LA LETTURA – Édouard Manet

LA LETTURA 1865-1372
Édouard Manet (1832-1883)
Museo d’Orsay, Parigi
Olio su tela cm 61 x 74

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Il dipinto ritrae la signora Manet e suo figlio Leon Koella-Leenoff che legge un libro per lei. Ancora una volta la pittura è testimone del clima culturale di un’epoca con la rappresentazione: in questo caso di un salotto tipicamente borghese, dove la letteratura riveste un ruolo preminente.
Ma il valore dell’opera non è semplicemente identificabile con quello documentario di una certa situazione socio-culturale, né può essere considerato come un semplice esempio di ritrattistica. In realtà l’attenzione dell’artista è rivolta non tanto all’identificazione psicologica dei personaggi, quanto al modo più efficace per rendere all’occhio dello spettatore la luminosità dell’ambiente in cui essi sono immersi.

Manet cerca di risolvere tutta la composizione con l’uso del celeste e del bianco proprio per restituire l’immagine fedele e realistica della stanza “bagnata” di luce. Dunque per effetto dei principi impressionistici che si andavano sviluppando proprio in quegli anni, i caratteri e i tratti delle figure umane perdono consistenza per lasciare posto ad una traduzione sensibile degli effetti della luce. E possibile interpretare questo chiarismo, questa delicatezza nelle tonalità, come il recupero da parte di Manet della pittura settecentesca, soprattutto di Fragonard, dopo la lunga fase particolarmente influenzata dai maestri del ‘6O0 spagnolo.

L’opera firmata “Manet” fu dipinta dall’artista in due fasi: Manet dipinse dapprima il ritratto della moglie nel 1865, poi riprese il quadro nel 1872. Nel 1944 la tela entrò a far parte del Louvre, grazie al legato della principessa Edmond Singer de Polignac; esposta dal 1947 al Jeu de Paume, dal 1986 è conservata al Museo d’Orsay.

 

Polifonia di colori

 

Le parole del poeta “maledetto” Jules Laforgue (1860-1887) in un articolo apparso sul “Mercure de France” nel 1903 (Melanges posthumes), sembrano calzare perfettamente per l’introduzione di un’opera come questa:
“In un paesaggio immerso nella luce, nel quale gli esseri si modellano come dei chiaroscuri colorati, là dove l’accademico non vede che la luce bianca allo stato diffuso, l’impressionista vede che la luce inonda tutto, non di uno smorto biancore, bensì di mille contrasti vibranti, di ricche scomposizioni prismatiche. Là dove l’accademico non vede che il disegno esterno che racchiude il modellato, l’impressionista vede le linee reali viventi, prive di forma geometrica ma costruite da mille tocchi irregolari che, da lontano, determinano la vita. Dove l’accademico vede le cose porsi sui rispettivi piani regolari secondo uno schema riducibile ad un puro disegno teorico, l’impressionista vede la prospettiva creata dai mille nulla dei toni e dei tocchi, dalle varietà di stati atmosferici secondo il loro piano non statico, bensì dinamico. Insomma l’occhio impressionista è l’occhio più avanzato nell’evoluzione umana, quello che fino ad ora ha scelto e reso le più complesse combinazioni di sfumature conosciute.
L’impressionista vede e rende la natura così com’è, cioè unicamente in vibrazioni colorate. Disegno, luce, modellato, prospettiva, chiaroscuro, classificazioni puerili: tutto ciò nella realtà si risolve in vibrazioni colorate e deve essere ottenuto sulla tela unicamente mediante vibrazioni colorate”.

Édouard Manet, Autoritratto (1879 circa)
New York, collezione privata
Olio su tela cm 83 × 67

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