DOTTRINE POLITICHE – IL LIBERALISMO DEL PRIMO OTTOCENTO

IL LIBERALISMO DEL PRIMO OTTOCENTO

Nell’atmosfera della Restaurazione e in parte in polemica con la politica reazionaria dei re, delle classi nobiliari e degli ecclesiastici che volevano fare come se la Rivoluzione francese non fosse mai avvenuta – la grande borghesia francese, oramai economicamente “classe dominante” e politicamente molto consapevole della sua forza, elabora una propria ideologia politica. È questa il liberalismo, nel significato che, pressappoco, conserva ancora oggi la parola per indicare uno specifico orientamento politico. Liberalismo ben diverso da quello del Sei e Settecento, il quale, per quanto limitato e in fondo anch’esso espressione di interessi di classe, tuttavia conteneva delle grandi affermazioni di principio caratterizzanti, più che una singola direzione politica, un’intera civiltà, un’intera concezione umana dei rapporti interni allo Stato; e quindi era capace di valere, almeno nelle grandi linee, al di là degli stessi interessi di classe che ne costituivano il substrato. Non cosi il liberalismo francese (e in genere europeo) dell’Ottocento: esso esprime un ideale politico essenzialmente borghese-aristocratico, l’ideale di una classe entrata in competizione con la cadente nobiltà che scimmiottava nelle tradizioni e nell`etichetta, e che ormai soppiantava comprando da nobili spiantati titoli e castelli.

Questa alta borghesia combatte da una parte una facile e poco impegnativa battaglia contro una nobiltà oramai praticamente liquidata; ma dall’altra un’aspra e difficile battaglia contro classi sociali nuove che si affacciano alla ribalta della storia: quali la piccola borghesia, politicamente oscillante tra democrazia radicale e socialismo moderato, il proletariato, in via di organizzazione nelle nascenti associazioni politiche a carattere socialistico, i piccoli proprietari di campagna, creati dalla Rivoluzione, fortemente attaccati all’ideologia cattolica e profondamente permeati di nostalgie bonapartistiche. Escludere la nobiltà, ma soprattutto le classi “inferiori” dal potere, ed esercitarlo in funzione degli interessi dell’alta borghesia (della finanza, dell’industria e della casta degli intellettuali), questo è in sostanza il programma del liberalismo contemporaneo, che oramai riduce la grande idea settecentesca della libertà ad una astrazione teorica, che spesso è opportuno rinnegare in pratica. Questo implica un lavoro teorico di filtrazione delle teorie illuministiche, in modo che ne restino soprattutto gli aspetti astratti o negativi, ma cadano le tendenze ad un concreto universalismo, le tendenze all’idea di uno Stato fondato sulla sovranità popolare e la vita collettiva, per ridurre lo Stato al semplice Stato di diritto, ossia ad un mero ordinamento giuridico avente più lo scopo di conservate l’ordine della società che non quello di promuovere e coordinare la vita nazionale – come già aveva sostenuto Wilhelm von Humboldt nel Saggio sui limiti dell’azione dello Stato, scritto nel 1792 ma pubblicato nel 1851 quando poteva trovare larga accoglienza nelle correnti liberali del tempo.

Il maggior teorico del liberalismo europeo resta Benjamin Constant (1767-1830), il quale nel Corso di politica costituzionale (1818) ne svolge tutte le idee fondamentali. Contro Rousseau, afferma nettamente che la sovranità popolare e in genere la democrazia radicale propugnata dal Ginevrino non sono garanzia di libertà, ma anzi danno sempre origine a tirannide. Di fronte alla formula classica della libertà come partecipazione al governo gli pone invece il costituzionalismo, il quale, mediante la divisione dei poteri e il parziale decentramento amministrativo, garantisce (donde il nome di “garantismo” dato a questa ideologia politica) una serie di “libertà” del cittadino di fronte allo Stato: integrità personale e familiare, libertà di religione, libertà di stampa, libertà dell`iniziativa industriale, inviolabilità della proprietà, etc. È la “libertà” tipicamente borghese.

Accanto a questo liberalismo che diremo “classico”, nasceva, per opera soprattutto di Félicité Robert de La Mennais (l782-1854), dal seno stesso della Restaurazione, un liberalismo cattolico. L’alleanza fra il trono e l’altare, tipico ideale della reazione successiva al 1815, implicava in Francia una ripresa della tradizionale tendenza della monarchia e dell’alto clero di Francia a distogliere la Chiesa francese dalla disciplina di Roma, con un parziale assoggettamento della Chiesa stessa allo Stato (gallicanesimo). Più papista del Papa (il quale però, nella persona di Gregorio III, lo condannerà nell’Enciclica Mirari vos), il La Mennais (che in un certo senso si può dire il precursore della democrazia cristiana) vuol fare leva sul sentimento religioso delle masse popolari per dare alla Chiesa l’indipendenza dai laici c il dominio politico-spirituale sulla nazione. Perciò egli propugna, nelle Paroles d’un croyant (1834), l’ideale di una larga democrazia, sostenendo che la libertà di diritto comune è garanzia sufficiente per le esigenze della religione, e che la partecipazione delle masse alla vita pubblica sarebbe un mezzo per realizzare l’idea della società cristiana assai più efficace che non l’equivoca azione dei re e dell’aristocrazia.

Più democratico dei precedenti è invece Alexis de Tocqueville. il quale in un celeberrimo libro, La democrazia americana (1835), studiando criticamente la vita politica degli Stati Uniti d’America, sostiene per la Francia (e in genere per l’Europa) un sistema democratico-liberale; in fondo su basi costituzionali garantistiche, ma con una maggiore partecipazione alla vita pubblica di quei ceti inferiori che invece i liberali puri come Constant e François Pierre Guillaume Guizot (1787-1874) volevano escludere mediante il sistema del suffragio limitato. Contro il suffragio universale, in cui scorge un pericolo di reazione monarchica e clericale è invece un pensatore semi socialista, studioso di economia politica, lo svizzero Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi (1773-1842). Nei Nuovi principi di economia politica (1819) egli si oppone al facile e astratto ottimismo dei liberisti inglesi, osservando che la libertà di produzione e di mercato, propugnata dai liberisti, minaccia di diventare una ripugnante tirannide esercitata dai ricchi sui poveri, in particolare dagli industriali sui lavoratori, e perciò sostiene la necessità di un vigile intervento dello Stato in difesa delle masse lavoratrici.

Félicité de Lamennais

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