ENERGIA ALTERNATIVA – ENERGIA DEL MOTO ONDOSO

ENERGIA DEL MOTO ONDOSO

Un prototipo per il suo sfruttamento sperimentato in Giappone, nel 1979

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Dopo la crisi mondiale del petrolio, nel 1973, e la crescita vertiginosa del suo prezzo, diversi Paesi hanno avviato numerose ricerche per lo sfruttamento di altre forme di energia, meno costose. Per quei Paesi che si affacciano sui mari, l’energia potenziale rappresentata dal moto ondoso pare promettere vantaggiose soluzioni in un futuro non molto lontano. Tra l’altro, l’energia che si può ricavare dal moto delle onde presenta alcuni vantaggi rispetto ad altre fonti energetiche naturali quali il sole e il vento.
A differenza di quella solare, questa forma d’energia è disponibile in grandi quantità d’inverno, nel periodo cioè in cui i consumi sono piú alti. Ed è disponibile quasi ininterrottamente, dato che difficilmente le superfici dei mari e degli oceani restano calme – in realtà il fenomeno incide per l’1% nell’arco di un anno – a differenza dei venti, che conoscono periodi di calma anche protratti.
A questi vantaggi si accompagnano però enormi problemi. L’energia del moto ondoso non è presente in tutto il mondo, ma si concentra nelle zone situate tra le latitudini 40° e 60° Nord e Sud. Le regioni equatoriali ricevono troppo poco vento, e in quelle in prossimità dei Poli, fatta eccezione per una piccola zona intorno a latitudine 80°, c’è troppo ghiaccio. Quindi, solo pochi Paesi possono pensare di ricevere benefici dall’energia sviluppata dal moto ondoso. All’avanguardia in questo settore troviamo per ora l’Inghilterra e il Giappone, ma anche gli Stati Uniti, il Canada e la Norvegia cominciano a dimostrarsene interessati.
Sebbene la tecnologia per trarre energia dalle onde sia relativamente semplice, le grosse dimensioni dei macchinari richiesti ne rendono lo sfruttamento molto costoso. Nel 1979, in un rapporto dell’Ente Inglese per l’Energia, si indicava che il costo dell’elettricità ottenuta dalle onde sarebbe stato da 2 a 6 volte superiore a quello dell’energia prodotta da centrali di tipo tradizionale. Il capitale investito, soprattutto in elementi d’acciaio e in opere di calcestruzzo, per ogni singolo kilowatt prodotto sarebbe stato tra i 5.000 e i 20.000 euro attuali, mentre in una centrale normale è pari a 2.000-5.000 euro.
Lo sfruttamento del moto ondoso non si prospetta quindi molto promettente. Le ricerche stanno per l’appunto concentrandosi sui modi per ridurre gli enormi investimenti necessari. Tra i problemi tecnici non ancora risolti, il piú grave è quello degli ormeggi. La maggior parte dei macchinari finora inventati sono di tipo galleggiante, il che significa che in caso di tempeste occorre prevedere l’impiego di cavi e di ancoraggi. Attualmente le tecnologie non consentono soluzioni adeguate. Occorre infatti tener presente che i convertitori dell’energia del moto ondoso dovranno avere le dimensioni di grandi edifici, e tenerli fermi rappresenta un problema ben maggiore di quello dell’ancoraggio di una nave.
Gli effetti naturali, sociali ed economici dello sfruttamento del moto ondoso finora sono stati soltanto schematizzati. Si è accertato che le zone piú adatte per gli impianti sono quelle al largo di coste con mare mosso e tempestoso. Il piú delle volte si tratta di zone in prossimità di regioni scarsamente popolate, il che porrebbe il problema di creare le strutture e infrastrutture adeguate agli insediamenti industriali e-civili.
La riduzione o l’alterazione del moto ondoso potrebbero aver l’effetto di modificare le correnti e i litorali, con conseguenze difficilmente calcolabili sulla flora e la fauna marine. Di certo l’equilibrio, in cui certe specie di pesci si riproducono, verrebbe spezzato. Le stesse rotte del traffico navale andrebbero modificate per la presenza degli enormi convertitori immersi nel mare. Si può dire, in conclusione, che lo sfruttamento dell’energia del moto ondoso è un’invenzione tipica del nostro secolo ma i cui effetti, se le ricerche daranno i risultati sperati, dovranno essere valutati nei prossimi anni.

