IL QUATTROCENTO – L‘UMANESIMO

IL QUATTROCENTO

L’Umanesimo

Non sarebbe possibile definire correttamente la felice ”stagione” della cultura e della civiltà italiana che va sotto il nome di Umanesimo senza collegarla con l’altra, immediatamente successiva, del Rinascimento. Anzi, Umanesimo e Rinascimento non costituiscono che due momenti di un unico evento cui si attribuisce concordemente il carattere di un‘autentica svolta di civiltà.
Il periodo storico entro il quale si è soliti comprendere l’Umanesimo va dalla seconda metà del XIII secolo a quasi tutto il ‘400. Il ‘500 invece è, soprattutto nella sua prima metà, il secolo rinascimentale. Questo modo di periodizzare (di stabilire date di origine e di conclusione di un determinato processo storico) è stato a lungo discusso dagli studiosi; anche sulla valutazione dei contenuti, del significato dell’Umanesimo come del Rinascimento le opinioni sono state spesso contrastanti. In sostanza, vi è chi afferma che le origini dell’Umanesimo vanno ricercate più indietro nel tempo, altri sostengono che l’età moderna non sorge col Rinascimento ma molto più tardi, e così via.

Non è compito nostro esaminare la varietà di studi e di opinioni espressi sull‘argomento. Possiamo però richiamarci ad un criterio di massima: i fatti della storia non insorgono all’improvviso, ma dopo una lunga maturazione, dopo una lenta accumulazione di elementi che determinano poi le fasi di “rottura” e di trapasso da un tipo di società all‘altro, da una civiltà ad un’altra diversa. Se è giusto indicare i confini temporali di un fenomeno storico, dal momento che lo individuiamo attraverso segni precisi – avvenimenti, testimonianze che pure hanno una data – occorre sempre risalire al processo che ne sta alle radici più profonde. E le radici dell’Umanesimo e del Rinascimento affondano in quel processo fondamentale che abbiamo delineato nei precedenti capitoli: il tramonto della società feudale e l’ascesa della borghesia mercantile ed industriale al ruolo di protagonista della storia.

Le humanae litterae

Abbiamo incontrato le parole Umanesimo e umanista parlando del Petrarca. Vediamone il significato: una espressione di frequente usata nel ‘400 era “humanae litterae” (o anche “studia humanitatis”) che indicava, in generale, lo studio dell’antichità classica, romana e greca.
Ma humanae (da cui appunto Umanesimo) aveva un suo  specifico valore: era il richiamo, il riferimento a una civiltà – come la romana – di cui l’uomo, la sua ragione, la sua autonomia di pensiero erano i cardini. Era la rivalutazione dell‘uomo protagonista che l’antichità classica riproponeva a coloro che ad essa tornavano ad ispirarsi. Là rottura con la concezione medioevale secondo la quale nessuna attività umana era concepibile prescindendo da Dio (con la conseguenza del dominio assoluto, nel campo del pensiero e della cultura, di chi rappresentava Dio in terra, la Chiesa) era implicita nella definizione “humanae” e in tutta l’opera degli umanisti, anche se questo movimento non fu antireligioso né anticlericale.

Con l’Umanesihno, le nuove classi sociali cominciavano a liberarsi, anche sul piano della cultura, della pesante eredità medioevale.

Gli studi e la ricerca umanistica

Il lavoro di ricerca, iniziato da Petrarca, dei testi dell‘antichità fu affrontato dagli umanisti con grande fervore: ad essi si devono la riscoperta delle opere di Cicerone e di altri classici e la loro diffusione. Tutto questo richiedeva un lavoro attentissimo sugli scritti, per stabilirne la autenticità, addirittura per rilevare possibili errori di trascrizione di qualche antico scrivano; si studiavano lo stile e i modi di espressione di ciascun autore, per non avere dubbi sulla identificazione delle opere. Gli umanisti furono dunque dei filologi dotati di grandissima erudizione e cultura.

Nuovi intellettuali e la letteratura umanista

L’umanista rappresenta una figura. nuova di letterato e di intellettuale, profondamente diversa da quelle del Medioevo. Nelle mutate condizioni politico-sociali egli si giova di un differente tipo di organizzazione culturale. Sua sede naturale non è più la Chiesa (e nemmeno l’Università) ma sono le Corti sovrane, le Signorie, nell’ambito delle quali egli – ricercato e rispettato – assolve anche e spesso funzioni politiche e burocratiche. oltre a quelle di organizzatore di cultura.

Centri di studi umanistici furono Roma, Milano ma soprattutto Firenze, autentica capitale dell’Umanesimo.

Gli studi umanisti avevano ridonato splendore al latino. Lingua già morta, il latino rivive: ma non nelle forme dei classici e neppure in quelle medioevali, bensì in una veste rinnovata, più sciolta ed elegante. In questa fase dell’Umanesimo – tra la fine del ‘300 e gli inizi del XV secolo – il “volgare” sembra essere abbandonato. E tuttavia tra latino e “volgare” non vi sarà una vera contrapposizione: il latino degli umanisti acquisirà, dalla “parlata” corrente, semplicità e agilità di forma; il volgare – quando verrà il momento della ripresa – trarrà da questa esperienza un più solido costrutto.

Della ripresa sono testimonianza le opere di alcune tra le più rilevanti figure di scrittori del ‘400: Luigi Pulci, Lorenzo il Magnifico, il Poliziano e Matteo Maria Boiardo.

