REMBRANDT e la pittura olandese rivoluzionaria

 

Rembrandt Harmenszoon van Rijn nacque a Leida nel 1606 e morì nell’ottobre del 1669, all’età di sessantatré anni. Morì ad Amsterdam, dove si era trasferito a partire dal 1632 allorché la Gilda dei Chirurghi di quella città gli commissionò il ritratto di gruppo noto come LA LEZIONE DI ANATOMIA DEL DOTTOR TULP.

Rembrandt è dunque vissuto nel periodo del massimo fervore e del massimo sviluppo della repubblica olandese, sorta dalla lotta che la borghesia, in alleanza con la piccola nobiltà, condusse particolarmente dal 1565 al 1609, anno in cui la Spagna fu costretta, in seguito a gravi sconfitte, a riconoscere l’indipendenza delle sette province settentrionali dei Paesi Bassi che si erano fieramente staccate, con l’accordo di Utrech, dalle province meridionali rimaste legate al dominio spagnolo.

La rivoluzione che portò alla costituzione della repubblica olandese è la prima rivoluzione borghese vittoriosa in Europa. Per questa rivoluzione, come ha scritto Marx, l’Olanda diventò nel XVII secolo l’esempio tipico dello Stato capitalistico.

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LA CENA IN EMMAUS

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LA CULTURA E LA RIVOLUZIONE BORGHESE

Nel seicento, specie nel campo della cultura, si raccolgono i frutti di tanta profonda trasformazione rivoluzionaria.
Nelle nuove Province Unite è in atto un ordinamento aristocratico-borghese che al confronto con gli altri paesi, ancora oppressi dalle monarchie feudali, fa apparire l’Olanda come un regno di libertà e di benessere.
Cartesio, nel 1631, scriveva da Amsterdam…

“Quale altro paese al mondo si può trovare dove tutte le comodità della vita e tutto quanto si può desiderare sia così facile ad avere come qui? Quale altro luogo dove si posa godere di una libertà così completa?”.

Non a caso Spinosa si rifugerà in Olanda ad elaborare e a manifestare il suo pensiero. L’università di Leida era un centro vivo, pulsante, a cui venivano d’ogni parte gli studiosi europei. Qui Ugo Grotius gettò le basi della scienza giuridica internazionale. Una vita culturale intensa si svolgeva dunque in Olanda, mentre la giovane repubblica aumentava la sua potenza mercantile e i suoi possedimenti coloniali.
Quanto alla pittura si può dire che nasca veramente con la formazione del nuovo Stato nazionale. Per tutto il Cinquecento essa aveva subìto l’influenza manierista di Anversa ed è solo nel secondo decennio del Seicento che assume una netta e originale fisionomia olandese. Ciò che è interessante osservare è che ormai questa eccezionale fioritura d’arte è un fenomeno che acquista una diffusione mai vista prima. Sono migliaia i pittori che agiscono in ogni parte del paese, perché dovunque c’è vita attiva, circolano idee, sono vivi i sentimenti e lo spirito che hanno creato l’Olanda. I centri culturali si sono moltiplicati: Haarlem, Amsterdam, Utrech, L’Aia, Dordrech. Dovunque, insomma, gli artisti trovano un terreno favorevole al loro lavoro.

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LA LEZIONE DI ANATOMIA DEL DOTTOR TULP

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IL GIUDIZIO DI HEGEL

In un memorabile capitolo della prima parte del terzo volume della sua ESTETICA, Hegel ha messo magistralmente in evidenza il rapporto tra la rivoluzione olandese e l’arte che ne è sorta. Tra l’altro scrive…

“Con la penetrazione della Riforma in Olanda, gli olandesi diventano protestanti e scuotono la tirannia della Chiesa e del regno spagnolo. Dal punto di vista politico non s’incontrano in Olanda né una fiera nobiltà che caccia il suo principe e gli impone le sue leggi, né dei contadini oppressi che attaccano come hanno fatto i contadini svizzeri, ma uomini che, avendo fatto prova del più grande coraggio in terra ed essendosi comportati da eroi in mare, erano diventati dei cittadini, dei borghesi industriosi, agiati…
Questa popolazione intelligente, dotata per l’arte, volle ugualmente esprimere nella pittura il suo temperamento robusto, diritto, sobrio e facile, volle ritrovare nei suoi quadri, in tutte le maniere possibili, la nettezza delle sue città, delle sue case, dei suoi utensili domestici; volle gioire della sua pace domestica, dell’abbigliamento decoroso delle sue donne e dei suoi bambini, dello splendore delle sue feste municipali, dell’audacia dei suoi marinai, della fama dei suoi commerci e dei suoi navigli che solcano tutti i mari del mondo…
Questa intuizione dell’intima natura umana, delle sue viventi forme e manifestazioni esteriori, questo piacere schietto e questa libertà artistica, questa gioconda freschezza della immaginazione e questa sicura arditezza dell’esecuzione, ecco ciò che forma la nota poetica ed anima la maggior parte delle creazioni dei grandi maestri olandesi. Nelle loro opere possiamo studiare e imparare a conoscere l’uomo e la natura.

Quest’ultima osservazione di Hegel è particolarmente giusta per le opere di Rembrandt, che è senz’altro il genio nazionale di questa nuova arte. Seguendo il suo itinerario figurativo si può conoscere la storia di quest’arte nei suoi momenti più tipici e nelle espressioni più alte. Egli infatti è un artista ricco di pensiero, un artista di straordinaria profondità.
Giustamente Fromentin, parlando di lui, lo definisce “un’ideologo”.
Rembrandt infatti scruta nelle cose e nell’uomo, portandone alla superficie, con suprema perfezione, il significato più vero e recondito. L’esperienza di Michelangelo Merisi detto CARAVAGGIO è il punto di partenza delle sue ricerche luministiche.
Mirando all’essenziale, ricavando le immagini dall’ombra, definendole con una materia preziosa, intrisa di luce, egli giunge ad infondere nella sua pittura una sorta di splendore interiore, che non ha nulla più di naturalistico, che appare come una illuminazione scaturita dall’intimo stesso dei suoi personaggi.

