LA PITTURA ITALIANA DEL TRECENTO – GIOTTO

LA PITTURA ITALIANA DEL TRECENTO

GIOTTO

La biografia del pittore nazionale, nato presso Firenze nel 1267 e morto a settant’anni, è piena di leggende, che iniziano dall’incontro con Cimabue. Nel periodo romanico, l’arte è quasi in contrasto con la vita, ma Giotto concilia la libertà dell’una con la verità dell’altra; il suo genio cerca lo spazio, e vi dispone o vi aggruppa le figure con una logica di atti e di pensieri cosi facile, che tutti l’intendono appieno, e che il movimento ed il colorito contrassegnano con purezza tipica. Non si può parlare di naturalismo nel senso comune del vocabolo; il grande fiorentino non copia dalla realtà le lunghe ed esili figure, le scene ed i paesi, né si compiace di vuote combinazioni lineari e cromatiche, ma con memoria scrupolosa accumula i particolari onde traspariscono gli stati d’anima, e la facoltà intuitiva compone di suo, badando all’esattezza delle cose corporee ed incorporee. L’artista che non respinge tutte le convenzioni del passato, e che sfugge all’imitazione metodica degli antichi, studia l’uomo secondo l’ideale di San Francesco. Dopo aver lavorato, in Roma (1298-1300) per il cardinale Stefaneschi e per Bonifazio VIII – ne resta un alterato vestigio nel Mosaico della Navicella in San Pietro -, accompagna forse Cimabue ad Assisi, e vi rimane deferente prima al Cavallini e poi alla maturità del suo genio. Fra il 1300 ed il 1304, furono eseguiti gli affreschi nella chiesa superiore di San Francesco, ed i ventotto quadri con le storie del Poverello, consigliate certo dai monaci e liberamente scelte nella vita di San Bonaventura, sono d’una profonda e cordiale semplicità.

Un popolano che stende il suo mantello ai piedi del Santo
Storie di San Francesco (1290-1300 circa)
Giotto (1267–1337)
Affresco cm 270 x 230
Basilica superiore di San Francesco d’Assisi

Nella scena con Un popolano che stende il suo mantello ai piedi del Santo, il Tempio di Minerva, reso fragile nei sostegni e più leggiero nel traforo del timpano, è fiancheggiato dal palazzo gotico e turrito del comune e dalle logge che richiamano le delizie della casa romana, ridotte dal disegno schematico di un intagliatore. Ma quello che importa è la vastità solenne della piazza, in cui la sorpresa, l’umiltà e la devozione ci fanno stupire per l’economia ed il vigore dei mezzi onde si esprimono.

Restituzione delle vesti al padre Bernardone
Storie di San Francesco (1290-1300 circa)
Giotto (1267–1337)
Affresco cm 230 x 270
Basilica superiore di San Francesco d’Assisi

Dinanzi alla Restituzione delle vesti al padre Bernardone, dobbiamo soffermarci per ammirare i due caratteri dei protagonisti: il candore del giovane, che si offre seminudo a Dio, e lo sdegno del vecchio, trattenuto da altri; intorno ad essi, i pochi assistenti necessarî commentano il fatto, con lo sguardo discorde.

PREDICA AGLI UCCELLI (1290-1304 circa)
Giotto (1267-1337)
Basilica di San Francesco, Assisi
Vedi scheda

La Predica agli uccelli è soavemente ispirata dai “Fioretti“: ha l’accento della fede per la fede, ed una cadenza quasi arcaica risuona nella sintesi del paesaggio.

Morte del cavaliere di Celanoe
Storie di San Francesco (1292-1296)
Giotto (1266–1337)
Affresco cm 270 x 230
Basilica superiore di San Francesco d’Assisi

Nella Morte del cavaliere di Celano l’acutezza psicologica si prova nella varia angustia delle facce, nella luminosa serenità del Santo, ed in quel commensale che la invoca con il viso contratto e con il gesto tremante. Questa serie di episodî non è priva d’incertezze e d’ingenuità nelle proporzioni e nell’indietreggiare dei piani, quantunque il rilievo sia sempre fermo e l’azione improntata dell’originalità d’un grande osservatore.

I funerali del Santo (1325)
Giotto (1266–1337)
Affresco cm 280 x 450
Cappella Bardi, Basilica di Santa Croce, Firenze

All’inizio dal ventesimo affresco (I funerali del Santo), è manifesta la partecipazione degli aiuti; le scene si svolgono faticose e sopraccariche, e le figure allungate, dalle piccole teste, suggeriscono il nome di Taddeo Gaddi o del meno noto Francesco da Rimini.

MADONNA OGNISSANTI (1310 circa)
GIOTTO (1267–1337)
Galleria degli Uffizi, Firenze
Vedi scheda

Con i primissimi anni del secolo XIV, si può datare l’austera Madonna d’Ognissanti (Firenze, Uffizi), che altri pensa posteriore al 1315, e che trovò nella Maestà di Simone Martini in Siena la parafrasi di alcuni particolari. Il decoro dell’immagine, che ci guarda benevola con i larghi occhi a mandorla, si differenzia dall’aria intenta del Bimbo che benedice, precedendo nell’impressione del sovrumano il piccolo Gesù di Raffaello nella Madonna di San Sisto.

