L’UNIONE DELLA TERRA CON L’ACQUA – Pieter Paul Rubens

L’UNIONE DELLA TERRA CON L’ACQUA (1612-1615)
Pieter Paul Rubens (1577-1640)
Olio su tela cm 222.5×180,5
Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo

Ad una prima lettura, il quadro raffigura un uomo e una donna seminudi che si tengono per mano appoggiandosi ad un grande vaso che lascia cadere dell’acqua dalla quale si genera un laghetto. In esso sguazzano due allegri fanciulli e un uomo dal torace possente che soffia in una grande conchiglia forse per emettere un suono.
Alla destra della figura femminile, una tigre sembra sul punto di spiccare un salto verso una cornucopia piena di frutta varia: mele, pere, una piccola zucca striata, grappoli d’uva, rami con bacche diverse, fichi e un tralcio di albicocche.
Tutto questo a prima vista ma, ad una più attenta analisi, la figura maschile che ci volge le spalle è identificabile con Nettuno, Dio dell’Acqua, per il tridente che tiene nella mano destra e che simboleggia il suo triplice potere sul mare: reggerlo, agitarlo, calmarlo. La figura femminile è invece Cibele, Dea della Terra, come indica la cornucopia piena di frutta, simbolo della fecondità e della ricchezza che questa può determinare. L’uomo immerso nell”acqua è allora Tritone, figlio del Dio Posidone che i Romani identificavano con Nettuno, e il corno di conchiglia nel quale soffia non serve a produrre un suono ma a placare, su comando del padre, le onde del mare. La donna alata alle spalle di Nettuno e Cibele è una Vittoria che celebra la loro unione incoronandoli con ghirlande nuziali fiorite.
In questo senso la tela raffigura una allegoria dell’unione della Terra con l’Acqua ma esiste una terza possibilità di interpretazione del dipinto secondo la quale l’artista ha voluto rappresentare la città di Anversa e le sue fonti di ricchezza derivanti tanto dai traffici marittimi e fluviali (l’acqua che fuoriesce dal grande vaso rovesciato simboleggia infatti la Schelda, il fiume di Anversa), quanto da quelli terrestri.

L’Unione della Terra con l’Acqua si colloca nella produzione rubensiana posteriore al soggiorno italiano, vicino ad opere come il trittico della cattedrale di Nôtre Dame di Anversa.
La tela è tuttavia ancora intessuta di ricordi italiani, in particolare di Tiziano e Annibale Carracci e ricorda lo stile della Natività della chiesa di San Fermo nelle Marche del 1606.
Databile fra il 1612 e il 1615, l’opera pervenne al Museo dell’Ermitage nel lotto di acquisti dell’ultimo decennio del secolo XVIII e dell’inizio del XIX.

 

L’elaborata tecnica di Rubens

Per tener dietro alle molte commissioni, Rubens, appena rientrato dall’Italia (1608), fondò ad Anversa una grande bottega ed elaborò un procedimento operativo molto complesso nel quale tuttavia larga parte era affidata agli allievi. Dopo uno schizzo a penna dell’intera composizione che costituiva la prima concezione del quadro, l’artista dipingeva un bozzetto ad olio, spesso su carta, dal quale traeva poi un modelletto su tavola di piccolo formato, che conteneva, appena accennati, gli elementi previsti dal dipinto.
Era una sorta di progetto che Rubens mostrava al suo futuro proprietario. Approvata da questi l’idea, il maestro compiva disegni a matita dei particolari e delle figure che gli allievi riportavano poi sul quadro con le giuste tonalità
cromatiche. Toccava poi a Rubens terminare l’opera unificandola con la sua vibrante ed estrosa pennellata.

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