COMPIANTO SU CRISTO MORTO – GIOTTO

COMPIANTO SU CRISTO MORTO (1304-1306)
GIOTTO (1267 circa-1337)
CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI, PADOVA
Affresco cm 200 x 185

.

È il momento culminante del dramma, la scena nella quale Giotto ha concentrato, ancor più che nella Crocifissione, il massimo del dolore e della sofferenza umana. Il destino di Cristo, e con lui quello dell’umanità intera, si è ormai compiuto. Tutto, persino il paesaggio, concorre a sottolineare quest’atmosfera di dolente disperazione.
Il grande scivolo di roccia, sul quale è cresciuto un albero dai rami momentaneamente spogli, va a morire proprio sul gruppo formato da Gesù e dalla Vergine. Il corpo di Cristo è disteso, abbandonato, privo di vita. Una delle Marie (presumibilmente Maddalena) sostiene i suoi piedi inerti, mentre un’altra, prendendole da sotto i polsi, gli solleva appena le braccia. Contenuto il dolore della Madonna che abbraccia piangendo il figlio mentre Giovanni, in piedi dalla parte opposta, esprime la sua disperazione con un urlo visualizzato da quelle braccia che si allargano nel vuoto. È un gesto che racconta tutto lo sgomento dell’apostolo prediletto di Cristo che avverte la propria impotenza di fronte al fatto ormai avvenuto e se ne chiede, senza comprenderlo, il motivo. Dall’altra parte gli fanno eco alcune figure femminili, una delle quali si appoggia col viso alle mani giunte in segno di sofferente pietà e devozione. Dietro di loro, si intravede una folla di astanti, donne del popolo come lo sono quelle due splendide figure collocate di schiena e i cui corpi emergono come massi di pietra dagli abiti non troppo pesanti.

È uno dei metodi più consueti dei quali Giotto si serve per introdurre illusionisticamente lo spettatore nello spazio del dipinto rendendolo partecipe dell’episodio narrato, facendogli in questo caso vivere il grande dolore che in esso si esprime e nel quale sono coinvolti, sconvolti quasi, persino gli angeli che solcano il cielo soprastante con voli disperati.

L’affresco appartiene al ciclo dipinto da Giotto nella Cappella della Santissima Annunziata all’Arena – così chiamata perché sorgeva sui resti di un anfiteatro romano e in un luogo sacro alla Vergine Annunciata – dal 1303 al 1305 su commissione di Enrico degli Scrovegni, un personaggio di rango della vita padovana che in- tendeva riabilitare il padre Reginaldo dall’accusa di usuraio. La decorazione si sviluppa su quattro ordini. Nel più alto sono raffigurate le Storie della vita di Anna e Gioacchino, nei due centrali la Vita di Cristo, nell’inferiore monocromi con Allegorie dei Vizi e delle Virtù, infine, nella grande parete sopra la porta d’entrata, il Giudizio Finale.

 

Giotto e Boccaccio

Fra i giudizi espressi dai contemporanei su Giotto, colpisce, e soprattutto perché detto da uno scrittore e non da un esperto di cose d`arte, quello di Giovanni Boccaccio, l’autore del famoso Decamerone e conterraneo dell’artista. Secondo Boccaccio, Giotto avrebbe riportato alla luce quell’arte che per molti secoli era stata sepolta per errore di alcuni artisti che cercavano più di piacere agli occhi degli ignoranti che non di essere compresi dalle capacità intellettive dei saggi. Boccaccio rimproverava all’arte bizantina di avere come unico fine quello di colpire il devoto con i bagliori e la preziosità della materia e lodava, invece, Giotto che con la sua pittura consentiva ai fedeli di riflettere sull’evento sacro rappresentato.

.

.