IL CINQUECENTO – L’età del Rinascimento

IL CINQUECENTO

L’età del Rinascimento

Il Rinascimento (questo termine è stato adottato dagli storici del secolo scorso) rappresenta un momento di grande fulgore nella storia della cultura e della civiltà umane.

A differenza dell’Umanesimo, il Rinascimento non è un fatto soltanto letterario o artistico, ma un movimento che investe e coinvolge cultura e concezione del mondo, che rinnova le coscienze.

Si può dire che non è tanto l’uomo al centro degli interessi del Rinascimento (come invece era stato per l’Umanesimo) quanto la costruzione di un uomo nuovo, espressione delle nuove classi dominanti. Già negli ultimi decenni del ‘400 Leon Battista Alberti e Leonardo anticipano, come abbiamo visto, i caratteri dell’uomo rinascimentale; già la scienza manifesta i segni che ne lasciano presagire futuri, impetuosi sviluppi. Il Rinascimento si permea di spirito “borghese” e “laico”: non sarà contro la Chiesa, ma il risveglio culturale e di pensiero che “susciterà porranno quest’ultima di fronte ad un grave, drammatico problema di adeguamento storico.

Spirito borghese nel senso che la cultura del Rinascimento è patrimonio esclusivo delle forze dirigenti della società: signori e principi possono acquistare per sé l’ingegno dei poeti, degli scienziati, degli artisti. Questi spezzano gli ultimi legami col Medioevo, abbandonano definitivamente il latino – cui gli umanisti erano tornati – traggono nuova forza espressiva da un ”volgare” che pure l‘esperienza umanista aveva finito con l’arricchire.

Leonardo prima e poi l’Ariosto, Michelangelo, Machiavelli: con loro il pensiero e l’arte rinascimentale raggiungono vertici altissimi. E tuttavia a questo splendore s’accompagna un processo di disgregazione politica delle forze borghesi italiane.

Le ripercussioni sul piano economico – profondamente negative per l’Italia – delle scoperte geografiche, segnano la definitiva sconfitta, già delineatasi nel ‘400, della borghesia comunale.

Machiavelli, consapevole di questa disgregazione e della mancanza di una coscienza nazionale che altrove, in Francia e in Spagna, ad esempio, aveva portato alla edificazione di solidi Stati, sarà il primo grande italiano ad avere una visione non soltanto letteraria (come Dante e Petrarca) ma politica del problema dell’unità nazionale.


Ludovico Ariosto

La vita Ludovico Ariosto nacque nel l474 a Reggio Emilia, sede della famiglia degli Estensi, che egli servì fedelmente, dopo la morte del padre, per provvedere alle necessità dei suoi fratelli. Le tristi condizioni familiari non gli permisero di dedicarsi liberamente agli studi umanistici e lo costrinsero ad allontanarsi spesso da Ferrara, sua patria d’adozione, per assolvere delicati incarichi affidatigli dai duchi d’Este. Fu commissario in Garfagnana, montuosa e selvaggia regione dell’Appennino settentrionale, e svolse molte missioni diplomatiche.

Nonostante queste difficoltà pratiche fu un autore molto fecondo: scrisse liriche latine, poesie in lingua italiana, sette satire sul modello di quelle oraziane e alcune commedie. Interessante è il suo epistolario, composto di 200 lettere.
Nel 1525, stanco e pieno di nostalgia, decise di tornare a Ferrara per attendere agli studi preferiti e alla stesura e correzione del suo capolavoro, l’Orlando Furioso. Trascorse così serenamente gli ultimi anni della sua vita che si concluse nel 1533.

L’Orlando Furioso – Con l’Orlando Furioso, poema cavalleresco composto da 46 canti in ottave, l’Ariosto riprende la storia dell‘Orlando Innamorato di Matteo Boiardo, dal punto in cui questa s’interrompe.

L’ispirazione dell’Ariosto non è guerriera o religiosa: egli ama narrare le vicende d’amore, i grandi atti di valore degli eroi cristiani e saraceni, i gesti cortesi e straordinari dei cavalieri di un tempo. Nel poema, complesso e movimentato, si possono cogliere tre filoni principali: quello “epico” della lotta tra cristiani e saraceni; quello “amoroso” della tormentata passione per Angelica di Orlando, valoroso guerriero, governatore della Marca di Bretagna ed eroico paladino di Carlo Magno; quello “encomiastico” (di lode della famiglia estense) dell’amore tra Bradamante e Ruggero, dalla cui unione avrà origine la famiglia d’Este. A questi tre motivi principali si intrecciano infinite avventure, favole poetiche e vicende amorose guardate con sorridente saggezza dal poeta.

È sempre presente nel poema una vena riflessiva e moraleggiante che ispira garbate riflessioni sulle passioni e sulle aspirazioni degli uomini di ogni tempo. Ad esse il poeta guarda con simpatia e bonaria ironia e con una saggezza, benevola e garbata, che poteva nascere soltanto da una visione serena e aperta del mondo, basata sulla conoscenza dell’uomo, della sua contraddittoria natura e sull’accettazione di tutti gli aspetti della realtà.

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