DOTTRINE POLITICHE – L’ASSOLUTISMO ILLUMINATO

Federico II di Prussia

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L’assolutismo illuminato fece progredire l’Europa del ‘700

Come abbiamo visto, anche le teoriche dell’assolutismo si muovevano oramai su di un terreno molto moderno, quasi più moderno delle stesse teorie liberali. La vecchia concezione medievale, per la quale “ogni potere viene da Dio”, e quindi lo Stato è una specie di impalcatura gerarchicamente strutturata secondo un piano divino e in un ordine che sale dalla terra al Cielo – questa vecchia concezione agli inizi del Settecento non trovava più sostenitori se non tra i più incolti e insulsi reazionari. La laicità e popolarità dello Stato, il concetto che la sua autorità consistesse soltanto nel fatto che esso era l’organo attivo attraverso cui prendeva, per così dire, corpo e si esplicava in concreto la volontà collettiva rivolta al bene comune, erano dottrine oramai diffuse in tutto il pensiero dell’epoca e in tutti i partiti.

Per questo non bisogna credere che nel Settecento, almeno fino alla Rivoluzione francese, il contrasto tra assolutisti e liberali fosse molto vivo: tranne qualche episodio, dovuto più all’inframmettenza dei Gesuiti che ad una vera politica reazionaria dei sovrani, le idee liberali vengono elaborate e diffuse sotto il patrocinio di Re assoluti: non solo, ma questi sovrani accettano anche nella pratica molte idee liberali e ispirano ad esse la loro opera di governo. Questi Principi (Federico di Prussia, Caterina di Russia, Giuseppe d’Austria, Carlo di Borbone a Napoli e poi in Spagna, e altri minori) si dissero assolutisti illuminati. Essi ritenevano se stessi non despoti o tiranni padroni dei loro sudditi, ma servitori della comunità e dello Stato, aventi l’incarico di provvedere al bene collettivo, ed investiti di autorità assoluta allo scopo di rendere più continua, più efficiente e responsabile la loro opera. D’altra parte essi la concepivano come un’opera che si doveva esplicare mediante la legalità e nel rispetto di questa (anche da parte di loro stessi). Essi quindi abbandonano l’idea del sovrano che deve ” rendere conto solo a Dio” del suo operato; accettano le teorie moderne accentuandone però l’idea della personalità e autorità dello Stato piuttosto che quella della libertà individuale (che essi ritengono però di dovere, per principio, rispettare, quando essa non si ponga di fronte al bene dello Stato).

