2 – ALESSANDRO MANZONI – Vita e opere

ALESSANDRO MANZONI

Alessandro Francesco Tommaso Antonio Manzoni ( Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873) è stato un poeta e scrittore italiano. La sua opera più famosa è il romanzo I Promessi Sposi , pubblicato nel 1827. Nato a Mi1ano  dal conte Pietro e da Giulia Beccaria (figlia dell’autore del celebre saggio “Dei delitti e delle pene“), Manzoni viene inviato molto presto in collegio, anche a causa di una delicata situazione familiare (i genitori si separeranno legalmente nel 1792). Completa i suoi studi nei collegi dei padri Somaschi e dei Barnabiti, ,ma di questo periodo scolastico non serberà un buon ricordo (parlandone, dirà di essersi sentito “nodrito in sozzo ovil di mercenario armento”, con chiaro disprezzo per la opprimente vita comunitaria dei collegi a pagamento). Dalla scuola, però, trae una buona istruzione classica e un orientamento verso le idee razionalistiche, anticlericali e antitiranniche.

La sua formazione si completa, tuttavia, grazie alle letture personali che egli fa, con molta attenzione, delle opere di Parini, Alfieri e Monti e alla influenza della cultura illuministica, allora assai viva in Lombardia. Uno stimolo particolare gli viene dal prestigio e dall’esempio del famoso suo nonno, Cesare Beccaria. Una testimonianza di questi molteplici insegnamenti Manzoni la offre con la sua prima opera “Il trionfo della libertà“, poemetto in quattro canti scritto per esaltare la Rivoluzione francese. Negli anni successivi – tra il 1801 e il 1805 – stringe rapporti d’amicizia con numerosi intellettuali milanesi e con gli esuli napoletani, primo fra tutti Vincenzo Cuoco. Da questi è indotto a riflettere sul valore delle opere di Giambattista Vico e del Machiavelli, cosa che lo porta a mitigare notevolmente i suoi giovanili entusiasmi per le idee illuministiche e a considerare l’unità e l’indipendenza della patria come il problema di fondo che si pone alle coscienze e all’azione degli Italiani.

Nel 1805 è a Parigi. Il soggiorno nella capitale francese – che si protrarrà per cinque anni – è importantissimo per la sua maturazione culturale. Entra in rapporto con Madame de Staël, con lo storico Fauriel, di cui sarà molto amico, con le più moderne correnti ideologiche europee. Studia le letterature del ‘600 e’ del ‘700, dà ampio respiro alla sua preparazione e alle sue conoscenze. In questo ambiente inizia in lui un processo di costante evoluzione che approderà, nel 1810, nel ritorno alla fede religiosa.

Sulla sua “conversione” influiscono, senza dubbio, episodi particolari e importanti della sua vita, come il matrimonio contratto, nel 1808, con Enrichetta Blondel, una ragazza svizzera cresciuta in una famiglia calvinista ma poi anch’essa convertitasi al Cattolicesimo, e come l’amicizia che lo lega al sacerdote genovese Eustachio Degola.

Occorre dire subito che questo risalire alla religione costa allo spirito del Manzoni un impegno lungo e anche tormentato, ma finisce col determinare inlui una radicale trasformazione: i princìpi morali che già ne avevano caratterizzato la personalità, si consolidano; la religione gli schiude un mondo affatto diverso ed egli ne ricava uno stimolo nuovo per la sua attività creatrice, che ormai può poggiare su un sicuro equilibrio interiore. .

Al suo ritorno a Milano, nella stesso 1810, Manzoni inizia il suo lavoro. Dal 1812 e per i quindici anni successivi, scrive le sue opere più grandi e geniali. La pubblicazione dei ”Promessi sposi” conclude la fase creativa. La vena s‘inaridisce, il poeta decade, l’uomo è provato: la vita del Manzoni viene colpita, con impressionante frequenza, da vicende dolorose, come la morte della moglie Enrichetta nel 1833, della madre nel 1841, della seconda moglie – Teresa Borri Stampa – nel 1861 e, infine, di ben sei figli, spentisi nel volgere di non molti anni.
Il poeta conduce ormai un‘esistenza sempre più chiusa e solitaria, la sua attività è scarsa, quasi nulla. Segue tuttavia, con attenzione pur se solo in spirito, le vicende politiche d’Italia. Di idee liberali e ammiratore di Cavour, Manzoni si dichiara contro il potere temporale della Chiesa e a favore di Roma capitale d’Italia. Nel 1861 è nominato senatore del nuovo Regno d’Italia. La sua lunga vita si conclude a Milano, il 22 maggio del 1873.

