IL RITRATTO DI DORIAN GRAY – Oscar Wilde

Recensione

Lord Henry Wotton si avvicinò al quadro e contemplò a lungo: era un’opera meravigliosa, il più bel ritratto che egli avesse mai visto. Staccò a fatica lo sguardo dal dipinto per volgersi al modello, un giovane bellissimo, il cui volto era di una perfezione rara. Perfetta era anche la somiglianza tra il modello e il ritratto.
“Mio caro, mi congratulo con te – disse rivolto al pittore, Basil Hallward.  È il più bel ritratto del nostro tempo. Venite, signor Gray, venite a vedervi”,
Il giovane si avvicinò e stette immobile, come stupito davanti all’immagine della sua stessa, straordinaria bellezza.
“Che cosa triste! -mormorò, tenendo gli occhi fissi al ritratto – Diventerò vecchio, brutto, sgradevole mentre questo mio ritratto rimarrà sempre giovane… Se potessi, io, restare sempre giovane e invecchiasse invece il dipinto! Pur di ottenere questo darei la mia stessa anima!”
A queste parole, il pittore lo guardò sbalordito, tremando per un’improvvisa angoscia, quasi l’avesse colpito un tragico presagio, qualcosa che nemmeno lui avrebbe saputo ben definire.
Fu in quella occasione che ebbe inizio l’amicizia tra il giovanissimo Dorian Gray e il cinico Henry Wotton, la cui brillante conversazione incantava i salotti di Londra. Le massime spregiudicate di Lord Wotton e la sua concezione sulla vita, vista soltanto in funzione del piacere e della bellezza, avevano conquistato Dorian Gray. Egli considerava Henry il suo maestro, lo seguiva in tutto, gli confidava ogni suo pensiero.
“Mi sono innamorato, Henry; – gli disse un giorno – si chiama Sybil Vane, è una attrice.”
“Mai sentita nominare.”
“Nessuno la conosce, ma un giorno sarà celebre.”
Sybil Vane non aveva ancora diciassette anni; il suo piccolo volto era simile a un fiore; gli occhi immensi e appassionati erano la più bella cosa che Dorian Gray avesse mai visto. Sentirla recitare era come ascoltare una musica. Recitava in un teatrucolo di periferia e ogni sera Dorian andava ad ascoltarla; chiudeva gli occhi e udiva quella meravigliosa voce. Era spesso angosciato dal pensiero che Sybil avrebbe potuto respingere il suo amore.
Ma non amarlo era impossibile: egli era l’immagine stessa dell’amore. Sybil lo adorò fin dal primo incontro e gli offrì un amore pazzo, esclusivo, appassionato. Prima di conoscerlo pensava che l’arte fosse la sola realtà della sua vita: viveva solo per il teatro. Ora le sembrò di essere stata. liberata da una prigione; del teatro non le importò più nulla. Non riusciva più a recitare, perché fingere sulla scena di essere innamorata le pareva una profanazione dell’amore.
Ma l’amore fu la sua rovina.
Dorian aveva amato in lei soltanto l’attrice: gli era sembrata meravigliosa per la sua arte, per la sua capacità di dare una realtà, sia pure fittizia, ai sogni dei poeti. Amarla soltanto per se stessa gli fu impossibile. E una sera glielo disse, con aspro risentimento.
“Tu. hai ucciso il mio amore. Non posso rivederti più. Mi hai deluso.” Quella notte Dorian vagabondò per Londra fino all’alba; quando rientrò nella sua stanza lo sguardo, gli cadde sul ritratto dipinto da Basil Hallward. Gli parve che l’espressione del volto fosse mutata: attorno alle labbra apparivano strane ombre; erano rughe, nettamente delineate. Spaventato, prese uno specchio e considerò a lungo il suo viso: era quello di sempre, liscio, ingenuo e puro. Ritornò presso il quadro e l’osservò ancora, sperando di essersi ingannato. Non v’era dubbio: l’espressione del ritratto era cattiva; quelle erano le rughe dell’egoismo e della crudeltà. All’improvviso ricordò tremando il suo folle desiderio che fosse il dipinto a invecchiare al posto suo, a ricevere le impronte delle sofferenze e delle passioni. Ecco, l’incantesimo si avverava, era mostruoso ma si avverava: il quadro era lì, a testimoniare la sua cattiveria verso Sybil.
Poche ore dopo seppe che Sybil Vane era morta: si era avvelenata, non sopportando di vivere senza il suo amore.
La costante vicinanza dello spregiudicato Lord Wotton, prodigo di cinici consigli, fece presto dimenticare a Dorian la povera Sybil che avrebbe potuto salvarlo, fermarlo in tempo sulla china pericolosa di un’esistenza dissoluta.
Lord Wotton, diabolicamente raffinato nella sua opera di corruzione, si divertiva a coltivare la vanità e l’egoismo di Dorian. Lo conduceva con sé nei salotti aristocratici e nei luoghi più malfamati di Londra, attizzava in lui le passioni più torbide e segrete. Dorian Gray era nell’aspetto esteriore il bellissimo giovane di sempre: non una traccia dei suoi vizi appariva sui lineamenti purissimi del suo viso sereno.
Ma la sua immagine, nel ritratto, invecchiava e si faceva sempre più ripugnante. Brevi linee, dapprima, come sottili incisioni attorno agli occhi e alla bocca; poi rughe sempre più profonde ed evidenti, espressive, terribilmente rivelatrici. In quella tela dipinta Dorian poteva contemplare la sua anima. Relegò il quadro in una camera disabitata, 1o coprì con una stoffa, chiuse la porta e si mise la chiave in tasca, Gli parve di essere salvo: nessuno avrebbe scoperto la sua vergogna,
Per settimane intere Dorian evitava di andare a esaminare il ritratto, ma gli era ugualmente impossibile dimenticare l’esistenza di quell’orribile cosa. Cercava di non stare mai a lungo lontano da Londra, preso dal terrore che qualcuno potesse entrare nella stanza segreta. L’idea che la sua vergogna diventasse di dominio pubblico lo atterriva.
Per anni era riuscito a tenere celati i suoi vizi, la sua vita dissoluta, la sua profonda immoralità. Ma un giorno si cominciò a mormorare sul suo conto. Era la sera del suo trentottesimo compleanno, quando il pittore Basil Hallward andò a salutarlo: sarebbe rimasto per qualche tempo lontano da Londra e non voleva partire senza aver parlato a Dorian con affettuosa fermezza.
“Credo di doverti avvertire che si dicono cose orribili di te, della vita che conduci. – gli disse Basil – Dicono che corrompi tutti quelli che diventano tuoi intimi amici. Ho udito cose di cui mi sembra impossibile dubitare, ma non voglio credervi… Potessi leggerti nell’anima.!” Dorian interruppe l’amico con una risata di scherno; uscì dalla stanza, invitando il pittore a seguirlo. Giunto alla camera segreta strappò la stoffa che ricopriva il quadro:
“Ecco la mia anima.”
Agghiacciato dallo spavento, il pittore contempla quel volto orrendo la cui espressione lo riempie di ribrezzo. Gli sembra di riconoscere la sua opera, pur così mutata; guarda meglio e vede in un angolo il suo nome scritto in rosso. Non v’è dubbio: è il ritratto di Dorian. Dio mio! Quello è il “vero” Dorian Gray!
Hallward non sa trattenere un grido d’orrore. Dorian guarda con occhi folli e colmi di odio colui che ha dipinto la tela dell’incantesimo. Rapido, senza un attimo di esitazione, prende un pugnale e 1o uccide.
Il giorno dopo manda a chiamare Alan Campbell, un intimo amico. Dorian è al corrente di un segreto che per nulla al mondo Alan vorrebbe far conoscere. Ricattato e minacciato, egli accetta di far sparire il cadavere di Hallward. Portato a termine l’atroce incarico, Alan Campbell si uccide, sopraffatto dall’orrore di quanto è stato costretto a compiere.