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ESPERIMENTI E SUCCESSI NELLO SFRUTTAMENTO DEL MOTO ONDOSO

L’ANATRA GENERA ELETTRICITÀ DAL MARE

Inventata da Stephen Salter nei laboratori dell’Università di Edimburgo, nel 1973, l’anatra ê stato uno dei primi apparecchi messi a punto per ricavare energia dal moto delle onde. E in questo campo rappresenta una delle soluzioni meno ingombranti, meno costose e più efficienti realizzate finora, essendo in grado di convertire fino al 35% dell’energia presente nelle onde. Per rifornire una centrale elettrica di 2.000 megawatt, equivalente a 1/12 dell’intero fabbisogno annuo dell’Inghilterra, circa 1.000 “anatre”, ognuna larga 24 metri, dovrebbero coprire una zona marina di 30 km.
Nonostante gli innegabili vantaggi, la complessità della struttura del prototipo di Salter ha indotto il governo inglese a sospendere temporaneamente i contributi al progetto, in attesa di una verifica della sua affidabilità operativa.

Tutto è cominciato nel 1973: aumento del prezzo del petrolio e ricerche di energia alternativa.
In seguito all’aumento dei prezzi petroliferi, registrato nel 1973, all’indomani della guerra tra le nazioni arabe e Israele, nel 1974 il governo inglese istituì uno speciale dipartimento incaricato di ricercare e finanziare metodi per produrre energia alternativa, sfruttando sorgenti mai prima utilizzate.
Le ricerche dimostrarono che una fonte sfruttabile era rappresentata dalle onde, causate dai venti che soffiano sulle superfici dei mari e degli oceani. La dimensione delle onde non solo dipende dalla potenza del vento, ma anche dal “tratto di mare”, cioè dall’estensione della zona su cui il vento soffia incessantemente, nella stessa direzione. Questo accade, per esempio, nell’Atlantico settentrionale con venti in direzione della Gran Bretagna, che generano costantemente onde molto potenti, le quali racchiudono in sé, concentrandola, l’energia eolica. Questo moto ondoso rappresenta una fonte di energia tanto grande che, in teoria, potrebbe soddisfare l’intero fabbisogno di elettricità dell’Inghilterra. Ma come sfruttarlo è un problema ancora irrisolto.

1974: l”’anatra” azionata dalle onde.
Una delle macchine per lo sfruttamento del moto ondoso che, nel 1974, ricevette il sostegno del governo inglese, è quella progettata da Stephen Salter, un ricercatore di Edimburgo. Nota come “anatra”, consiste di una serie di galleggianti montati su una struttura portante. Ogni galleggiante presenta un’estremità a punta rivolta verso il moto ondoso. Quando passa un’onda, il “becco” d’ogni “anatra” ondeggia su e giù. L’energia verrebbe prodotta da questo movimento sussultorio, che andrebbe ad azionare delle pompe a pressione collegate a piccoli generatori d’elettricità, collocati all’interno dello stesso galleggiante.
Esperimenti compiuti su modelli in scala ridotta della macchina di Salter, in laghi e vasche artificiali, hanno dimostrato che fino al 35% dell’energia delle onde ne viene assorbita, con un rendimento medio superiore a quello di altri apparecchi analoghi. Ma la complessa struttura dei macchinari dell’”anatra” potrebbe d’altra parte rivelarsi uno svantaggio.

1975: una macchina in fondo al mare.
Sviluppata presso il Centro di Ricerche Idrauliche di Wallingforcl, in Inghilterra, tra il 1975 e il 1979, la macchina detta “rettificatore” fu progettata per essere collocata sui fondali marini, evitando così i problemi posti dall’ancoraggio e dal controllo in mari molto mossi. Si tratta di un grosso involucro di calcestruzzo a forma di scatola, con un lato aperto verso la direzione d’arrivo delle onde. La parte superiore viene riempita dalla cresta delle onde, e l’acqua discende attraverso delle turbine nella parte inferiore, che si svuota cosi tra un’ondata e l’altra.
L’alto costo di costruzione del “rettificatore”, unito al suo basso rendimento, determinarono l’abbandono del progetto nel 1979.

1976: la zattera galleggiante.
Uno dei primi progetti per lo sfruttamento del moto ondoso fu presentato dall’ingegnere inglese Christopher Cockerell, l’inventore dell’hovercraft. Cockerell ideò uno zatterone cavo, di calcestruzzo o di acciaio, costituito da piú sezioni incernierate tra loro. Quando l’onda vi passa sotto, lo zatterone si flette, e l’energia viene prodotta sfruttando il movimento oscillatorio delle cerniere, che sono collegate ad alcune pompe.
Nonostante l’interessamento del governo inglese, che nel 1976 stanziò fondi per la continuazione delle ricerche, queste furono sospese nel l980, perché i costi di costruzione del congegno di Cockerell erano troppo elevati, anche se il suo rendimento era notevole (il 30% dell’energía delle onde era assorbita).