In soli tre anni (1303-1306), fu decorata la Cappella dell’Arena in Padova, i cui spazi, cinti di fasce e di nervature dipinte, non interrompono la singolare unità della narrazione, che ha inizio sull’arco di trionfo – dove l’Eterno congeda due angeli, messaggeri delle storie di Maria e del Cristo – ed epilogo sulla parete d’ingresso, con il Giudizio finale. I Vizi e le Virtù – quattordici personificazioni in chiaroscuro – formano un imbasamento di finti bassorilievi, e le iscrizioni latine, quasi scomparse, certificano dei consigli eruditi, ricevuti dal pittore, che eguaglia con l’intelligenza dei simboli la poesia del vero. Nei trentotto riquadri, l’invenzione spontanea, lo spirito commosso ed il senso dell’ordine e dell’armonia escludono ogni raffinamento superficiale della bellezza. Gli evangeli e la leggenda della Vergine infervorano della fede e della vita questo classico che scolpisce il rifiuto sulle labbra del sacerdote nel
Sacrificio di Gioacchino; egli, che ritorna fra i pastori, trova oneste accoglienze, ma la sua umiliazione è senza conforto.

Annunciazione a Sant’Anna
Leggenda di San Gioacchino (1303 al 1305)
Giotto (1267–1337)
Affresco cm 200 x 185
Cappella degli Scrovegni, Padova

L’Annunciazione a Sant’Anna vibra di schiettezza apprensiva; basti ricordare l’ancella che, incuriosita dal saluto dell’angelo, sospende di filare. L’Incontro di Gioacchino ed Anna esalta l’intimità degli affetti; nello Sposalizio si disgregano un po’ gli elementi iconografici, ma la tenerezza consanguinea nell’anima in tumulto di Santa Elisabetta che interroga la Vergine (Visitazione).

Bacio di Giuda (1303 al 1305)
Giotto (1267–1337)
Affresco cm 200 x 185
Cappella degli Scrovegni, Padova

Il Bacio di Giuda è un tragico scambio dell’amore che perdona e della perfidia che infierisce; nella plebaglia, che denuncia il Redentore, esplodono gli istinti, e nell’incappucciato a sinistra, il quale ci volse il dorso, si individua la fredda turpitudine del sicario.

Deposizione di Cristo (1303 al 1305) (Vedi scheda)
Giotto (1267–1337)
Affresco cm 200 x 185
Cappella degli Scrovegni, Padova

Il Cristo insultato mostra la rassegnazione negli occhi lunghi e socchiusi e nell’atteggiamento faciale; nella Deposizione di Cristo , invece, il pathos schianta i cuori e, sopra i lamenti dei più fedeli, disposti intorno al cadavere, echeggiano gli strilli degli angeli balzanti nell’aria tempestosa. Il colore largo ed il disegno, semplificato dallo schematismo geometrico, raggiungono la potenza del volume, ed ogni scena ha il suo tono ed il suo sfondo costruito, o aereo, o digradato nelle masse montuose, contrastanti d’altezza.  Sul Giudizio poté assai l’esempio del Cavallini in Santa Cecilia di Trastevere a Roma, ma nel Cristo giudice, in Enrico Scrovegni che presenta alla Vergine il modello della chiesa ed in alcune schiere d’angeli e di eletti la superiorità di Giotto contradice ai trasandati discepoli che ultimarono le pene dell’Inferno, specie in basso, a destra.

Negli ultimi sei lustri, il rinnovatore della pittura propaga gli esempi della sua feconda prontezza con gli affreschi di Napoli, di Bologna, di Milano, di Firenze, e soggiorna un’altra volta ad Assisi, dove dà i disegni allegorici dei voti francescani (Povertà, Castità, Obbedienza) e della Gloria di San Francesco – frantesa da un aiuto – per le vele sopra la tomba del Santo (Chiesa inferiore). In alcune storie, il maestro utilizza i ricordi padovani; nella Morte del giovane di Suessa il valore del dramma si trasfonde nella plastica coesione delle figure, e in altre scene l’impulso narrativo esce dalla limitatezza delle approssimazioni prospettiche, ed ha forse sentore delle scoperte avvenire.

Resurrezione di Drusiana (1310-1311 circa)
Giotto (1267–1337)
Basilica di Santa Croce, cappella Peruzzi

Nella Cappella Peruzzi (Firenze, Santa Croce) nuovi problemi tentano l’artista (Ascensione di San Giovanni Evangelista e Resurrezione di Drusiana), che imprime ai corpi gli agili e misteriosi movimenti del miracolo. Nella Cappella Bardi, della stessa chiesa, c’è un devoto ritorno all’assisiate con la scienza sicura che non trascrive la vita, ma che la pondera nella maestosa severità delle linee, delle tinte, dei volumi e, soprattutto, nell’anima che plasma la carne (Morte di San Francesco).

Morte di San Francesco (1295 e il 1299)
Giotto (1266–1337)
Affresco cm 230 x 270
Basilica superiore di Assisi, Assisi

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