MIRACOLO DELLA FONTE – GIOTTO

MIRACOLO DELLA FONTE (1290-1304)
GIOTTO (1267–1337)
Basilica Superiore di San Francesco, Assisi
Affresco cm 270 x 300

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La scena rappresenta un episodio della storia di San Francesco. Mentre il Santo saliva in groppa a un asino su un monte accompagnato da due confratelli, incontrò un infermo assetato. Francesco si fermò e pregando fece sgorgare una sorgente da un’arida roccia.
Il “poverello di Assisi” come è chiamato per tradizione il Santo, è rappresentato al centro dell’immagine e la disposizione del paesaggio lo mette in evidenza: il volto di Francesco che prega è infatti posto quasi all’incrocio di due ali di rocce. La composizione è essenziale, come richiedeva l’ambiente francescano a cui era destinato, non concedendo alcun particolare decorativo. Nell’estrema semplicità della scena, Francesco, già rappresentato varie volte nel Duecento secondo schemi bizantineggianti, risulta un personaggio vivo e reale. Giotto narra innanzitutto la storia di un uomo in termini accessibili a tutti e non dispone figure astratte da adorare, come l’arte bizantina.

L’affresco fa parte del ciclo delle Storie di San Francesco che Giotto affrescò nella chiesa superiore di San Francesco ad Assisi presumibilmente fra il 1290 e il 1304. L’opera è assegnata al pittore secondo un’antica tradizione e non secondo dati documentari: il primo a ricordare l’attribuzione è Lorenzo Ghiberti nel 1450 circa. La scena del Miracolo della fonte, pur essendo stata ideata da Giotto, sembra realizzata almeno in buona parte dalla bottega, anche se la critica concorda a giudicare autografa la figura dell`uomo assetato. In seguito ad alcuni esami è stato notato che i colori in certe zone non hanno aderito bene all’intonaco, forse perché l’affresco si trova vicino alla porta d’ingresso.

 

Il Realismo di Giotto

Vasari notava nel 1565 la particolare attenzione che l’artista aveva avuto nel rendere con verosimiglianza il volto dell’uomo assetato “nel quale si vede vivo il desiderio del1’acqua”.

Già all’epoca di Giotto, Cennino Cennini, pittore ed autore del celebre “Libro dell’arte”, invitava i pittori a studiare e a copiare la natura, restando comunque ben lontano dalla concezione moderna di una pittura “en plein air”: per dipingere una montagna, Cennini consigliava semplicemente di copiare una pietra ingrandendola ed è proprio quanto sembra aver fatto Giotto nell’affresco di Assisi.

Numerosi aneddoti illustrano la capacità dell’artista di rappresentare la realtà. Vasari stesso riferisce un episodio secondo il quale il giovane Giotto aveva dipinto di nascosto una mosca sul naso di una figura realizzata dal suo maestro Cimabue. Quest’ultimo, credendo che si trattasse di un insetto vero, tentò più volte di scacciarlo, naturalmente invano.

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Ritratto di Giotto, anonimo del XVI secolo, Louvre

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