La personalità del Manzoni

I critici concordano nell’affermare che la chiave per interpretare il senso complessivo dell’opera del Manzoni e la sua personalità di poeta e scrittore – oltre che di uomo – sta nella sua conversione, nel lento e travagliato ritorno alla religione. Potrebbe sembrare che Manzoni, recuperando i valori della fede cattolica, abbia voluto consapevolmente distaccarsi dalle idee che lo avevano guidato e formato nella giovane età: gli ideali illuministici di libertà e di eguaglianza, il razionalismo. In effetti non è così. Tra questi ideali e la ritrovata fede esiste un profondo legame. I princìpi che avevano lasciato una così sensibile traccia nell’animo del poeta non sono cancellati: egli li armonizza col suo nuovo credo, in cui perfetta è l’uguaglianza tra ragione e sentimento. Manzoni coglie la componente popolare, egualitaria, democratica, della religione cristiana, che non contraddice la sostanza delle sue idee originarie ma, in una certa misura, le nobilita, le rende più forti, poiché esse non poggiano solo più sull’intelletto ma anche sul sentimento cristiano di carità e di fratellanza.

Parlando degli “Inni sacri” del Manzoni, un grande storico della letteratura italiana, Francesco De Sanctis, scriveva appunto che la loro base ideale:

“…è sostanzialmente democratica, è l’idea del secolo battezzata sotto il nome di idea cristiana, l’eguaglianza degli uomini tutti fratelli di Cristo, la riprovazione degli oppressori e la glorificazione degli oppressi; è la famosa triade, libertà, uguaglianza, fraternità, evangelizzata; è il Cristianesimo ricondotto alla sua idealità e armonizzato con lo spirito moderno…”.

Si comprende come questo modo di concepire la religione comportasse per Manzoni un atteggiamento liberale sul piano politico, di ripudio della tirannide e quindi di piena adesione agli ideali risorgimentali.

In sostanza, l’assetto fondamentale della personalità poetica e morale del Manzoni – e quindi l’essenza della sua religiosità – deriva da un sincero bisogno di giustizia e di pietà, da una carica di grande umanità: sarà questo il senso delle sue opere, dove la solidarietà per gli oppressi e gli umili s’unisce allo sdegno verso chi opprime, verso la violenza e la tirannide.

 Manzoni e il Romanticismo

Nel momento in cui nel poeta si compiva la evoluzione in senso religioso, insorgevano in Italia le prime polemiche sul Romanticismo. Nelle nuove idee, Manzoni trova una rispondenza ai propri concetti, sia sul piano della religione, che su quello culturale e politico. Egli concorda cioè con una concezione dell’arte intesa come strumento per educare le coscienze, libera dai canoni e dalle regole del Classicismo. Un’arte capace di giungere al popolo, scuoterlo, plasmarlo, partendo dalla rappresentazione sincera della realtà, della condizione degli uomini.

Il Romanticismo manzoniano – evidentemente assai lontano da quello tedesco – non sottovaluta tuttavia quanto di valido resta della tradizione classica – la severa lezione stilistica e morale del Parini, ad esempio – e se ne appropria, muovendosi verso una letteratura di tipo popolare ed educativo, cristiana e nazionale nella sua impostazione.

Manzoni fu, per unanime riconoscimento, l’esponente guida del Romanticismo italiano. Nel 1823 – in una lettera inviata al marchese Cesare D’Azeglio – egli riassunse i termini della sua critica al Classicismo, che si rifaceva a una morale troppo distante da quella cristiana, ispirata come era al culto delle cose e delle passioni terrene. Per contro, affermava Manzoni, il Romanticismo cerca di dare alla poesia la religiosità che anima il popolo, accostandola e rendendola comprensibile alle genti. Una poesia, dunque, popolare nel contenuto e popolare nell’espressione, nell’uso della lingua.

A questo specifico problema Manzoni attribuì grande importanza. Vi aveva riflettuto a lungo ed era pervenuto alla conclusione che gli Italiani, rappresentando una unità etnica – vale a dire unità di razza, di costumi, di origini storiche – dovessero disporre di una lingua nazionale, unica per tutti, pur nel riconoscimento della realtà dei diversi dialetti. Non si trattava, per Manzoni, di “costruire” una lingua artificiosa, ma semplicemente assumere a idioma nazionale quel dialetto che aveva i maggiori titoli per essere scelto, il fiorentino.

