DOTTRINE POLITICHE – LA FORMAZIONE DELLO STATO ASSOLUTO

LA FORMAZIONE DELLO STATO ASSOLUTO

I secoli XV e XVI vedono affermarsi, attraverso lotte tenaci contro i privilegi e i diritti feudali e contro i poteri universali (Impero e Chiesa) ormai in declino, una nuova forma di istituzione politica: il Principato, dal quale si sviluppa poi la Monarchia assoluta.

I Principi, qualunque poi fosse il loro titolo (duchi, marchesi, re, a seconda dei luoghi e delle epoche) riescono in primo luogo, e quasi sempre con l’appoggio della borghesia, ad affermarsi come forza economica autonoma e potente. Essi, con metodi spesso di inaudita brutalità o di disonesta furberia e tradimento, riescono a formarsi vasti patrimoni personali, in terre e denaro, incrementati anche dalle tasse di città che essi prendono sotto la loro diretta amministrazione e “protezione”. Con questo (facilitati anche dall’impiego delle armi da fuoco e dalla formazione di grosse masse di fanterie mercenarie), essi formano un esercito personale, con cui tengono a freno e rintuzzano le leghe dei nobili ribelli, che vengono così spogliati di ogni potere politico e di molti dei loro privilegi feudali (almeno di quelli che avevano nei riguardi della corona: che invece conserveranno ancora a lungo quelli dei contadini a loro soggetti).
Teorico della prassi dei Principi è stato il fiorentino Niccolò Machiavelli (1469-1527), che ha esposto le sue dottrine in varie opere di cui la più famosa è Il Principe.
Egli, constatando come la debolezza politica e militare dell’Italia derivava dal fatto che mentre altrove (Spagna, Francia) si erano formate grandi monarchie nazionali assolute, l’Italia rimaneva spezzettata in piccoli Principati, invita un principe della casa dei Medici di Firenze a prendere l’iniziativa di unificare l’Italia; e così gli dà consigli, tratti da esempi della realtà politica dei suoi tempi, circa il modo di formare e governare tale principato.
Questi consigli sono rimasti famosi per il loro cinismo: frode, malafede, violenza sono considerati mezzi normali ed efficaci. Il machiavellismo, che tanto sdegno solleverà nei moralisti di tutta Europa, sarà per due secoli il normale metodo di governo di tutti i Principi, italiani ed europei.
Bisogna però osservare che se è vero che il Principe, per quanto di solito fosse un regnante legittimo, agiva tirannicamente e individualisticamente sia come forza economica sia come forza militare, tuttavia di solito si reggeva con l’appoggio di nuove forze sociali, le quali aspiravano ad avere nello Stato e nel sovrano protezione, una politica favorevole ai loro affari, rispetto delle leggi ed uguaglianza di fronte a queste. Così, prima o dopo secondo i luoghi (e la tragedia dell’Italia fu che invece qui non accadde o accadde in misura ridotta) il Principe si trasforma in Monarca nazionale che riunisce sotto il suo scettro e l’effettiva amministrazione sua il governo di tutte le regioni, abolendo particolarismi, divisioni feudali, spesso riducendo, come ho detto, privilegi nobiliari ed ecclesiastici.
Non solo: ma oramai il Monarca sente di dover agire per l’interesse e il bene della collettività, facendo le guerre e le alleanze secondo gli interessi nazionali, proteggendo le arti e le scienze in modo da patrocinare la formazione di una cultura avente, di fronte all’universalismo medievale, spiccati caratteri di nazione (francese. inglese, ecc.).
Così si forma la concezione dello Stato come collettività giuridicamente organizzata per la tutela e l’amministrazione degli interessi e dei beni comuni e il progresso della società intera su di una base di uguaglianza (naturalmente, nello Stato moderno monarchico, si trattava di uguaglianza soltanto formale, giuridica, e anche questa imperfettamente attuata).
Certo noi oggi non desidereremmo la formazione di uno Stato monarchico assoluto contro il quale generazioni intere hanno lottato tenacemente fino alla vittoria: ma obiettivamente bisogna riconoscere che nei secoli XV e XVI le monarchie assolute hanno compiuto un’importantissima funzione storica permettendo il formarsi del mondo moderno, lo sviluppo del sapere scientifico, i progressi della tecnica.
