DOTTRINE POLITICHE – Lo stato costituzionale nel pensiero di Montesquieu

Lo stato costituzionale nel pensiero di Montesquieu

Il secolo XVIII in Francia è dominato dal pensiero illuministico. Entusiasti dei grandi progressi che il pensiero umano aveva compiuto per opera della scienza moderna e in particolare di Isaac Newton, progressi in conseguenza dei quali l’uomo aveva conseguito un largo controllo sulla natura, gli Illuministi pensano – e si accingono all’opera con grande fede ed entusiasmo – che gli stessi metodi si possano trasferire e applicare ad un altro e ben più delicato settore: quello dei rapporti tra gli uomini. In altri termini pensano che, fondandosi sull’esperienza e sulle induzioni che il pensiero può trarre da essa, sia possibile fondare una scienza razionale dell’uomo: un’economia politica, una scienza del diritto, una scienza dell’educazione, una scienza politica, razionali, scientifiche. Da queste scienze si sarebbero poi dovuti trarre i principii per regolare i rapporti umani, cosa che finora era stata lasciata ai capricci dei re, ai pregiudizi e alle superstizioni religiose, ai risultati casuali di una vecchia e complessa tradizione, molti istituti della quale (come i privilegi morali e fiscali dei nobili e del clero, la manomorta ecclesiastica) erano rimasti per mera inerzia storica, oramai svuotati di quei motivi che forse in altre epoche li avevano giustificati.

Sebbene condannate e perseguitato dalla Chiesa e dalla polizia regia, queste idee si diffondevano rapidamente, irresistibilmente. È certo alla loro diffusione contribuiva non poco il malcontento generale che il popolo francese nutriva nei riguardi delle proprie istituzioni politiche. Indubbiamente la borghesia francese aveva avuto un rapido, brillante sviluppo sotto il regno di Luigi XIV, il Re Sole (1643-1715). Sotto il regno di questo grande, crudele e intelligentissimo despota, per il quale 1′uomo cominciava si e no dal nobile, e che soleva considerare lo Stato francese (territorio e sudditi compresi) come una sua proprietà privata, la borghesia aveva goduto – ciononostante – di una costante e benefica protezione politico-economica; moltissime impalcature feudali erano cadute; la Chiesa di Francia si era in gran parte affrancata da Roma… Era iniziata la rivoluzione industriale in Francia; c`era persino stato, almeno per un po’ di tempo, un fiorente sviluppo coloniale… Tanto che Voltaire, l’araldo dell’illuminismo francese, aveva potuto considerare il secolo di Luigi XIV come l’avvento dello Stato razionale. Ma negli ultimi anni del regno del grande Re, e peggio ancora durante la Reggenza (1715-1723) e il regno del successore Luigi XV (1723-1774), quella “rivoluzione” monarchica, si era praticamente arrestata; e per giunta rovesci militari, gravi crisi finanziarie, perdita di colonie erano venuti a paralizzare il progresso economico e sociale della Francia. Il sistema assolutistico faceva vedere i suoi lati peggiori; i morti istituti tradizionali facevano sentire il loro peso e le loro contraddizioni.