Il pregio di questa posizione (del resto non nuova), pubblicamente affermata, stava nel fatto che essa veniva autorevolmente a porre un’altra pietra all’edificio dell’unità nazionale, in una delle sue fondamenta essenziali: l’unità della lingua e della cultura.

 Le opere

Gli anni giovanili rappresentano un periodo non molto importante ma pieno di fervore nella vita del Manzoni. Oltre al già ricordato poemetto “Il trionfo della libertà“, – scrisse “L’autoritratto“, un sonetto ispirato a quello omonimo dell’Alfieri, le odi “Qual su le cinzie cime” e “Nove fanciulle d’immortal bellezza“, di impronta neoclassica e nelle quali evidente appare l’influenza del Monti. A queste poesie vanno ancora aggiunti i quattro “Sermoni“, una denuncia “alla Parini” del malcostume del tempo e del lusso sfrenato delle classi ricche.

A Parigi compose la più importante delle sue opere giovanili, il “Carme in morte di Carlo Imbonati” (Carlo Imbonati, 1733-1805, era l’uomo col quale conviveva la madre del Manzoni dopo la separazione dal marito). È un colloquio che Manzoni immagina, di condurre con l’Imbonati stesso cui fa esprimere una serie di osservazioni e consigli sul modo di condurre l‘esistenza. Il “Carme” rappresenta una sorta di severo e doloroso programma di vita che Manzoni traccia per se stesso, tutto basato sull’impegno morale.

Sempre a Parigi scrisse, nel 1809, un poemetto a carattere mitologico, “Urania“, di cui però si dichiarò ben presto scontentissimo.

Gli “Inni sacri” rappresentano la prima, seria fatica letteraria del Manzoni, subito dopo la conversione. Sono cinque composizioni, più un frammento. Quattro furono scritte tra il 1812 e il 1815 e precisamente la “Resurrezione“, “Il nome di Maria“, “Il Natale“, “La Passione“, la quinta, cioè “La Pentecoste“, fu terminata nel 1822.

Gli “Inni sacri” costituiscono, per Manzoni, l’inizio di un nuovo modo di fare poesia. La materia ispiratrice – la celebrazione delle solennità della Chiesa – dà al poeta l’occasione di affrontare un argomento vero, la religione, con la sua bellezza e insieme il suo carattere sociale, popolare. L’unico argomento profondamente utile, poiché in grado di interessare tutto il mondo cristiano. La forma degli “Inni” non conosce dunque le preziosità delle liriche neoclassiche: è aperta, accessibile, corale.

Le tragedie – Dopo gli “Inni sacri“, la seconda grande esperienza del Manzoni è costituita dalle tragedie, dai drammi storici. Ne compose due, entrambi di ispirazione patriottica: “Il Conte di Carmagnola” e l’ “Adelchi“. Essi segnano un momento di accentuato pessimismo nello sviluppo dell’opera manzoniana, ma anche un allargamento dei temi narrativi, rispetto ai motivi religiosi degli “Inni“.

La prima delle tragedie narra le vicende del capitano di ventura Francesco Bussone, detto il Carmagnola (1380-1432) che fu prima al soldo del milanese Filippo Maria Visconti e poi, angustiato dall’ingratitudine di questi, al servizio dei veneziani. E sotto le bandiere veneziane sconfisse il suo vecchio padrone, nella battaglia di Maclodio (17 ottobre 1427). Senonché i veneziani lo accusarono di non aver saputo trarre dalla vittoria tutti i vantaggi possibili e sospettarono di una sua segreta intesa col Visconti. Per questo fu condannato a morte e giustiziato. “Il Conte di Carmagnola” non è, complessivamente, un’opera di grande rilievo. È comunque importante per gli spunti che vi si trovano e che anticipano il grande momento creativo del Manzoni. Famoso, nel “Carmagnola“, è il coro dedicato appunto alla battaglia di Maclodio e che inizia coi celeberrimi versi “S’ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo… “.