Nei salotti londinesi per qualche settimana si fanno le più strane supposizioni su due fatti inspiegabili: la sparizione di Basil Hallward e il suicidio di Alan Campbell. Nessuno sospetta di Dorian Gray, il cui viso bellissimo e sereno non reca traccia del terrore e del disgusto di sé che ormai non gli danno più tregua. È giunto a odiare la bellezza e la gioventù che un tempo aveva invocato: senza di esse la sua vita sarebbe stata onesta.
Lassù, nella stanza segreta, vi è quella testimonianza tremenda delle brutture di cui si è macchiato, ed egli sente che non può più sopportare la presenza di quel testimone. Deve liberarsene a ogni costo. Distruggerlo; ecco il coltello che ha colpito Basil: è ancora lì, luccica sul cassone accanto al ritratto. Quasi senza riflettere, Dorian lo afferra e colpisce la tela, con tutta la forza del suo braccio. Un grido spaventoso di agonia risuona per tutta la casa: i servi si svegliano e accorrono pieni di terrore. Quando entrano nella soffitta vedono appeso al muro il ritratto del loro padrone, splendido di gioventù e di bellezza; in terra, ai piedi del quadro, giace un cadavere con un coltello piantato nel cuore. È un uomo orribile, dal volto rugoso e ripugnante, spaventoso a vedersi. È il corpo di Dorian Gray.

