CENERENTOLA – Walt Disney (DISEGNI DA COLORARE)

CENERENTOLA

Cenerentola (1950) aggiorna al nuovo stile la formula di Biancaneve e i sette nani. È una specie di remake e, come tutti i remake, molto istruttivo per capire la storia (di Hollywood), i suoi ricorsi, la sua inesauribile parodia di se stessa. La vicenda è più o meno invariata: una ragazza, povera ma onesta, vessata da una o più donne malefiche, muove a compassione tutta una schiera di alleati benefici (animali, umani e sovrumani): col loro aiuto trionfa e sposa un principe.

Manca l’idea originale dei nani, ma la galleria dei caratteristi è più variopinta, più sapientemente dislocata nella vicenda. Non agiscono in massa, come i sette nani, ma a piccoli gruppi. Sono divisi in due schiere (buoni e cattivi) riprodotte specularmente nei tre strati del cast. Fra gli animali, un alleato della matrigna (il gattone malvagio) e alcuni alleati di Cenerentola (due topini vestiti e parlanti, uno furbo e l’altro tonto, un cane, un cavallo e un piccolo stuolo di uccellini intelligenti ma non parlanti con status di quasi comparse). Tra gli umani, semplificati con qualche tratto di magia o di caricatura, da un lato le due sorelle isteriche e bruttine, dall’altro una fata sempliciotta di mezza età, un re e un granduca acrobatici come marionette. Invece Cenerentola e il principe tendono alla decalcomania, come già Biancaneve. Ma l’incastro tra i vari piani del racconto è perfetto.
Inoltre questa volta Disney non assume un’aria rapita di fronte al miracolo della natura antropomorfica: gli animali sono pochi e più simpatici che poetici. L’ambientazione è trasferita dall’eterno mondo delle fiabe a una Mitteleuropea ottocentesca e Cenerentola non è una trepida adolescente come Biancaneve, ma una ragazza quasi sexy (all’inizio la vediamo sotto la doccia); è evidente che l’hanno disegnata così per rendere la fiaba un po’ meno infantile. Anche se i valori apparentemente sono gli stessi dell’altro film, il tono è meno paludato, e l’azione comica e drammatica conta più della lezione morale. La scrittura non presenta quei caratteri, ora piatti ora leziosi, dei film precedenti: il ballo di Cenerentola col principe, nei saloni di una reggia più fastosamente stuccata di quelle Metro Goldwin Mayer, risulterebbe cartolinesco se non venisse osservato attraverso il monocolo del granduca che spia non visto la coppia, mentre l’idillio tra Biancaneve e il principe, tra mandorli in fiore e colombe bianche in volo, era effettivamente oleografico. Così lo stile modifica il senso. Cenerentola inginocchiata che lava il pavimento ma senza squallore e cenere bensì con una fantasia di bolle di sapone che fanno eco alla sua voce e rispecchiano la sua immagine non è tanto la Virtù Perseguitata, quanto il Diritto al Desiderio (Sta appunto cantando I sogni son desideri).

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