MICKEY MOUSE – TOPOLINO – Walt Disney

MICKEY MOUSE

Topolino è un personaggio dei cartoni animati americani co-creato nel 1928 da Walt Disney e Ub Iwerks . Icona di lunga data e mascotte di The Walt Disney Company, Topolino è un topo antropomorfo che di solito indossa pantaloncini rossi, grandi scarpe gialle e guanti bianchi. Ispirato da personaggi del cinema muto come Charlie Chaplin e Douglas Fairbanks, Topolino è tradizionalmente caratterizzato come un perdente comprensivo che se la cava con coraggio e ingegnosità di fronte a sfide più grandi di lui. La rappresentazione del personaggio come un topolino è personificata attraverso la sua bassa statura e voce in falsetto, l’ultima delle quali originariamente fornita dalla Disney. Topolino è uno dei personaggi immaginari più riconoscibili e universalmente acclamati di tutti i tempi.

Che Topolino sia stato concepito sul rapido New York-Los Angeles, come vuole la leggenda, o che debba la sua origine alla penna di Ub Iwerks; come insinuano i revisionisti, non c’è dubbio che la sua ideazione ha segnato una svolta decisiva nella pratica dei cartoni animati. A prima vista non è molto dissimile da certi suoi fumettistici antenati: profilo schematico, posizione eretta, quasi una caricatura. Ma nel suo corpo c’é qualcosa di aerodinamico che rende accettabile l’umanizzazione così sbrigativa del disegno: l’attaccatura dei capelli (simile a una cuffia, riunisce Lindbergh e Mefistofele), gli ovali neri degli occhi (tipo occhiali da cieco, più coerenti col resto e più sottilmente aggressivi dei veri occhi disegnati di cui è provvisto nei due film precedenti Steamboat Willie e in quelli posteriori al 1938), soprattutto quei dischi fungenti da orecchie, che sembrano potersi staccare e rotolare in avanti da un momento all’altro (l’idea di renderli tridimensionali, che risulta da alcuni cortometraggi dei primi anni quaranta, venne rapidamente accantonata). Non la caricatura di un animale, come il gatto Felix o il topo Ignazio, e nemmeno quella di un uomo, ma uno scattante automa tutto angoli e sfere.

Anche se la sceneggiature attingono al repertorio delle farse slapstick, con torte in faccia, capitomboli e inseguimenti, Topolino non ha l’innocenza e l’insolenza dei veri eroi burleschi e, sebbene si trovi spesso coinvolto in ridicole disfatte, non è una vittima trasognata, un outsider sonnambolico, come Buster Keaton e Harry Langdon, ma il campione di imprese nobilissime e stereotipate. Di comico, insomma, ha ben poco. Non si propone di conquistare la mano (e i favori) di una ragazza, ma di liberate la ragazza già sua (Minnie), prigioniera di un villain mastodontico e patibolare (Gambadilegno). E ci riesce tutte le volte, naturalmente dopo aver perduto il primo round. Così Disney rifrigge gli ingredienti di quei melodrammi vittoriani che Mack Sennett aveva cominciato a parodiare quindici anni prima. Ma li serve freddi. I film di Topolino sono un concentrato delle mitologie cinematografiche del muto ad uso di un pubblico che non ci crede più. Topolino è insieme Douglas Fairbanks, Rodolfo Valentino e Harold Lloyd. È anche Davide contro Golia, “il falsamente debole contro il falsamente forte” (Panofsky). Non, come è stato scritto, l’eroe positivo di un’America ottimista e intraprendente, ma la maschera nuda e onnipotente che traduce un entusiasmo distratto verso gli eroi positivi. Non a caso gli adulti lo trovano irresistibile, mentre i bambini, consultati in apposito referendum, gli hanno preferito un eroe popolaresco e sanguigno come Braccio di Ferro. Anche il divismo in lui si esalta e si deprezza.
Mentre l’attore, fuori dallo schermo, circola separate dalle sue maschere (da qui brividi e delusioni di chi riesce ad avvicinarlo), il divo di cartone si identifica totalmente con il personaggio, per cui é sempre a portata di mano, anche sugli albi a fumetti e sui tubi di dentifricio. Ma le conquiste troppo facili, si sa, vengono presto a noia, e Topolino, tanto disponibile e tanto popolare, è destinato a finire tra i soprammobili.

Le sue avventure spaziano dall’Arabia allo Yukon: l’esorismo hollywoodiano diventa moneta corrente, argent de poche dilapidato in rulli di sette minuti. Svanisce ogni frizione e ogni dialettica tra sfondi e personaggi, fabbricati entrambi con la stessa matita, anche se il bianco e nero acceso e contrastato degli esseri viventi risalta sul grigio evanescente dei fondali. I movimenti alludono alla continuità perfetta della danza. I capitomboli più iperbolici e più burleschi diventano l’attività ordinaria di questi corpi infrangibili costruiti per mantenere il moto perpetuo, legge fondamentale e verosimile filmico dei disegni animati, i quali, cessando l’animazione, si svelerebbero appunto inerti e irreali come disegni. Le catastrofi preludono a macerie disseminate con gusto, le torte e le valanghe centrano i loro bersagli seguendo traiettorie più complicate e più umoristiche e i bersagli colpiti mutano aspetto a seconda dell’incidente (caduto in una botte, Topolino dovrà muoversi per un bel po’ in questa specie di armatura; gli piomba addosso un busto di Napoleone e lui cammina inscatolato “animando” il generale). Perfino le pallottole allineano fori con più geometria.
Tutto deve avere contorni definiti e cambiarli molto spesso: l’informe, assieme all’inerte, è il grande tabù.

La musica, fragorosa e puntuale, piena di rimandi al folklore e di sottolineature spiritose, liquida il silenzio del muto come poco realistico e nello stesso tempo rivolge un sorriso ironico allo scomposto cicaleccio del teatro filmato.

Da completare………


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