L’IDIOTA – Fëdor Dostoevskij

L’IDIOTA

Fëdor Dostoevskij

Il treno si sta avvicinando a Pietroburgo. In uno scompartimento di terza classe stanno seduti due giovani che da molte ore viaggiano e discorrono insieme. Sono estremamente diversi tra loro. Uno ha due irrequieti occhi grigi lampeggianti nel viso pallidissimo, capelli scuri, un sorriso insolente, una espressione tesa e appassionata. L’altro, biondissimo e delicato, ha nei grandi occhi celesti qualcosa di immobile, di dolcemente pesante, e una espressione di disarmata bontà che lo fa diverso da tutti gli altri uomini.
Il giovane bruno è Parfèn Rogòzin, figlio di un ricco e avaro mercante, da pochi giorni morto a Pietroburgo. L’altro è il principe Lev Nikolàevič Myskin, che ritorna dalla Svizzera dopo un lungo soggiorno presso un celebre neurologo: per anni ha sofferto di disturbi nervosi che l’hanno condotto all’ididzia e alla epilessia. Ora è quasi del tutto guarito, e un’insperata eredità gli permetterà di vivere tranquillo in patria. È solo al mondo, ma ha una illimitata fiducia nella bontà degli uomini. Affascinato dalla sua dolcezza e dal suo affettuoso interesse, Rogòzin si confida con lui, gli parla della sua tormentata passione per Nastàsja Filippovna, donna bellissima e di dubbia moralità, che egli spera di conquistare per mezzo dell’eredità paterna. Giunti a Pietroburgo, i due giovani si separano con la promessa di rivedersi il più presto possibile: sentono di volersi già bene, di essere già amici.

* * *

Il principe si reca subito a casa del generale Epàncin, suo lontano parente, per chiedere aiuto e consiglio circa la sua sistemazione in città. Viene presentato alla moglie e alle tre figlie del generale, la più giovane delle quali, Aglaja, è una giovinetta ombrosa, a volte perfino altezzosa, alla quale, tuttavia, soltanto l’orgoglio impedisce di abbandonarsi alla sua naturale, fresca esuberanza. Ma anche Aglaja finisce per esser conquistata dal disarmante candore del principe Myskin, da quella sua trasognata dolcezza. Tra i due giovani nasce ben presto un’intesa amichevole, che è già una possibilità d’amore.
Con la raccomandazione del generale, il giovane principe viene accolto come pensionante in casa della famiglia di Ganja, giovane e ambizioso segretario del generale. Ganja ha recentemente accettato una specie di sporco contratto, propostogli dal generale stesso: sposare cioè, per ottenerne danaro e protezioni influenti, la bellissima ma non certo onorata Nastàsja Filippovna, la stessa donna di cui è pazzamente innamorato Parfèn Rogòzin.
La storia di Nastàsja Filippovna è molto amara: rimasta orfana da bambina, è stata accolta da Totskij, suo ricco tutore; a dodici anni è già una splendida adolescente, di carattere vivacissimo e di acuta sensibilità. Il solerte tutore le fa impartire un’ottima educazione e attende pazientemente che la fanciulla compia i sedici anni per farne la propria amante, tenendola poi per cinque anni quasi segregata in una sua proprietà di campagna.
Raggiunta la. cinquantina, questo “onorevole” signore pensa finalmente di ammogliarsi e mette gli occhi sulla figlia maggiore del generale Epàncin, che gode di un’ottima reputazione presso la buona società di Pietr0burgo. Ma ecco che Nastàsja, dopo cinque anni di amara sottomissione, si ribella e minaccia uno scandalo: non già perchè desideri essere sposata da Totskij, che anzi le fa orrore, ma perché vuole vendicarsi del male che ne ha ricevuto.
Totskij chiede aiuto al generale Epàncin. Questi, discreto conoscitore dell’animo umano, vede nell’ambizioso e avido Ganja un possibile marito per la bella Nastàsja, alla quale egli stesso volge a volte i suoi più intimi pensieri: se Nastàsja divenisse la moglie di Ganja… con tutto quel che Ganja gli deve…
Il generale non osa spingere troppo in là la propria fantasia, ma mette tutta la sua abilità nel convincere Ganja a chiedere la mano di Nastàsja, alla quale Totskij, forse per tacitare la sua coscienza, ha elargito una ricchissima dote.