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LA COLONNA D’ACQUA OSCILLANTE

Negli anni Sessanta, i Giapponesi furono i primi a mettere in pratica il principio della colonna d’acqua oscillante, per la generazione d’elettricità in piccole boe di segnalazione Nel 1979, lo stesso principio è stato applicato al prototipo, detto kaimei, d’un impianto per lo sfruttamento dell’energia del moto ondoso. Dal 1974, anche in Gran Bretagna si stanno compiendo esperimenti su un apparecchio a colonna d’acqua oscillante messo a punto dal centro nazionale d’ingegneria. Ogni elemento, costituito da quattro camere d’acqua, unite nel senso longitudinale in modo da formare un frangiflutti lungo circa 58 metri, può fornire dai 300 ai 600 kilowatt di elettricità.

 

1979: la colonna d’acqua oscillante.
Nel 1965, un ex ufficiale della marina giapponese, Yoshío Masuda, inventò una piccola boa di segnalazione, capace di autogenerare l’energia elettrica necessaria ad alimentare la propria fonte luminosa. Si presenta come una grossa scatola galleggiante con un’apertura sotto il livello dell’acqua. La colonna d’acqua, che si forma all’interno al passaggio di ogni onda, s’alza e si abbassa in corrispondenza. Queste oscillazioni vengono impiegate come quelle di un pistone per comprimere aria, forzandola attraverso una turbina che genera elettricità.
La società giapponese Ryokuseisha vendette, negli anni Sessanta e Settanta, un migliaio di boe di questo tipo, tanto che il loro successo portò ad approfondire gli studi sulla colonna d’acqua oscillante come fonte di energia. Cosi nel 1979 il Centro Giapponese di Scienza e Tecnologia Marine ne collaudò un prototipo di grosse dimensioni, denominato kaímei. A forma di nave, con una lunghezza di 18 metri e una larghezza di 12, pesante 500 tonnellate, disponeva di 22 colonne d’acqua che comprimevano l’aria azionando 10 generatori di elettricità.
Il fabbisogno medio di elettricità in un Paese industrializzato è valutato in un milione di watt per 1.000 persone. La produzione potenziale del kaimei, valutata a 1,25 megawatt, si ridusse in pratica a soli 20.000 watt. Cosi dopo esperimenti di circa sei mesi nell’inverno 1979-80, nei turbolenti mari lungo le coste del Giappone, il kaimei fu rimorchiato in porto, per ulteriori collaudi. Dal loro esito dipenderà il proseguimento delle ricerche, anche se le dimensioni dell’impianto rappresentano un ostacolo probabilmente insormontabile. Infatti un modello funzionale dovrebbe pesare 3500 tonnellate e, oltre i notevoli costi di fabbricazione, presenterebbe enormi difficoltà per l’ancoraggio in mari mossi.

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NUOVE IDEE PER IL FUTURO

In Inghilterra si continuano a ideare nuovi congegni per sfruttare l’energia del moto ondoso; e vengono valutati ogni anno dall’organismo governativo competente per decidere quali meritino di ricevere contributi. Attualmente quattro progetti sono finanziati dal governo inglese e due di questi sfruttano il principio della colonna d’acqua oscillante.
Gli altri due riguardano rispettivamente un apparecchio, denominato “borsa flessibile”, messo a punto nel 1977 da Michael French, un professore dell’Università di Lancaster, e la ricerca su un “cilindro oscillante” avviata nel 1978 da David Evans e da Tom Shaw, due ricercatori dell’Università di Bristol.
L’apparecchio di French è uno scafo rigido e stretto, semisommerso, con un’estremità puntata verso il flusso delle onde. Camere d’aria di gomma, disposte lungo entrambi i lati, sono divise da una serie di membrane flessibili in scomparti, che vengono periodicamente compressi dal passaggio dell’onda e decompressi nell’intervallo tra un’onda e l’altra. Questa azione di pompaggio serve ad alimentare una turbina ad aria, collegata a un generatore di elettricità.
Nel progetto di Evans e Shaw un cilindro galleggiante, lungo circa 45 metri e con un diametro di 11 metri, è ancorato sott’acqua mediante catene o tubi di acciaio. Essendo disposto orizzontalmente rispetto all’onda in arrivo, questa lo fa orbitare, mettendo in funzione le pompe alla base degli ancoraggi, che azionano delle turbine idrauliche. L’elettricità, che viene di conseguenza generata, viene trasmessa a terra attraverso un lungo cavo sottomarino.

 

IL CILINDRO OSCILLANTE

Il movimento del cilindro ê trasmesso alle pompe alla base dei tubi di ancoraggio, che, risucchiando l’acqua, la inviano sotto pressione a una turbina idraulica. L’elettricità è trasportata a terra con un cavo sottomarino.

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