INGIUSTIZIA – GIOTTO

INGIUSTIZIA (1303-1305)
GIOTTO (1267 circa-1337)
Affresco cm 120 x 60
Cappella degli Scrovegni, Padova

Nella fascia inferiore delle pareti laterali della Cappella degli Scrovegni, Giotto affrescò delle figure allegoriche: a sinistra quelle relative alle Virtù, e a destra quelle relative ai Vizi. Fra queste anche l’Ingiustizia nelle sembianze di un uomo barbuto, che si contrappone alla Giustizia, che assume l’aspetto di una figura femminile.
Sia Virtù che Vizi sono facilmente identificabili grazie alle didascalie che accompagnano ciascun riquadro.
Fra i Vizi Giotto non incluse, volutamente, l’Avarizia perché essa è sottintesa dalla Carità, figura femminile posta in piedi su due sacchi ricolmi di danaro e di grano; questi attributi alludono, appunto, all’avarizia umana.
Le figure allegoriche dei Vizi non sono deformate, così come invece appaiono in altre decorazioni contemporanee con lo stesso soggetto. Anzi non viene meno la particolare propensione di Giotto per la corretta resa delle proporzioni anatomiche e il naturale inserimento delle figure nello spazio, elementi questi che hanno determinato il rinnovamento della pittura dopo la lunga stagione bizantina.
Le figure allegoriche, a monocromo, sono inserite entro dei riquadri che si alternano con un finto zoccolo marmoreo che contribuisce, insieme ad altre soluzioni spaziali, fra cui un finto coretto reso a trompe-l’oeil)un genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell’osservatore l’illusione di guardare oggetti reali e tridimensionali), a dilatare illusionisticamente il piccolo ambiente sacro.

L’affresco fa parte del più vasto ciclo, che decora l’interno della piccola Cappella degli Scrovegni a Padova.
Enrico Scrovegni dovette commissionare gli affreschi a Giotto fra il 1303, anno della costruzione della cappella, ed il 1305, anno della sua
consacrazione.

Involuzione della maniera giottesca dopo la peste del 1348

Alla morte di Giotto, la sua maniera fu diffusa dalla numerosa bottega, composta tra l’altro da grandi artisti, quali Maso di Banco. Le innovazioni giottesche e quelle introdotte a Siena da Simone Martini e da Ambrogio e Piero Lorenzetti, subirono una battuta d’arresto dopo la tremenda epidemia di peste che colpì la Toscana nel 1348. Molti artisti perirono nell’immane flagello, fra cui gli stessi fratelli Lorenzetti, e l’arte ripiombò in quel clima buio e arcaico, già vissuto nel Duecento, quindi antecedente al rinnovamento giottesco.
Sul piano iconografico si riaffacciarono antichi modelli formali atti a soddisfare una Chiesa che, a seguito degli eventi, mutò la propria visione
etico-religiosa. D’altra parte va sottolineato che, a parte la classe borghese e gli intellettuali, la spazialità e il naturalismo giottesco furono considerati dal popolo come una sorte di stregoneria che mutava i temi sacri in fatti umani.
Quindi l’abbandono delle forme e dei modi di queste innovazioni fu, soprattutto per la Chiesa, un assecondare la volontà divina, che con la peste aveva voluto pesantemente colpire l’umanità per i suoi peccati.

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