L’ORA DEL LUPO – Ingmar Bergman

L’ORA DEL LUPO

Titolo originale – Vargtimmen
Genere – Drammatico, orrore
Regia – Ingmar Bergman
Soggetto – Ingmar Bergman
Sceneggiatura – Ingmar Bergman
Produttore – Lars-Owe Carlberg
Casa di produzione – Svensk Filmindustri
Fotografia – Sven Nykvist
Montaggio – Ulla Ryghe
Musiche – Lars Johan Werle
Scenografia – Marik Vos-Lundh
Paese di produzione – Svezia
Anno 1968
Durata 90 minuti

Interpreti e personaggi
Max von Sydow: Johan Borg, pittore
Liv Ullmann: Alma Borg, moglie del pittore
Erland Josephson: Barone von Merkens
Ingrid Thulin: Veronica Vogler
Georg Rydeberg: signor Lindhorst, archivista
Gertrud Fridh: Baronessa Corinne von Merkens
Ulf Johanson: signor Heerbrand, terapista
Gudrun Brost: Contessa von Merkens
Naima Wifstrand: anziana nobildonna col cappello
Bertil Anderberg: Ernest von Merkens
Folke Sundquist: ragazzino dell’incubo sulla scogliera
Mikael Rundqvist: Tamino ne Il flauto magico di Mozart
Agda Helin: cameriera di casa von Merkens

Doppiatori italiani
Sergio Graziani: Johan Borg, pittore
Melina Martello: Alma Borg, moglie del pittore
Arturo Dominici: Barone von Merkens
Rita Savagnone: Veronica Vogler
Renato Turi: signor Lindhorst, archivista
Manlio Busoni: signor Heerbrand, terapista

Mentre scorrono i titoli di testa ascoltiamo le voci che accompagnano la realizzazione di un film: Luci a posto?, Il trucco?, Silenzio!, Ciak, Azione! Il regista ci ricorda così, come altre volte, che si tratta di un film, e che il film va visto senza farsi coinvolgere emotivamente tanto da perdere di vista quel che significa (di questo straniamento avrebbe voluto fare un prologo e un epilogo, ma poi si limitò a poche battute nella colonna sonora).

Seguiamo la vicenda del pittore Johan e della moglie Alma, che si sono ritirati su un’isola praticamente abitata soltanto dai gabbiani. Johan è in preda a una grave crisi depressiva che affonda le radici in una punizione infertagli dal padre durante l’infanzia e maturata poi nel fallimento di un rapporto con un’amante di nome Veronica. Dopo sette anni di isolamento la nevrosi riprende il sopravvento. Gli incubi si materializzano anzitutto in un giovane licantropo che lo morde mentre sta dipingendo in riva al mare.
Intanto alcuni strani personaggi invadono l’isola rifugiandosi in un vecchio castello. Alma scopre il diario di Johan e se ne serve per cercare di aiutarlo facendo propri i suoi incubi. Uno dei fantasmi, il barone von Merkens, invita i due a un party al castello. I mostri sono spaventosi e ridicoli: un capofamiglia simile a un corvo, una vecchia che quando si toglie il cappello si stacca anche la testa, un uomo ragno che cammina sui muri e una versione satanica della stessa Veronica.

Johan è schernito dai fantasmi. Ubriaco e pieno di vergogna, riporta Alma a casa. Lei gli confessa di non sentirsi più sicura accanto a lui. Lui, dopo aver tentato di ucciderla, esce di casa, sconvolto. Nel bosco incontra nuovamente i fantasmi, che lo aggrediscono e lo uccidono. È forse un suicidio? Alma assiste impotente all’epilogo del dramma. Si domanda se ha amato abbastanza oppure se ha amato in modo sbagliato.
Infine rimane nell’isola, legata al ricordo del suo Johan. Il film si conclude con un segno di speranza: tra due mesi nascerà un bambino.

L’ora del lupo, come dice nel film lo stesso Johan, è l’ora tra la notte e l’alba, quella in cui molta gente muore ma anche molta gente nasce, quella in cui il sonno è più profondo e gli incubi sono più reali. È l’ora in cui gli insonni sono perseguitati dai più riposti terrori, in cui i fantasmi e i demoni si fanno più possenti. Il film è dunque una storia di allucinazioni e di paure, un ennesimo viaggio nell’io, nell’inconscio. Il tortuoso e geniale Ingmar è arrivato a mettere insieme quanto di più simile ci sia a una confessione vera e propria. Certamente è opera autobiografica, pervasa da quel grande desiderio inappagato d’amore che è tipico dell’ispirazione bergmaniana. La tragedia di Johan, ha scritto il regista, è quella dei tentativi fatti da un uomo, conscio della sua terribile solitudine, per generare del calore e creare un contatto umano con il mondo che lo circonda; della sua amara delusione e degli sforzi disperati che fa per difendersi contro le pressioni del mondo esterno. Sono motivi autobiografici, ma toccano il più vasto tema dell’esistenza nel suo significato assoluto, la ragion d’essere, della vita, della creazione che sembra avere esaurito la sua virtualità, la sua presenza.

L’isola è la gabbia strindberghiana, la prigione nella quale l’uomo si trova rinchiuso quando non riesce a risolvere il problema del rapporto con gli altri e quindi dell’amore. Chi cerca di amare ma fallisce è principalmente Alma, che per il grande amore che la unisce al marito accetta di essere assalita dagli stessi fantasmi. “Una donna che vive a lungo con un uomo – dice – finisce per essere simile a lui. Dicono che se lei lo ama e cerca di pensare e vedere come lui si identifica con lui, come anche lui si trasforma nella forma di lei. Due persone che hanno vissuto tutta la vita insieme finiscono per somigliarsi. Fare tante esperienze in comune non solo cambia i pensieri, ma anche i volti, che a lungo andare finiscono per avere la stessa espressione”. “Chi non ha visto i suoi studi sul volto e soprattutto i suoi autoritratti?”, dice nel film uno dei personaggi a proposito di Johan. L’allusione agli studi sul volto che Bergman compie nei suoi film è palese. Per estensione, possiamo pensare che fosse altrettanto convinto di tracciare ancora una volta, con il film, un autoritratto, anche se parziale. Certo, in L’ora del lupo la componente autobiografica è più forte che altrove.

Fonte video: YouTube – Beltionsugar

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