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In casa di Ganja, lo stesso giorno del suo arrivo, il principe Myskin conosce Nastàsja, che vi giunge inaspettata: la sua visita è una sfida spavalda alla famiglia di Ganja, da cui si sa disprezzata per il suo passato.
Il viso bellissimo e tormentato di Nastàsja produce sul principe un effetto profondo: egli intuisce con emozione i suoi pensieri, la sua sofferenza, la sua amarezza; sente quanto sia disperata di non sapersi sottrarre alle forze malefiche che la sua bellezza le attira intorno, impedendole una vita libera e onesta. Spinto da profonda pietà, la sera il principe si presenta, non invitato, in casa di Nastàsja, la quale è circondata da amici in attesa di festeggiare il consenso alle nozze con Ganja. Ed ecco che a mezzanotte, ubriaco e in compagnia di ubriachi, arriva Parfèn Rogòzin. Egli offre a Nastàsja centomila rubli per indurla a fuggire con lui. Il principe patisce l’offesa fatta a Nastàsja come se fosse lui stesso a subirla e, mosso da pietà, si rivolge a lei con rispetto, umilmente pregandola di volerlo sposare e rinunciare alla dote che Totskij le offre.
Nastàsja ne è profondamente commossa, ma non vuole acquistare una dignità sociale. sacrificando l’onore di un uomo buono e puro. Si congeda perciò dal principe e segue con rancore Rogòzin, spinta da un amaro impulso di autodistruzione. “Addio, principe, – dice congedandosi da Myskin – per la prima volta ho veduto un uomo…”

Per le stesse qualità, che Nastàsja ha intuito, anche Aglaja, la figlia di Epàncin, si innamora del principe: quella semplicità di modi, che a volte lo fa simile a un bambino, la commuove e la esalta. Anche il principe ama Aglaja, ma non può dimenticare Nastàsja, alla quale lo lega un sentimento che per lui è la vera legge dell’esistenza umana: la pietà. Per questo rinuncia all’amore di Aglaja e raggiunge Nastàsja per chiederle di nuovo di sposarlo. Questa volta Nastàsja acconsente. Ma quando, splendida nel suo abito di nozze, sta avviandosi alla chiesa, Nastàsja scorge tra la folla lo sguardo febbrile di Rogòzin. Ed eccola allora correre verso di lui come una pazza, supplicarlo piangendo di portarla via, perché lei è indegna di sposare il principe, l’unico uomo che rispetti e che ami.
Nastàsja sa che Rogòzin è fuori di sé, sa che l’ucciderà per impedirle di fuggire ancora: conosce il suo tremendo destino e tuttavia gli va incontro.

* * *

La stessa notte, accorso nella tetra casa di Rogòzin, Myskin la troverà morta, uccisa da Rogòzin stesso. Ma con lei si spegne, per il dolore, anche la ragione del principe buono, che ritorna a essere, forse per sempre, un povero idiota.

COMMENTO

“Tre settimane fa ho cominciato un nuovo romanzo e ho lavorato giorno e notte. L’idea principale del romanzo è rappresentare un uomo positivamente buono. Non c’è nulla di più difficile al mondo e specialmente adesso… questo è un compito smisurato. Il romanzo s’intitola L’Idiota“. Così Dostoevskij scrive alla nipote nel 1867. È interessante notare che nelle minute della prima stesura il protagonista è chiamato “principe Cristo”; quasi un Messia, forse, nel pensiero di Dostoevskij. Ma il personaggio del principe Myskin non sarà quale il suo creatore l’aveva vagheggiato agli inizi: ci sono in lui dei limiti, perché la sua bontà non riesce ad andare oltre i confini di una immensa compassione, non riesce a diventare una qualità veramente attiva, capace di salvare gli altri dal precipizio in cui, disperato e impotente, egli li vede cadere. Il principe Myskin riesce incomprensibile a molti, con quel suo amore incorporeo, quella sua pietà che non conosce limiti e che gli permette di amare insieme il buono e il cattivo, andando molto più in là della morale corrente e delle leggi umane.
Gli altri, trascinati dalle passioni, agiscono quasi in odio a lui, che non può e non sa fermarli. Quando intorno a lui si scatenerà la tragedia, la sua ragione non reggerà e si smarrirà; il principe sprofonderà nel buio della demenza. Ma nessuno potrà più dimenticare il ”suo volto sereno e gentile, la sua anima limpida, la sua assoluta bontà”. Ciascuno di noi sogna di poter un giorno incontrare un uomo come il principe Myskin, perché in lui è racchiusa, si può dire, tutta la bontà del mondo.
Ne L’idiota c’è il Dostoevskij più intimo, più doloroso, più cristiano; vero parente spirituale del principe Myskin, la cui misericordia per le sofferenze degli altri è immensa. Anzi, da molte pagine del libro traspare una profonda, commossa serenità, un desiderio di consolazione e di speranza, tanto più sentiti perché contrapposti a un mondo afflitto da compassionevoli miserie e da rovinose passioni. Il tutto forma un singolare miscuglio di bene e di male, che può sembrare sulle prime sconcertante e inaccettabile, ma che alla fine ci apparirà comprensibile e significativo. Tuttavia lo capiremo pienamente solo se ci saremo lasciati guidare da quella “intelligenza del cuore” che Dostoevskij si augurava di poter trovare nei lettori della propria opera.

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