Luigi Pulci

Benché non avesse ricevuto una grande istruzione, Luigi Pulci (1432-1484) visse a stretto contatto con l’ambiente colto e raffinato che si raccoglieva intorno alla persona del signore di Firenze, Lorenzo il Magnifico, di cui fu amico intimo. Respirò l’atmosfera del ‘400, del Rinascimento, e del Rinascimento fu espressione tipica il suo capolavoro, il Morgante. È questo un poema cavalleresco, che riprende i temi e i modi popolareschi dei “cantari” (composizioni poetiche, generalmente di argomento epico-cavalleresco, di carattere popolare, recitate nelle piazze dai cantastorie) e segue la traccia delle leggende carolinge e delle avventure di Orlando paladino.

Il Pulci tratta la materia del ciclo carolingio con un atteggiamento che è insieme di ironia e di simpatia; e inventa, sulla trama del racconto leggendario, nuovi episodi e personaggi immortali: Morgante, gigante dall’animo buono, e Margutte, mezzo-gigante, cinico, allegro e sfrontato briccone, il vero eroe e protagonista dell’opera; Astarotte, il diavolo tollerante e cortese, che discute con garbo e saggezza di argomenti scientifici e teologici.

Il poema, scintillante di arguzia, è scritto in una lingua che se non è la rozza lingua dei “cantari” declamati nelle piazze dai cantastorie, non è nemmeno la lingua dotta e a volte un po’ solenne degli umanisti: è una lingua vivissima, indiavolata, che si avvale di tutte le finezze e della straordinaria incisività del dialetto fiorentino. Oltre al “Morgante”, Luigi Pulci ha lasciato un ricco epistolario, sonetti, e un poemetto dal titolo Beca da Dicomano.

Lorenzo il Magnifico

Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico (1449-1492), mecenate [dal nome di Gaio Cilnio Mecenate (69-8 a.C. ), nobile e ricco romano, amico di Virgilio e Orazio], protettore ed amico di scrittori e poeti ed artisti, fece di Firenze il centro della vita culturale italiana del ‘400.

La sua Corte ospitò uomini illustri: umanisti come Marsilio Ficino, Pico della Mirandola; artisti come Sandro Botticelli, il Verrocchio e il Pollaiolo; poeti come il Poliziano e il Pulci. Egli stesso fu scrittore elegante e versatile e dimostrò di possedere anche in questo campo le stesse qualità che ne fecero lo statista più abile e intelligente del suo tempo.

Scrisse rime d’amore, versi d’ispirazione religiosa e filosofica, e canti carnascialeschi (cioè per il Carnevale), nei quali esaltò l’amore, il piacere dei sensi, la bellezza della giovinezza e dei divertimenti più sfrenati, lo smarrimento e la malinconia degli uomini di fronte alla fugacità e all’instabilità della vita, esprimendo con efficacia e i sentimenti e le idee dei suoi contemporanei.

Le sue opere più importanti sono: l’Ambra, i Canti carnascialeschi e la Nencia da Barberino.

Il Poliziano

Angelo Ambrogini, detto il Poliziano (1454-1494), dal nome latino (Mons Politianus) di Montepulciano, suo paese natio, visse e studiò per molti anni a Firenze dove fu precettore di Pietro e Giovanni de’ Medici, figli di Lorenzo il Magnifico.

Il Poliziano fu umanista colto, profondo conoscitore del greco e del latino e fondatore della moderna filologia. Scrisse delicate poesie in italiano e in latino, compose trattati filosofici e filologici, tradusse quattro libri dell’Iliade e scrisse interessanti prefazioni alle opere di Virgilio e dello scrittore greco Teocrito. Le sue opere più importanti sono le Stanze per la giostra di Giuliano de’ Medici e l’Orfeo, ispirato alla triste vicenda del mitico cantore greco che ottenne dagli Inferi la vita della moglie Euridice, purché riuscisse a non guardarla fino alla porta dell’Averno.

Le Stanze per la giostra furono dedicate a Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo, che aveva gareggiato con molto valore in un torneo tenuto nel 1475 a Firenze.

L’opera non fu completata e il poeta ne scrisse soltanto la premessa, cioè l’innamoramento di Iulo (Giuliano): questi, dedito alle armi e alla caccia, disprezza l’amore, e viene punito da Cupido che, offeso dalla sua indifferenza, gli fa apparire davanti, durante una partita di caccia, una ninfa bellissima, Simonetta, della quale il giovane si innamora immediatamente.
Le “stanze” non celebrano, quindi, una vicenda epica, ma soltanto una delicata storia d’amore, vissuta da Iulio e Simonetta nel periodo più bello della loro vita, cioè nella stagione fugace e brevissima della giovinezza.

Matteo Maria Boiardo

Matteo Maria Boiardo, conte di Scandiano (1441-1494), ebbe una raffinata educazione umanista, scrisse alcune poesie in latino, poesie amorose di stampo petrarchesco e tradusse alcune opere di autori classici. Il suo capolavoro è l’Orlando Innamorato, interrotto nel 1494 dalla discesa di Carlo VIII in Italia. In questo . poema il Boiardo fonde la materia del ciclo carolingio (armi e difesa della cristianità contro i Saraceni) con quella del ciclo bretone (amore, avventure, viaggi e incantesimi).

Il centro ideale dell’Orlando Innamorato è però l’amore, il sentimento che, insieme con il desiderio di gloria, domina il cuore dei paladini cristiani e dei cavalieri saraceni. Per questo motivo tutti gli eroi del Boiardo sono inquieti, amano i pericoli, le novità, l’avventura.

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