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La ronda di notte

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LA PITTURA COME CONOSCENZA DELL’UOMO

Certo, quella di Rembrandt è una pittura spirituale, è come un’esplorazione dell’anima e dei sentimenti. Dalla RONDA DI NOTTE del 1641 ai SINDACI DEI LANAIOLI del 1661, egli ha lavorato tenacemente a questo scopo: rivelare l’uomo con la pittura. Spesso lavorava ai suoi quadri per anni, toccando limiti espressivi di una intensità che non ha paragoni in nessun altro del suo tempo. Basta ricordare i suoi RITRATTI e ancor più la serie dei suoi AUTORITRATTI per rendersene conto. Basta ricordare quanta verità e suggestione egli sapeva comunicare alle varie scene bibliche che amava prendere a soggetto dei suoi quadri.

Ma proprio per questa sua acutezza e profondità, per questo suo ansioso ricercare la sostanza più vera dell’uomo e delle sue vicende, Rembrandt è anche l’unico artista olandese del suo tempo che abbia avvertito le contraddizioni che già esplodevano in seno alla nuova società borghese sorta dopo la rivoluzione.
Dopo la metà del secolo infatti, se da una parte la borghesia era sempre più sazia e soddisfatta delle sue ricchezze, dall’altra le masse popolari, che pure erano intervenute nella rivoluzione con tutto il loro peso, come osservava Marx, “soffrivano per il lavoro coatto e sopportavano uno sfruttamento più spietato che in qualunque altro paese d’Europa”.

Anche in questa realtà sociale, Rembrandt ci ha lasciato una viva rappresentazione in una serie di rapidi e incisivi disegni: mendicanti coperti di stracci, vecchi macilenti che camminano a fatica, contadini rotti da un lavoro bestiale, povere madri con i loro bambini sulle ginocchia, ebrei miserabili: tutta un’umanità sofferente che egli riguardava con animo partecipe e commosso.
Non c’è dubbio che anche i gusti artistici della borghesia andavano mutando. Ai pittori, sempre più, si richiedeva non schiettezza, semplicità, forza, ma sfarzo, eleganza, opulenza. Non è un caso se allievi di Rembrandt, come furono il Flinck, il Maes, il Bol e l’Hoogstraten, come osserva Seymour Slive, dopo il 1660 incominciarono a “tradurre in olandese una mescolanza di italiano, fiammingo e francese”.

Certo non mancarono a Rembrandt, sino alla fine, ammiratori convinti, ma intorno a lui crebbero anche le diffidenze e le ostilità. Andreis Pels, un poeta suo concittadino, nel 1681, scrive su Rembrandt questi versi…

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“Se egli dipingeva come talvolta accade una donna nuda
Non sceglieva a modella una Venere greca
Ma piuttosto una lavandaia o una venditrice di carbone
E questa chiamava “imitazione della natura”.
Ogni altra cosa era per lui ozioso ornamento. Seni cascanti
Mal formate mani, che dico, le tracce delle stringhe dei busti sullo stomaco,
Dei legacci alle gambe
Erano visibili, in omaggio alla natura.
Era questa la sua natura che non sopportava regole
Né principi di proporzione nel corpo umano”.

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Questo giudizio appare oggi come l’elogio più grande che si possa fare a Rembrandt, ma si tratta di un giudizio che riflette il mutamento del gusto della borghesia olandese e quindi il decrescere della stima nei confronti del grande artista.
All’interno di questa situazione va vista del resto anche la rovina finanziaria di Rembrandt, la confisca della sua casa, le difficoltà economiche incontrate nell’ultimo periodo della sua vita. Nell’inventario dei beni, redatto dopo la sua morte, appare che nulla egli possedeva tranne i suoi “vestiti di lana e di tela e gli strumenti del suo lavoro”.
Nell’ultima parte della sua esistenza la sua pittura si fece più drammatica, più grave e solenne per accenti morali e dolorosi. Il dramma della sua vita si mescolava al dramma generale di una situazione mutata.
Nel 1666 era morto Frans Hals, nel 1675 morirà Vermeer, nel 1682 Jacob van Ruisdael, gli artisti che avevano fatto grande la scuola pittorica del Seicento olandese.
Tre anni prima della morte di Rembrandt, Gérard de Lairesse di Liegi, fedele imitatore di Nicolas Poussin, impiantando il suo studio ad Amsterdam, la stessa città dimora di Rembrandt, poteva tranquillamente disprezzare il realismo degli olandesi, dando nuovamente inizio alla divulgazione del mitologismo. L’influsso della corte francese farà il resto.

La vecchia tendenza realista, di cui Rembrandt aveva spinto i valori sino ad una sublime intuizione di eccezionale modernità, continuerà a vivacchiare, priva di linfa e di sangue, come una facile e minore pittura di genere, quasi come se la sua grande storia fosse oramai una storia lontana.
L’ultimo AUTORITRATTO di Rembrandt, dipinto l’anno della sua morte, appare così come l’estrema, la più alta testimonianza di una gloriosa stagione giunta al suo apice e al tempo stesso all’inizio della sua fine.

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AUTORITRATTO CON I BAFFI

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