L’ “Adelchi” è la seconda ben più valida tragedia del Manzoni. Dedicata alla prima moglie, Enrichetta Blondel, racconta, in cinque atti, gli eventi che portarono alla fine della dominazione longobarda in Italia, tra il 772  ‘e il 774, la lotta tra Carlo Magno, re dei franchi, e il re longobardo Desiderio, la sconfitta di questi e la morte dei suoi due figli, l’impostazione è pessimistica, il male prevale sul bene, ma rispetto al “Carmagnola” la costruzione dei personaggi è più vera, psicologicamente più profonda; la poesia più alta e commossa. Bellissimi i due cori: “La morte di Ermengarda e “Dagli atri muscosi…“.

Le liriche – Nel periodo successivo alla conversione, Manzoni scrisse oltre agli “Inni sacri“, le due liriche: “Marzo 1821“, dedicata ai moti piemontesi e “5 maggio“, in morte di Napoleone Bonaparte.

Manzoni apprese solo il 17 luglio del 1821, dalla “Gazzetta“, della scomparsa di Napoleone, avvenuta oltre due mesi prima nell’Isola di Sant’Elena, e ne fu profondamente emozionato. Significativo il suo commento:

“Che volete? era un uomo che bisognava ammirare senza poterlo amare; il maggior tattico, il più infaticabile conquistatore, colla maggior qualità dell’uomo politico, il saper aspettare, il saper operare. La sua morte mi scosse, come al mondo venisse a mancare qualche elemento essenziale: fui preso da smania di parlarne e dovetti buttar giù quest’ode, l’unica che, si può dire, improvvisassi in men di tre giorni. Ne vedevo i difetti ma sentivo tale agitazione, e tal bisogno di uscirne, di metterla via, che la mandai al censore. Questi mi consigliò di non pubblicarla, ma dal suo stesso uffizio ne uscirono le prime copie a mano”.

Parole illuminanti circa l’ispirazione dell’ode, il suo significato. In un impianto grandioso – come grandiosa è la vicenda cui si riferisce – la lirica ha un andamento insieme solenne e stringato, meditativo e di azione, tanto da far parlare di “taglio cinematografico” dei versi, per la vigoria e la capacità di sintesi con le quali i fatti sono delineati. Alcuni critici hanno definito il “5 maggio” un esempio del “barocco” manzoniano, confortati in questo dalla osservazione di Francesco De Sanctis che, riferendosi all’ode, affermava appunto: “Si tratta di fare con la parola quello che fa il pittore: non rompere le distanze, sopprimere i tempi, togliere la successione degli avvenimenti, fonderli, aggrupparli, e di tanti avvenimenti, diversi per tempi e per luoghi, formarne uno solo che produca impressione istantanea”.

I Promessi sposi – Manzoni cominciò a organizzare la stesura del romanzo nella primavera del 1821 e lo portò a termine nel settembre del 1823. Il titolo originario, “Fermo e Lucia“, si era trasformato, al compimento della prima redazione, in “Gli sposi promessi“. Non soddisfatto, Manzoni sottopose il romanzo a una scrupolosa revisione e lo ripubblicò, profondamente modificato, tra il 1825 e il 1827, in tre volumi e col titolo definitivo dei “Promessi sposi, storia milanese del secolo XVII, scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni“. Ma restava ancora un problema, della cui soluzione Manzoni era fortemente preoccupato: quello della lingua. Per risolverlo, dette mano a un minuzioso lavoro di lima, recandosi più volte, dopo il 1827, a Firenze allo scopo di “risciacquare i panni in Arno”, ossia adeguare il linguaggio alla “parlata” fiorentina delle persone colte, che egli riteneva la più adatta a costituire la base della lingua nazionale italiana.
Scriveva infatti:

“… La scelta di un idioma che possa servire al caso nostro, non potrebbe esser dubbia; anzi è fatta. Perché è appunto un fatto natabilissimo questo che, non c’essendo stata nell’Italia moderna una capitale, che abbia potuto forzare in certo modo le diverse province a adottare il suo idioma, pure il toscano, per la virtù di alcuni suoi scritti famosi al loro primo apparire, per la felice esposizione di concetti più comuni, che regna in molti altri, e resa facile da alcune qualità dell’idioma medesimo abbia potuto essere accettato e proclamato per lingua comune di Italia…”.

Questa autentica fatica gli portò via praticamente oltre quindici anni e finalmente, tra il 1840 e il 1842, i “Promessi sposi” videro la luce nella edizione definitiva, quella che ancora oggi leggiamo e ammiriamo.

