSTINO

LA VITA –  Aurelio Agostino nacque a Tagaste in Numidia nel 354 da padre pagano e da madre cristiana, Monica. Si formò una vasta cultura, studiando a Tagaste, a Madaura, a Cartagine. Aderì alla setta dei manichei, che professavano la dottrina, di derivazione orientale, dei due principî supremi antagonistici del bene e del male. Si recò trentenne a Roma e poco dopo a Milano, quale professore di lingua e retorica. Milano, auspice Ambrogio, gareggiava allora con Roma, quale esponente del cristianesimo occidentale.

Agostino intanto aveva fatte sue le tendenze scettiche della Nuova Accademia e sentiva più acuta la crisi intellettuale e spirituale che da tempo lo tormentava. Lo studio delle dottrine platoniche e alessandrine l’aveva riavvicinato alla religione materna.
Le prediche e la conversazione di Ambrogio contribuirono a far maturare in lui la decisione di porsi, con tutta la forza della sua dottrina, del suo ingegno e del suo temperamento africano, al servizio di  quel grandioso movimento di rinnovazione morale e sociale che era il cristianesimo e, battezzato da Ambrogio; fu filosofo,  teologo, vescovo, organizzatore cristiano. Moriva nel 430 nella sede episcopale di Ippona (l’odierna Bona d’Algeria), mentre i Vandali assediavano la città.

Delle molte opere che scrisse notiamo: Contra Academicos; Soliloquia; De Trinitate; De civitate Dei; De vera Religione. A tutti note sono le sue Confessioni. Verso la fine della vita scrisse le Retractationes, in cui modifica, o ritratta, qualche sua teoria.

FILOSOFIA DI SANT’AGOSTINO – Sant’Agostino seppe unire lo spirito positivo dei Padri latini con quello speculativo dei Padri greci e fondere platonismo e vangelo.

Contro i neo-accademici, e partendo dalla testimonianza diretta della coscienza, affermò insieme la certezza del conoscere e la sua fonte in Dio. Ecco la famosa frase del De Trinitate (X, 14): “Non uscir fuori, torna in te; nell’uomo interiore abita la verità; e se trovi mutevole la tua natura, trascendi te stesso: fendi colà dove si accende il lume stesso della ragione“. Lo scetticismo non soddisfa l’uomo ed è contradditorio, poichè nello stesso dubbio e nello stesso errare è sempre implicita la certezza della propria esistenza: “si follor, sum“. La coscienza che il pensiero ha di se stesso è il fondamento sicuro di ogni conoscenza. Dalla conoscenza di se medesimo l’uomo sale verso la conoscenza, non mai però adeguata, di Dio: vi sale, come ne discende, in un vivente processo di correlazione, di cui Sant’Agostino aveva trovato il concetto in Platone e nel neo-platonismo: concetto ch’egli svolge e porta a maturazione. Chi conosce è la nostra intelligenza; ma essa ha bisogno della luce di Dio per conoscere il vero. Chi decide l’azione è la nostra volontà; ma noi abbiam bisogno della grazia di Dio per praticare il bene. A chi tiene presente questo criterio agostiniano non si presenta più come insolubile la vessata questione dell’autonomia umana nella filosofia di Sant’Agostino: questione che vedremo più innanzi.

Dio è dunque la fonte della verità in noi (Teoria dell’illuminazione divina) e insieme la realtà che ci appaga compiutamente: “inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te“. Vediamo in questa teoria di vivi rapporti dell’uomo con Dio come il realismo spiritualistico cristiano si avvantaggi sull’idealismo intellettualistico greco. Per Sant’Agostino, anzi, lo spirito umano è conforme alla Trinità divina; a immagine di questa, anch’esso è “essere” “sapere” “volere (amore)”.

Contro il dualismo del monaco persiano MANI, egli afferma che il male non è che negazione di realtà, deficienza viziosa, imputabile alla volontà umana creata libera: non dunque una realtà malvagia, coesistente ab aeterno e opponentesi a Dio, Essere buono.
Se l’uomo vuole, come deve, Dio e agisce in conseguenza, allora attua in sè il bene, aumenta di essere, di valore; il contrasto di bene e di male è quindi intimo allo spirito, come ne è interiore il contrasto fra vero e falso, ed è un contrasto fra più e meno, e la misura è Dio, presente in noi con la sua efficacia di verità e di vita.

Sono evidenti qui, ripetiamo, le reminiscenze platoniche e neoplatoniche, ed è condotto a compimento quel processo di risoluzione della realtà nello spirito, ossia dell’essere nella vita, della natura nella coscienza, dell’oggetto nella persona-soggetto, che, impostato dai sofisti e da Socrate, aveva subìto un’elaborazione e uno sviluppo continui.