VALORE DELL’OPERA

Disse una volta il grande drammaturgo Bernard Shaw a proposito di Oscar Wilde: “Sono sicuro che un giorno le enciclopedie lo liquideranno in mezza riga”.
Si è sbagliato. Il grande Shaw non poteva esprimere un giudizio più avventato. L’interesse per l’opera di Oscar Wilde è sempre vivo. Sull’importanza letteraria del Ritratto di Dorian Gray ci si accanisce ancor oggi a discutere: gli avversari di Wilde, specialmente fra i critici inglesi, sono parecchi, ma altrettanti sono quelli che riconoscono il valore di questo romanzo. Molti ce l’hanno con Wilde per la sua facilità al paradosso, alla battuta di spirito.  “Geniale istrione” lo chiamano, più attore che scrittore; anche quando scrive con impegno cade nella battuta “facile”, vuole stupire, sbalordire il suo pubblico.” Queste le accuse, e non sono del tutto campate in aria. Ciò non toglie che Il Ritratto di Dorian Gray sia il romanzo più originale e interessante dell’ultimo Ottocento inglese; l’espressione più tipica di un’arte che cerca espressioni sempre più raffinate, cesellate come gioielli. Il romanzo del Wilde uscì in Inghilterra nel 1891; fu subito oggetto di grande scandalo, perché il pubblico volle riconoscere nel protagonista lo stesso scrittore. Il libro sembrava la “cinica confessione” del peccatore Oscar Wilde.
Più che un romanzo è una fiaba. Anche lo stile è fiabesco, con quella ricerca del prezioso in ogni particolare, in ogni sfumatura. Gli ambienti sono splendidi, insoliti, fuori della realtà.
Le brutture e i vizi sono velati di mistero e acquistano sapore di favola. È una favola che però ha la sua morale: nessun incantesimo può sostituire alla vita che ci spetta un’altra vita, la cui felicità è costruita egoisticamente sul dolore altrui. Dorian Gray è riuscito ad allontanare da sé la vecchiaia, ma alla fine la vita vera prende il sopravvento ed egli muore con l’aspetto disgustoso di un vecchio, simbolo di tutti i vizi.

NOTA BIOGRAFICA

Di famiglia irlandese, Oscar Wilde nacque a Dublino nel 1854 e mori a Parigi nel 1900, giovane ancora d’anni, ma distrutto fisicamente e moralmente. A Londra trascorse la maggior parte della sua vita e giunse alla celebrità. Fu poeta e drammaturgo, conversatore brillante dall’estro inesauribile. Ebbe molti amici tra i grandi del suo tempo, ma fu abbandonato nel momento del bisogno e rimase solo.

ALTRE OPERE

IL PRINCIPE FELICE E ALTRI RACCONTI (1888) – È una bella raccolta di fiabe; scritte con tresca fantasia e delicata sensibilità.

IL VENTAGLIO DI LADY WINDER-MERE (1892)

UNA DONNA SENZA IMPORTANZA (1893)

UN MARITO IDEALE (1895)

L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO (1895)

Commedie celebri, deliziosamente vivaci e spiritose, ancor oggi rappresentate e applaudite in tutto il mondo. Anche i critici più severi dovettero riconoscere in Oscar Wilde il commediografo più divertente del loro tempo.

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