Caratteristiche e trama del romanzo – Nell’impostare l’opera, Manzoni aveva in mente, non tanto come modelli ma, piuttosto, come punto di riferimento, i romanzi storici allora assai in voga in Europa, soprattutto per merito dello scrittore scozzese Walter Scott (1771-1832), autore del famoso “Ivanhoe“. Manzoni, che aveva letto questo libro con attenzi0ne critica, era giunto alla conclusione che ,un tal genere di racconto potesse contribuire a far luce su aspetti della realtà che la storiografia ufficiale era solita ignorare, cioè la realtà della presenza e della condizione delle grandi masse che pure costituiscono parte viva della società.

Da questo punto di vista i “Promessi sposi” sono un romanzo storico, lontanissimo tuttavia dalla letteratura avventurosa e d’evasione dello Scott; soprattutto perché nell’opera del grande lombardo vi è trasfusa autentica, altissima poesia.

Accennata in poche righe, la trama del romanzo – una storia che l’autore immagina di aver ritrovato in un manoscritto anonimo del ‘600 – da qui il sottotitolo “Storia milanese del XVII secolo” – narra i casi di due umili giovani delle campagne di Lecco, Renzo e Lucia che, prossimi alle nozze, vedono contrastato il loro progetto dalla prepotenza di un signorotto locale, Don Rodrigo, invaghitosi di Lucia, e dalla pavida acquiescenza a costui di Don Abbondio, il curato che avrebbe dovuto celebrare le nozze. Dal veto iniziale posto da Don Rodrigo e dai suoi uomini (“Questo matrimonio non s’ha da fare”) fino alla conclusione, felice per i due giovani, si svolgono vicende e intrighi che hanno per sfondo storico la dominazione spagnola e la Guerra dei trent’anni, con le loro conseguenze sulla città e sulle campagne del Milanese. Attorno ai protagonisti, si muove una folla di personaggi, alcuni dei quali storicamente autentici, altri inventati, ma resi tutti con tanta precisione di caratteri, da divenire ben presto simboli quasi proverbiali delle qualità e dei difetti della natura umana.

Le ultime opere – Dopo i “Promessi sposi” Manzoni cessa del tutto di occuparsi di poesia e di narrativa e rivolge i suoi interessi alla storia. Infatti nel discorso “Del romanzo ed in genere de’ componimenti misti di storia e d’invenzione” (pubblicato nel 1845) egli giunge a negare la validità. del romanzo storico, ritenendo che non vi sia bisogno di ricorrere all’invenzione per apprendere ciò che solo la storia, in quanto tale, può farci conoscere nei suoi termini reali. E a questi convincimenti sono ispirate le opere si può dire conclusive della sua attività:
– “Storia della colonna infame” e il “Saggio comparativo sulla rivoluzione francese del 1789 e sulla rivoluzione italiana del 1859.

La “Storia della colonna infame” – Il più interessante dei due scritti – è dedicata al processo intentato contro gli “untori” (cioè i presunti propagatori della peste che colpì Milano nel 1630) in seguito al quale vennero condannati e crudelmente giustiziati i due supposti capi della congiura (“infame” venne chiamata appunto la colonna eretta sul luogo dove era stata abbattuta la casa di uno dei due, a ricordo dell’infamia da questi commessa e della giusta condanna); Manzoni, rivedendo gli atti del processo, cercò di dimostrare l’innocenza dei due “untori”, vittime dell’ignoranza, della superstizione popolare, della viltà dei giudici.

A questi scritti sono ancora da aggiungere gli appunti per un saggio mai portato a termine, dal titolo “Della lingua italiana” e una serie di dissertazioni, come la lettera a Giacinto Carena “Sulla lingua italiana” e la relazione al ministro Broglio sul tema: “Dell’unità della lingua e dei mezzi per diffonderla” (1868).

VEDI ANCHE . . .

1 – ALESSANDRO MANZONI – Vita e opere

2 – ALESSANDRO MANZONI – Vita e opere

I PROMESSI SPOSI (Trama completa del romanzo) – Alessandro Manzoni

I PROMESSI SPOSI – Alessandro Manzoni (Versione scolastica)

I PROMESSI SPOSI – Alessandro Manzoni (Riduzione televisiva – Trama e commento)

ADELCHI – Alessandro Manzoni

IL CONTE DI CARMAGNOLA – Alessandro Manzoni

5 MAGGIO – Alessandro Manzoni

MANZONI E LEOPARDI NELLA POLEMICA ROMANTICA

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