L’EPOCA DELLA CONTRORIFORMA – IL MANIERISMO

L’EPOCA DELLA CONTRORIFORMA

L’ETÀ DEL MANIERISMO

La grande stagione letteraria e artistica che aveva contrassegnato la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento a partire dalla seconda parte del XVI secolo cominciò a sfiorire. La civiltà rinascimentale, che aveva conferito all’Italia un primato culturale nell’ambito di tutta l’Europa, entrò in crisi. Tra le cause storiche di questa decadenza occorre ricordarne almeno due:
a) L’Italia, dopo il trattato di Cateau-Cambrêsis (1559), divenne una provincia della Spagna. Ciò da un lato le garanti un cinquantennio di pace, ma dall’altro la portò a condividere alcune caratteristiche negative del dominio spagnolo, come l’eccessivo fiscalismo, l’immobilismo politico, l’amore per il lusso, il disprezzo per il lavoro e le attività produttive.
b) Nel corso del Cinquecento la Riforma protestante si era ormai diffusa in tutta l’Europa centro-settentrionale. Le 95 Tesi esposte da Martin Lutero nel 1517 sulle porte della chiesa di Ognissanti a Wittenberg furono l’inizio della spaccatura che in seguito si creò nella Chiesa europea. Come risposta a quest’esigenza di rinnovamento e di chiarezza emersa dalle comunità cristiane la Chiesa di Roma organizzò il Concilio di Trento (aperto nel 1545 e concluso nel 1563); da esso derivò quel movimento di riorganizzazione
disciplinare e spirituale della Chiesa romana che andò sotto il nome di Controriforma. Alla perdita della libertà politica si unirono così gravi limitazioni della libertà di pensiero e della diffusione delle idee. Nel 1571 venne istituita la Congregazione dell’Indice, secondo cui le opere che non si rivelavano in linea con i precetti religiosi e morali vennero incluse nell’Indice dei libri proibiti e quindi messe al bando. Inoltre la Chiesa fondò molte scuole e centri di istruzione, affidati in gran parte ai Gesuiti, in cui si recarono i figli dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, il che le permise un’attenta sorveglianza della produzione culturale dell’epoca.
Per questi ed altri motivi in Italia si aprì un periodo caratterizzato da un clima di crisi e di incertezza. Alla fiducia rinascimentale nelle capacità umane si sostituì una sensibilità diversa, contraddistinta dal senso di precarietà delle cose e dal dubbio.
Centri d’irradiazione del Rinascimento – come Ferrara, Mantova, Urbino – cominciarono a decadere, mentre altri divennero uno strumento nelle mani dei Principi e allentarono i collegamenti fra l’uno e l’altro.
Lo stesso richiamo ai classici perse la funzione di stimolo e di modello inventivo e si trasformò in un adeguamento a schemi rigidi, che in certi generi letterari, come il teatro e il poema epico, implicava l’osservanza di regole ben precise. Non fu dunque un caso che in questo secolo le figure intellettuali di maggior spicco si segnalarono soprattutto nella trattatistica politica (il gesuita Giovanni Botero, 1540-1617) e nella filosofia (Giordano Bruno, 1548-1600, e Tommaso Campanella, 1568-1639). L’unico artista che emerse per la sua produzione letteraria d’alto livello fu Torquato Tasso. La sua arte, caratterizzata da forti contrasti tra luci e ombre, tra spensieratezza e dubbio, può essere considerata emblematica di un’epoca che è stata anche definita età del manierismo. Infatti sia nel campo artistico che in quello letterario prevalse la tendenza a un’imitazione raffinata (appunto “di maniera”) dei migliori scrittori e artisti rinascimentali. Il manierismo rivelò la profonda inquietudine che attraversava le coscienze post-rinascimentali e l’ansia e la difficoltà per giungere a delle nuove elaborazioni culturali.

Una pagina dell’Index lìbrorum prohìbitorum, opera in cui si elencavano ì libri non conformi allo spirito della Controriforma.

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