Il teorico più interessante di questa concezione assolutistico-illuminata è proprio quel re che meglio ne ha attuato in pratica la politica, fino a divenirne il simbolo: Federico II di Prussia (1712-1786). Tra le sue numerose opere di storia, filosofia e politica, la più famosa resta l’Antimachiavelli (1741), diretta contro il Principe del Machiavelli e contro il “machiavellismo” ancora diffuso tra i principotti di Germania e d’Italia del suo tempo.
Alla concezione del Principe come padrone e autore del proprio Stato (la cosiddetta teoria de “lo Stato opera d’arte”), egli oppone la concezione dello Stato e del Principe come esseri morali: lo Stato è fondato sulla sovranità popolare, nasce dal contratto sociale, ed ha lo scopo di procurare il benessere, la pace e la difesa dei cittadini: il Principe ne è il primo magistrato e ne assomma in sé, insieme a tutto il diritto, anche tutti i doveri e i fini.
Per quanto l’ideologia dell’assolutismo illuminato ripugni alle nostre idee democratiche, tuttavia bisogna riconoscere che essa, forse meglio ancora dell’ideologia liberale, ha espresso la situazione industriale: in Francia, in Inghilterra, più lentamente in alcune zone della Germania e dell’Italia, comincia l’industria moderna. Ed è l’epoca in cui, prima di prendere il potere, la borghesia raggiunge la massima potenza economica. Ma in quel momento, piuttosto che del potere politico, l’industria ha bisogno di riforme: ha bisogno che lo stato venga completamente liberato dagli ultimi residui feudali, rimodernato e tecnicizzato nei metodi amministrativi e negli istituti del diritto reso più conforme alle idee religiose e filosofiche moderne. Ha bisogno inoltre che lo Stato aumenti il potere d’acquisto del mercato interno promuovendo l’agricoltura là dove essa ristagna per colpa del latifondo nobiliare e della manomorta ecclesiastica. Infine ha bisogno di riforme che svincolino la mano d’opera dai ceppi della servitù della gleba, rendendola disponibile per lo sfruttamento industriale. Ma nel complesso (tranne che in Francia e in alcune parti d’Italia, dove la monarchia era meno propensa ad attuare le riforme) la borghesia europea del Settecento non aspira veramente alla conquista del potere, né si pone in contrasto con la monarchia: essa ha troppo bisogno dell’aiuto del sovrano per portare a termine la lotta contro i privilegi dei nobili e dei vescovi, e soprattutto per attuare una politica estera di difesa e conquista dei mercati, essenziale al successo dell’industria.
Insomma, la borghesia europea del Settecento, più che della forma politica (monarchia costituzionale o repubblica) dello Stato liberale ha bisogno del contenuto politico di tale Stato.
L’originalità dell’assolutismo illuminato è consistita nel dare agli Stati un tale contenuto liberale mantenendo ad essi la forma monarchico-assolutistica.
Tipica a questo proposito è la lotta combattuta dagli assolutisti illuminati cattolici contro il potere politico della Chiesa, lotta :he ha avuto il suo episodio più clamoroso nella soppressione della Compagnia di Gesù (1773). La monarchia combatteva i privilegi economici del Clero e mirava a limitarne grandemente al giurisdizione (cioè il potere dei tribunali ecclesiastici): ma il suo scopo ultimo era quello di arrivare ad una Chiesa di Stato che, pur essendo indipendente per la parte propriamente e strettamente religiosa, dipendesse politicamente e amministrativamente dal Re, riconoscendone la supremazia. Idee di questo genere propugnavano nel Settecento i Gallicani francesi e in Italia anche i. Giansenisti sostenuti dalle Corti (per esempio, di Toscana e d`Austria); ma il maggior teorico di questa politica ecclesiastica fu il teologo tedesco Johann Nikolaus von Hontheim (1701-1790), detto il Febronio (donde il nome di febronismo dato alle sue teorie).Nel De statu ecclesiae egli sostenne che la costituzione unitaria e monarchica della Chiesa era la causa principale delle eresie religiose, e caldeggiò la formazione di chiese nazionali sotto il controllo dei rispettivi Stati.
L’autore fu costretto a ritrattarsi, e l’opera fu messa all’indice: ma essa ebbe una notevolissima diffusione, fu tradotta nelle principali lingue europee e – quel che più conta – forni ai sovrani dei principii che essi seguirono largamente.
Un altro aspetto della “liberalizzazione” introdotta dall’assolutismo illuminato fu la riforma delle leggi penali e processuali, operata in quasi tutti gli Stati modernamente governati sotto l’influsso di un celebre libro ispirato alle idee liberali, che ebbe risonanza europea: il trattato Dei delitti e delle pene (1764) di Cesare Beccaria. In quest’opera l’autore, fondandosi sulla teoria del contratto sociale, enuncia l’importante principio che la punizione penale è un mezzo con cui la società si garantisce dagli elementi turbolenti che ne minacciano la pace. Perciò egli sostiene che, perchè il diritto che la società si arroga di punire i delinquenti non ecceda i limiti imposti alla società stessa dal contratto sociale, la pena deve essere il minimo che basti a scoraggiare il delitto; il processo deve essere condotto in modo pubblico e sulla base di un diritto che non lasci adito a personali interpretazioni da parte del giudice; in sintesi, il processo e la legislazione penale devono ispirarsi all’assioma che “perchè ogni pena non sia una violenza di una o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata ai delitti, dettata dalle leggi”.
Sulla base di questi principii il Beccaria combatteva il concetto di prigione preventiva ed esercitava una critica radicale all’interrogatorio mediante tortura (che la maggior parte degli Stati del Settecento abolirà, e verrà invece ristabilita in altre forme nei nostri “civilissimi” tempi); ed esercitava pure una celeberrima critica contro la pena di morte, perchè contraddittoria rispetto al contratto sociale (nessuno può per contratto autorizzare altri a togliergli la vita, dal momento che lo scopo fondamentale del contratto è appunto quello di garantire il rispetto e l’incolumità della vita di tutti e di ognuno), e poi perchè riteneva che la prospettiva della morte spaventi i delinquenti assai meno che non quella di una lunga prigione.

In conclusione, l’assolutismo illuminato rappresentò un elemento sostanziale di progresso nel Settecento europeo. Tuttavia esso non era che un compromesso: la politica dell’avvenire doveva invece dipendere dalle ideologie liberali e democratiche che intanto alcuni tra i massimi pensatori del Settecento andavano elaborando.

Cesare Beccaria (1738-1794)

VEDI ANCHE . . .

1) DOTTRINE POLITICHE – Nasce l’idea di Stato al tramonto del Medioevo

2) DOTTRINE POLITICHE – La formazione dello Stato assoluto

3) DOTTRINE POLITICHE – LA GRISI DELL’ASSOLUTISMO E I MONARCOMACHI

4) DOTTRINE POLITICHE –  LA TEORIA LIBERALE: ALTUSIO

5) DOTTRINE POLITICHE – ORIGINI DEL LIBERALISMO INGLESE

6) DOTTRINE POLITICHE – IL LIBERALISMO DI LOCKE

7) DOTTRINE POLITICHE – GLI ASSOLUTISTI 

8) DOTTRINE POLITICHE – L’ASSOLUTISMO ILLUMINATO

9) DOTTRINE POLITICHE – Lo stato costituzionale nel pensiero di Montesquieu

10) DOTTRINE POLITICHE – IL CONTRATTO SOCIALE DI  ROUSSEAU

11) DOTTRINE POLITICHE – LIBERALISMO E DEMOCRAZIA NELLE RIVOLUZIONI DEL ‘700

12) DOTTRINE POLITICHE – LA LETTERATURA DELLA RESTAURAZIONE

13) DOTTRINE POLITICHE – LA CONCEZIONE HEGELIANA DELLO STATO ETICO

14) DOTTRINE POLITICHE – IL LIBERALISMO DEL PRIMO OTTOCENTO

15) DOTTRINE POLITICHE – LIBERISTI E CONSERVATORI IN INGHILTERRA

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