MADONNA OGNISSANTI – GIOTTO

MADONNA OGNISSANTI (1310 circa)
GIOTTO (1267–1337)
Galleria degli Uffizi, Firenze
Tempera su tavola cm 325 x 204

.

La Madonna raffigurata in trono come Regina del Cielo, circondata dalla sua corte celeste di angeli e santi, presenta ai fedeli il figlio, piccolo Re benedicente. La Madonna Ognissanti è la più vicina cronologicamente agli affreschi di Padova, eseguiti da Giotto intorno al 1304-1306.
In questa pala l’artista sperimenta ulteriormente la sua concezione dello spazio, sviluppa nelle tre dimensioni, sia attraverso la prospettiva del trono che con lo scaglionamento in profondità degli angeli e dei santi, il motivo tradizionale della Vergine, cercando di imporre la figura come ponderata struttura di volume e di colore. L’esile architettura del trono accoglie e dà risalto alla massa azzurra del manto; il chiaroscuro delle vesti modella la forma del corpo facendo emergere il seno e le ginocchia, innovazione che poteva sembrare un’eresia agli occhi degli antichi fedeli. Il fondo d’oro trasmette la propria luminosità alle aureole dorate degli angeli e dei santi e ai colori chiari delle vesti. L’equilibrio delle solide figure della Madonna e del bambino sono espressione di un nuovo linguaggio, di una nuova religiosità che si avvicina con la sua umanizzazione all’uomo stesso.

Se confrontiamo la Madonna Ognissanti con un’altra Maestà, come quella che Duccio eseguì per la compagnia dei Laudesi, in Santa Maria Novella nel 1285, è facile percepire le innovazioni giottesche: dove nella prima la linea determina il movimento della figura ed ancora non osa tradire del tutto la tradizione tardo-bizantina, nella seconda si contrappone la solida “massa” del volume giottesco. Così come scrisse Cennino Cennini, pittore e scrittore suo contemporaneo, Giotto “rimutò l’arte di dipingere di greco in latino e lo ridusse al moderno”.

Il dipinto fu eseguito da Giotto nel 1310 circa per la Chiesa di Ognissanti, allora degli Umiliati, uno dei nuovi ordini monastici “poveri”. E citato per la prima volta come opera di Giotto in un documento della Chiesa risalente al 1418. Nel 1810 fu rimosso da questa sede per passare successivamente alla Galleria dell’Accademia e, nel 1919, agli Uffizi dove attualmente si trova esposto.
La pala ha subito recentemente dei restauri, conclusi nel 1991.

Nella stessa Galleria possiamo ammirare anche il più giovanile “Polittico di Badia”.

 

LA PECORA DI GIOTTO

Nelle “Vite” Vasari ci narra del primo incontro tra Giotto e il suo futuro maestro Cimabue. L’episodio accadde quando Giotto aveva appena dieci anni e si mostrava ancora in tutti gli atti fanciullesco. Il padre, Bondone, lo mandava a pascere le pecore ed il piccolo artista, in qualunque luogo si trovasse, spinto dall’inclinazione naturale per l’arte del disegno, sia su lastre che in terra disegnava in continuazione ritraendo dal “naturale” oppure di fantasia.

Un giorno Cimabue, mentre andava da Firenze verso Vespignano per dei suoi affari, trovò Giotto che, mentre pasceva le sue pecore, sopra una lastra piana e pulita e con 1’aiuto di un sasso poco appuntito ritraeva una pecora dal vero.
Cimabue si fermò meravigliato davanti a questo giovane prodigio che non aveva imparato da nessuno l’arte del disegnare che non da se stesso. Gli domandò allora se voleva andare a stare con lui e il giovane, col consenso paterno, accettò ben volentieri.

.