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Naturalmente, la rivoluzione monarchica, intesa nel modo che ho spiegalo, ha trovato i suoi teorici, i quali hanno gettato le basi della concezione filosofica-giuridica dello Stato moderno.
Di questi di gran lunga il più celebre ed importante è il francese Jean Bodin (Angers, 1529 – Laon, 1596), autore di un’opera che ha esercitato una profondissima influenza sulla formazione del pensiero politico dei secoli seguenti. L’opera si intitola Les Six Livres de la République (I sei libri della Repubblica), e fu pubblicata nel 1576.
In essa il Bodin si mette in polemica con il Il Principe del Machiavelli, al quale rimprovera di aver studiato soltanto il processo della formazione della monarchia senza essersi posto il problema di indagarne la base giuridica e la funzione sociale.
Tale fondamento è per lui dato dalla sovranità dello Stato; la sovranità è per sua natura assoluta perchè essendo la fonte e il fondamento delle leggi, è sciolta dalle leggi stesse. Essendo la sola fonte legittima del potere, non ha di fronte a sè nessun potere che possa limitarla.
Non che con questo venga propriamente propugnata la monarchia assoluta, sebbene il Bodin tenda proprio ad esaltare tale forma di governo come la migliore: ma quello che propriamente è affermato è il concetto giuridico-politico dello Stato come sommo potere, e anzi fonte di ogni potere. Nè lo Staro va propriamente confuso col governo: infatti il Bodin distingue lo “stato della repubblica”, che è propriamente la costituzione politico-giuridica dello Stato, dal “metodo di governo”, che consiste nell’organizzazione degli uffici utili al governo effettivo, degli uffici di cui il sovrano si serve per l’amministrazione effettiva del potere.
Il “sovrano” poi non è necessariamente il re.
Il Bodin distingue tre forme di Stato assoluto: la democrazia assoluta, in cui il sovrano è il popolo…, l’aristocrazia assoluta, in cui il sovrano è la collettività dei nobili…, la monarchia assoluta, in cui iI sovrano è il re.
Tutte e tre sono forme autentiche di Stato: soltanto, per il Bodin, la migliore è l’ultima (sul che io oggi ho molte… riserve).
Comunque, una volta posta questa idea dello Stato, il machiavellismo, viene violentemente respinto: il sovrano, chiunque sia, ha una funzione storica e naturale da compiere: la sua azione può e deve ispirarsi solo al diritto naturale e favorire il benessere dei sudditi, i rapporti con i quali devono, e possono, venir regolati non con la violenza, l’arbitrio e la frode, ma con la legge e la costituzione. Sennonché, e qui è il limite del Bodin (e del resto il limite della realtà storica dello Stato moderno, per cui esso non è mai riuscito ad incarnare la propria idea), il cosiddetto “diritto naturale” comprende anche il diritto di proprietà: il quale è sostanzialmente l’unico limite che l’assolutista Bodin pone all’azione del sovrano.
Ma con questo limite l’uguaglianza di fronte allo Stato (anche quella puramente formale), la libertà individuale, il benessere della collettività (che finisce ad identificarsi con l’interesse dei soli possidenti) restano pure parole o poco più: la rivoluzione borghese, monarchica o no, finirà ovunque a sostituire privilegi a privilegi, quando non addirittura a far convivere privilegi nuovi con i residui di privilegi vecchi.
Per questo, sebbene più “filosofico”, cioè più ideologico, più astratto, meno radicato nella realtà storica (ma non dalle aspirazioni umane), per noi presenta un notevole interesse il pensiero degli Utopisti, di cui è piena la letteratura politica del Cinquecento e del Seicento.
Nonostante le idee diverse, parecchie delle quali abbastanza strampalate, tutti questi scrittori sono concordi nel denunciare gli abusi dei ricchi, l’effettiva mancanza di uguaglianza dei cittadini, l’azione diseducatrice che la società del loro tempo esercita sui poveri, e nel reclamare uno Stato, anche esso assoluto come quello di Bodin, ma dove la proprietà è bene collettivo (non esiste cioè proprietà privata), il lavoro è obbligatorio per tutti, e a tutti deve venir data la possibilità concreta di ricevere un’educazione e di sviluppare la propria mente.
Ma i tempi non erano ancora maturi perchè queste idee da sogni utopistici divenissero programma concreto di masse di lavoratori in movimento.
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