LEPRE MORTA – Jean-Baptiste Siméon Chardin

LEPRE MORTA (non datato)
Jean-Baptiste Siméon Chardin (1699-1779)
Olio su tela cm 81 x 65
Museo del Louvre, Parigi

Il soggetto di questo olio su tela, firmato dall’autore e il cui titolo completo è Lepre morta con sacca per polvere da sparo e carniere, è tipico del periodo della ricerca intrapresa da Chardin intorno al 1730, come attestano numerose opere di argomento affine degli stessi anni (nessuna delle quali, tuttavia, è datata). Nell’atelier di Pierre-Jacques Cazes, Chardin ha avuto modo di conoscere a fondo la pittura olandese e quella fiamminga, dalle quali scaturisce il suo gusto per l’osservazione della realtà. La composizione è semplice, pur essendo animata da audaci scorci prospettici. Sullo sfondo di un muro verticale, una lepre morta è appesa ad un chiodo per una zampa; sul ripiano, accanto alla selvaggina, sono disposti gli utensili da caccia: una sacca per polvere da sparo, un carniere vuoto. I raffinati colori (bruno, ocra, terra di Siena) si fondono in delicata armonia. La nicchia è suggerita da pennellate successive, sfumate; un raggio di luce rischiara il ventre della lepre, accentuando il realismo della pelliccia. Chardin ha costruito la sua natura morta con cura, scegliendo alcuni oggetti per la forma e il colore, privilegiando una composizione perfettamente equilibrata, semplice, quasi astratta. Egli affronta il tema della natura morta dipingendo direttamente sul modello; contrariamente all’insegnamento professato all’epoca, tralascia la fase di studio preliminare con schizzi e disegni, al fine di dipingere con la
massima veridicità.

Il quadro, firmato in basso a sinistra, è in ottimo stato di conservazione. Apparteneva a Jules Boilly; nel 1852 fu acquistato dal Museo del Louvre per 700 franchi. Prima del lascito della collezione La Caze, avvenuto nel 1869, era l’unica tela raffigurante selvaggina morta esposta al Louvre e fu oggetto di numerose copie.

La fortuna di Chardin

Nell`attività di Chardin la partecipazione al Salon (l’annuale esposizione ufficiale curata dall’Accademia dal 1737), fu un costante appuntamento che gli permise di mantenere vivo l’interesse del pubblico e degli estimatori. Altro elemento del suo successo presso i contemporanei fu la diffusione delle stampe, tratte dai suoi dipinti più apprezzati, realizzate dai Cochin, padre e figlio, e dal Lépicié. Malgrado la fama raggiunta anche a livello europeo, l’artista rimase a lungo isolato, portato come era a prediligere personaggi e oggetti semplici e quotidiani, in evidente contrasto con gli orientamenti accademici del tempo.
Fu solo nella seconda metà del secolo che Parigi iniziò ad apprezzare appieno l’arte calma e chiara di Chardin. Diderot lo considerava il più grande pittore dell’epoca; lo scrittore fu tra i più sinceri amici dell’artista e anche il suo miglior critico, e così scriveva tra il 1759 e il 1763 in occasione di un’esposizione al Salon: “Prenderete le bottiglie per il collo se avrete sete; le pesche e l’uva stimolano l’appetito e muovono la mano; c’è solo da prendere quei biscotti e mangiarseli, quest`arancia aprirla e spremerla, i frutti sbucciarli; in questo paté mettere il coltello”. L’interesse e l’amicizia di Cochin, segretario dell’Accademia reale, gli consentirono di ricoprire alcuni incarichi nell’Accademia stessa (egli fu consigliere nel 1743, tesoriere nel 1755) e di ricevere nel 1761, grazie al marchese di Marigny, il prestigioso e delicato incarico di allestire il Salon. Dal 1771, con l’elezione a direttore di Jean Baptiste Pierre, ostile a Cochin, Chardin perse progressivamente la propria fama e lasciò i suoi incarichi.

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