Di fronte a questa grave decadenza della Francia stava il grande esempio della vicina-rivale, l’Inghilterra. Essa era uscita vincitrice dalle grandi guerre dell’Età Moderna, aveva sconfitto Spagna e Francia, era ormai signora dei mari, con un’immenso impero coloniale, e si avviava a divenire signora dei mercati continentali. Di qui si diffondersi in Francia di una spiccata anglofilia, di una grande ammirazione per 1’Inghilterra (ammirazione che si raffredderà assai quando la rivoluzione americana verrà a mostrare che non era tutto oro quel che riluceva nel gioiello inglese). Voltaire, per esempio, con le sue celebri Lettere sugli Inglesi (1726-28) diffonde insieme la filosofia di Newton e il sistema. teorico e pratico, del liberalismo inglese, così, in parte per le condizioni obiettive e sotto la spinta del modello inglese, in parte per l’influsso generale delle idee illuministiche, si diffonde in Francia il liberalismo: fenomeno di notevolissima importanza, non soltanto perchè esso costituisce l`ideologia della prima fase almeno della Rivoluzione del 1789, ma anche perchè il resto dell’Europa, il liberalismo politico, oltre all’Illuminismo, lo ha ricevuto dalla Francia. Persino lo stesso pensiero politico inglese ne risentirà l’influenza, per cosi dire, di “ritorno “, come per esempio mostrano i Commentaries on the Laws of England (1765-69) di William Blackstone, opera che ebbe in Inghilterra notevole diffusione e fama, e che pure rispecchiava le idee del Montesquieu. Più o meno genericamente “liberali” sono tutti gli scrittori dell’Illuminismo francese. E in generale essi ripetono i temi generici della filosofia politica di Locke: diritto di natura precedente quello dello Stato, contratto sociale, sovranità popolare… Però in questi scrittori liberali francesi l’accento non batte tanto su questi motivi più strettamente filosofici, quanto su altri: sul tema della tolleranza religiosa, sul rispetto per l’individualità e la persona umana, sulla “moderazione” del governo, come principio di civiltà, come situazione morale, come “atmosfera” più propizia al progresso economico e morale. Ed è appunto da questa atmosfera di cultura che si sviluppa quello che è l’aspetto più caratteristico del liberalismo europeo: il garantismo, in contrasto col pensiero democratico europeo ed americano e con lo stesso liberalismo inglese del Settecento, più propensi ad accentuare l’aspetto di “comunità” della vita statale che non l’astratto motivo della libertà individuale. Il garantismo è la concezione che i poteri delle Stato vanno regolati e divisi in modo da dare ai sudditi garanzie, giuridiche e pratiche, circa la loro libertà personale e l’uso libero delle loro coscienze e dei loro patrimoni. Mentre la democrazia tende a fondere Stato e popolo in un’unica realtà storica, vitale, il liberalismo garantista tende soltanto a limitare l’azione dello Stato nei confronti dei singoli.
Di qui l`ideale della monarchia costituzionale: il Re resta il re, in fondo per diritto divino (o quasi) – ma la sua opera è limitata da una legge fondamentale dello Stato, la Costituzione, alla quale il Re stesso deve obbedire, e che assegna alcuni poteri (soprattutto il potere -legislativo trasferito ai rappresentanti del popolo) ad altri organi non dipendenti dal Re. Che è, in fondo, ancora l’ideale delle destre “moderate” di oggi.

L’opera che meglio di ogni altra ha esposto queste concezioni politiche è Lo Spirito delle Leggi (1748) di Charles Louis de Secondat, barone di Montesquieu (1669-1755). Questo libro ebbe una risonanza enorme, non solo in Francia e nell’Europa continentale, ma anche in Inghilterra e in America; e non solo nel suo secolo, ma anche sul liberalismo dell’Ottocento; ispirò gran parte della Rivoluzione francese e non piccola parte delle rivoluzioni liberali del secolo scorso. Il suo tono è ben diverso da quello degli scritti inglesi (vedi Locke), e da cui pure deriva. Infatti ci si ritrovano i temi del diritto naturale, della sovranità popolare, etc.; ma l’accento batte piuttosto sull’esigenza che le leggi non siano un mero prodotto di tradizione o di arbitrio legislativo, bensì cospirino armonicamente, siano tenute insieme e siano coerenti ad un principio ispiratore, che è appunto lo “spirito delle leggi”. Il governo, che è il principio attivo ed essenziale dello Stato, può essere repubblicano, ed allora si fonda sul sentimento della virtù; oppure monarchico, fondato in tal caso sull’onore; oppure dispotico, fondato sulla paura. La stabilità dello Stato poggia sul principio del governo e sulla coerenza delle leggi con tale principio; quando tale principio si corrompe e tale coerenza viene meno, anche le migliori leggi diventano cattive. Bisogna inoltre tenere presente anche la situazione geografica, (soprattutto il clima) che inclina gli uomini a certe forme di governo, e la situazione economica. Per la Francia e in genere per l’Europa, il Montesquieu trova più giusta e più propizia la forma di monarchia costituzionale di tipo inglese – o meglio, una sua propria idealizzazione di tale forma di governo, la cui essenza per lui consiste essenzialmente nella separazione e limitazione reciproca dei tre poteri fondamentali dello Stato: esecutiva (Re), legislativo (con due camere, una ereditaria dei Lords, una elettiva dei Comuni), giudiziario (magistratura). Ciò nel Settecento era una vera e propria interpretazione e idealizzazione della forma di governo inglese.

È inutile perderci a parlare della pleiade dei seguaci di Montesquieu. Ricordiamo solo di sfuggita, per l’importanza che il suo autore ebbe nella prima e seconda fase della Rivoluzione francese, il Saggio sul Dispotismo (Neuchatel, 1775) di Honoré Gabriel Riqueticonte di Mirabeau. Ma quello che più ci interessa rilevare, è che la concezione politica di Montesquieu non va al di là dell’esigenza e del desiderio di un’apertura della monarchia e di una partecipazione al potere di più vasti strati della nobiltà e della borghesia. Le vere questioni di fondo non vi sono toccate, e di fatto il popolo vi resta escluso dalla vita dello Stato. Di fronte a tale concezione si svilupperà invece un pensiero radicalmente democratico e repubblicano, di cui il massimo esponente sarà Jean-Jacques Rousseau.

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