LA TRISTEZZA DEL RE – Henri Matisse

LA TRISTEZZA DEL RE (1952)
Henri Matisse (1869-1954)
Museo Nazionale d’Arte Moderna, Parigi
Papiers gouachés découpés cm 292 x 386

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L’immagine è collocata in uno spazio che sarebbe inutile ricercare nella vita quotidiana. Siamo di fronte ad un’operazione che astrae, che si allontana dal reale o, meglio, che percepisce ogni cosa in modo semplificato ed essenziale rendendola attraverso forme che, pur non esistendo nella realtà, tuttavia riescono ad evocarla. Non ci troviamo in una stanza né in un qualsiasi altro luogo identificabile. Il pittore ha negato la tridimensionalità dello spazio sostituendola con quella derivante dal contrasto cromatico delle diverse parti dell’opera. Le immagini, le forme anzi, risaltano ed emergono come zone colorate che si giustappongono le une alle altre come in un collage. L’opera nasce come nascerebbe dalla mente di un bambino al quale fossero dati in mano tanti pezzi di plastica colorata e calamitata da porre a suo piacimento su una lavagna che li attrae. Ecco nascere il fondo, fatto di colori gioiosi distesi senza sfumature: verdini, lilla, azzurro-mare. Ecco disporsi su di esso una grande macchia verde nella quale è riconoscibile ciò che resta di un essere umano nelle capacità creative di un bambino, come quell’altra figura nera poco più avanti che agita le sue mani bianche per suonare uno strumento simile ad una chitarra. Ne deriva un suono che sembra ripercuotersi nel volo di quelle scaglie gialle che, come petali o coriandoli oblunghi, si spandono soprattutto nella parte destra della composizione circondando una figura femminile che ne raccoglie la melodia in una danza elegante. Curiosamente questa figura riporta alla mente la bella Salomè sospinta da Erodiade a ballare di fronte ad Erode per ottenere la decapitazione di San Giovanni Battista. Ma non è questo che conta, importa che il senso dell’immagine sia immediato: c’è una figura danzante, un’altra che suona, una terza che ascolta. C’è la gioia della musica che si diffonde attraverso i colori allegri e quella massa scura che turba, con la sua tristezza, chiunque essa sia, la serenità dell’evento.

L’opera testimonia l’ultima ricerca artistica di Matisse. Proposti per la prima volta nel 1949, questi papiers découpés, allora di piccolo e medio formato, già al Salon di maggio del 1950 avevano conquistato complesse e vaste composizioni che procurarono all’artista un notevole successo sia da parte del pubblico che della critica.
La consacrazione definitiva della nuova tecnica avvenne proprio con l’acquisto de La Tristezza del Re da parte dello Stato al Salon del 1952.

 

“Egli vedrà tutta la vita con gli occhi dei bambini”

I papiers découpés si inseriscono in quel bisogno di ricerca continua che ben si esprime nelle seguenti parole di Matisse: “Creare è il fine dell’artista; quand’egli non ha creatività, 1’arte non esiste. Ma ci s’inganna se si attribuisce questo potere a un dono innato (…), per l’artista la creazione comincia dalla visione. Vedere è già una operazione creatrice e che esige uno sforzo. Tutto ciò che noi vediamo, nella vita quotidiana, subisce più o meno la deformazione che producono le abitudini acquisite (…).
Lo sforzo necessario per liberarsene esige una sorta di coraggio; e questo coraggio è indispensabile all’artista che deve vedere tutte le cose come se le vedesse per la prima volta: egli vedrà tutta la vita come quando era bambino; la perdita di questa possibilità non permette di esprimersi in modo originale, cioè personale”.

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Henri Matisse nel 1933

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