Ma questo stesso compimento pose Agostino di fronte al problema della cooperazione divina e umana nell’attuazione del bene. Lasciando stare le molte questioni connesse a questo problema, diciamo qui che Sant’Agostino. sembra essere stato talvolta con- dotto dal suo temperamento e dal carattere polemico del cristianesimo d’allora, ad assumere l’atteggiamento unilaterale in favore della tesi dell’esclusiva efficacia dell’azione di Dio (grazia). Ma nelle sue premesse è implicita anche l’altra giusta tesi dell’efficacia dell’azione umana, rimasta libera e quindi responsabile e meritevole, nonostante il peccato di Adamo, poichè ogni peccato, essendo un atto volontario, riguarda soltanto l’individuo che lo compie (Tesi della libertà, sostenuta unilateralmente da PELAGIO, monaco brettone, che allora insegnava a Roma).

Lo spirito polemico e il consiglio d’un tribuno romano indussero il Vescovo d’Ippona a scrivere il De Civitate Dei, opera di filosofia della storia. Erano i tempi in cui l’Impero minacciava rovina, intere provincie venivano devastate dai barbari, Roma stessa saccheggiata da Alarico. Gran responsabili anche il nuovo culto e la nuova morale, dicevano i pagani.
S. Agostino raccoglie l’accusa, la discute in fatto e in diritto, la confuta e da essa, col pungolo del vecchio spirito manicheo sopito in lui ma non spento, prende le mosse per trattare della vita dell’umanità, del suo destino e dell’azione provvidenziale di Dio.
Vi sono sempre nel mondo due città, o società: i buoni, che fanno il bene, i malvagi, che fanno il male; la prima, o spirituale, è la civitas Dei, l’altra è la materiale o del demonio. Fra di esse vi è continua lotta, con vittorie e sconfitte; la storia ce l’insegna.
Gli uomini si agitano, dirà poi Bossuet, riprendendo il pensiero di Sant’Agostino, ma Dio li conduce, in modo che eseguiscano il suo eterno disegno. E il pensiero di Sant’Agostino sarà pure ripreso, implicitamente ma non meno chiaramente, da Giambattista Vico nella sua teoria della storia ideale eterna su cui corrono, nel tempo, le storie delle singole nazioni.

Sant’Agostino ebbe una grandissima influenza sul pensiero dei secoli che lo seguirono. Filosofi e riformatori religiosi si richiamano spesso a lui, da Sant’Anselmo d’Aosta a Duns Scoto, a Lutero, a Giansenio. Vedremo più innanzi che il principio suo della certezza è palese in Campanella e in Cartesio e che il principio dell’interpretazione della storia umana ritorna, come abbiamo or ora notato, in Bossuet e nel nostro Vico.

SCRITTORI LATINI POSTERIORI

Dalla seconda metà del secolo V fino alla seconda metà del secolo IX, non si hanno più filosofi di notevole importanza. Possiamo nominare alcuni compilatori di manuali intorno a quei non pochi residui di scienza e di filosofia, che, rimasti dal naufragio della cultura classica, s’insegnavano principalmente nelle scuole monastiche ed erano raccolti nel programma delle sette Arti liberali (trivio: grammatica, retorica, dialettica; quadrivio: aritmetica, geometria, musica, astronomia).

Sono MARCIANO CAPELLA, cartaginese, della seconda metà del secolo V,  AURELIO CASSIODORO, della prima metà del secolo VI, ISIDORO di SIVIGLIA tra la fine del VI e il principio del VII secolo, BEDA il venerabile, d’Inghilterra, tra la fine del VII e il principio dell’VIII secolo, ALCUINO di YORK (730-804) direttore della scuola palatina di Carlo Magno e GIOVANNI SCOTO ERIUGENA (810—877) scozzese, che insegnò alla corte di Carlo il Calvo. Questi due ultimi appartengono alla “piccola rinascita carolingia” e il secondo segna il passaggio alla filosofia scolastica, fiorita nelle scuole medioevali e sistematizzatrice delle dottrine dei Padri.

VEDI ANCHE . . .

LA DIALETTICA DI ESSERE E DIVENIRE

ERACLITO DI EFESO

LA SCUOLA ELEATICA

LA SCUOLA PITAGORICA o ITALICA

EMPEDOCLE E ANASSAGORA

DEMOCRITO E L’ATOMISMO

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SOCRATE e SEGUACI

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BERNARDINO TELESIO

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