IRENE DA SPILIMBERGO – Pittrice friulana

    

IRENE DA SPILIMBERGO 

Gli esempi luminosi di chi nel corso di una vita più o meno lunga ha lasciato onorevole ricordo di sè non possono essere eclissati nè dal tempo nè dalle umane vicende.
E il nome di Irene da Spilimbergo, alla quale è dedicato l’Istituto Magistrale di San Pietro al Natisone, è ancor oggi una fiaccola che può illuminare il cammino a quanti si accingono a percorrere le vie del sapere.
Poche le memorie rimaste di lei, ma tali che lasciano perplessi e fanno pensare quali mete Irene avrebbe raggiunto se la sua vita si fosse protratta più a lungo nel tempo. Nacque a Spilimbergo nel 1541, secondogenita del Conte Adriano da Spilimbergo e della nobile patrizia veneta Giulia Da Ponte. Il Conte Adriano, perfetto conoscitore delle lingue ebraica, greca e latina, “letteratissimo così nelle lingue come nelle scienze” le diede la prima educazione e rilevò ben presto la precocità intellettuale di Irene. La quale assimilava con tanta rapidità quanto le veniva insegnato da destare l’ammirazione di quanti l’avvicinavano, della stessa regina Bona di Polonia, che di passaggio per il Friuli fu ospite dei Conti Spilimbergo e fece dono ad Irene di due catene d’oro, e dello zio Giovan Paolo Da Ponte, gentiluomo di rare qualità. Il padre di Irene morì quando la fanciulla non aveva ancora raggiunti i dieci anni, e la madre, dopo il periodo di lutto, passò a seconde nozze.
Giovan Paolo Da Ponte volle Irene presso di sè e la fanciulla, poco più che decenne, fece il suo ingresso nella nobile famiglia dei Da Ponte, una delle più illustri case di Venezia, che potè vantare anche un doge, Nicolò Da Ponte. Le preclari qualità della fanciulla qui ebbero modo di svilupparsi e concretarsi.
Fu educata alle lettere, alla musica e al ricamo fra i dotti conversari e le fini maniere delle patrizie Olimpia Malipiero, Foscarina Venier e Adriana Contarini; alla serietà degli studi fra le dissertazioni letterarie di Elisabetta Quirini e Pietro Bembo; al culto del bello dalla famigliarità di vita con Tiziano Vecellio e Sansovino. Si dedicò allo studio dei migliori scrittori italiani dal Petrarca al Bembo con una tenacia insolita in una età ancora tanto giovane; e lo studio assiduo nell’età dell’immaginazione e dell’entusiasmo le fecondò la mente e il senso del bello. Le dotte conversazioni, alle quali sempre partecipava più per ascoltare che per parlare, accrebbero il tesoro delle sue cognizioni tanto che cominciò ben presto ad attrarre l’attenzione degli illustri frequentatori di casa Da Ponte. Un’aureola di stupore e di ammirazione la circondò ben presto, nella luce della quale Irene si moveva ed appariva quasi un essere destinato a grandi cose fin da giovane. Modesta nel portamento, anche nella ricchezza dell’abbigliamento che curava in modo particolare ricamando su preziose sete o su candidi lini figurazioni e allegorie con raro senso artistico, graziosa e delicata, squisita esecutrice di musica classica all’arpa e alla viola, divenne come una meteora luminosa sulla quale si appuntarono gli sguardi dei più celebri maestri delle lettere, delle scienze e dell’arte.
E verso Irene, con le mature patrizie, cominciò ad accorrere anche la gioventù veneziana quasi in una gara di spirito e di eleganza per ottenere in cambio una parola, un sorriso o almeno uno sguardo. Irene però, con la finezza propria dell’educazione e del sentimento, fece presto intendere di sentirsi portata unicamente verso i valori dello spirito di fronte ai quali tutto ciò che è solamente terreno impallidisce e muore.Gli anni trascorsi nel vecchio castello di Spilimbergo, nella contemplazione delle bellezze della natura, del dolce paesaggio che dalle sponde del Tagliamento va mollemente elevandosi fino alle verdi colline per perdersi nella maestosità delle Alpi Carniche, avevano lasciato nel suo cuore un nostalgico desiderio di qualche cosa che potesse far rivivere il mondo interiore che si agitava in lei.
L’incanto dalla laguna, il mare sconfinato, la festa di colori, di cui Venezia è sempre accesa, avevano trasformato il desiderio in volontà.A Spilimbergo aveva imparato ancor fanciulla il disegno da una certa Gampaspe che frequentava il castello; a Venezia, attratta nell’orbita del grande Tiziano, volle diventare sua allieva. E Tiziano, quantunque spesso astioso e insofferente di aver accanto allievi o imitatori, l’accettò di buon grado…, “e: non era poco per lei l’addivenire allieva di colui che fra i pittori era chiamato maestro universale”.Una base comune unì maestro e allieva fin dall’inizio: l’amore per la natura, per quella natura che è incomparabilmente superiore a qualsiasi tecnica pittorica e che sola può essere ispiratrice de bello.
Tiziano guidò amorevolmente per un anno la giovane, incoraggiando e correggendo con paternità e con severità, additandole come modello da imitare quel Giovanni Bellini che era stato suo maestro e che aveva saputo trasfondere tanta grazia sovrumana nelle sue Madonne.
Tiziano si preoccupò di instillare in Irene quel senso del bello che deriva dall’armonia dei colori e dall’equilibrio tra il semplice e il vero.Irene sentì nella persona e nell’arte del maestro qualche cosa che trascendeva le più elette capacità e fece meta dei suoi pellegrinaggi quasi quotidiani l’Assunta che già sfolgorava nella Chiesa dei Frari.La contemplazione e la meditazione di quel gioiello inestimabile furono la sua scuola migliore.

Volle allora cimentarsi con la tavolozza. Rimangono di lei tre quadretti che nella armoniosa fusione delle tinte, delle luci, della composizione possono considerarsi una felicissima prova della versatilità e dell’intuizione dello spirito di Irene.
I tre quadri, portati alla luce dal conte Fabio di Maniago e raffiguranti rispettivamente “Noè che entra nell’Arca”, il “Diluvio Universale”, la “Fuga in Egitto”, furono da Irene composti all’età di 18 anni, dopo un anno cioè di studio assiduo sotto la guida del suo illustre maestro, spinta da un profondo senso di emulazione per una sua amica, allieva del cremonese Bernardo Campi, Sofonisba Anguissiola che pur giovane già godeva di fama meritata.

Oltre la pittura storico-biblica sembra, a dire di un anonimo poeta suo contemporaneo, che Irene abbia imparato da Tiziano anche l’arte del ritratto.
Così infatti si esprime l’anonimo:

Dal divin Tiziano ed immortale
l’arte imparò già di ritrar altrui
Irene che poi mai ebbe uguale.

Irene fu anche scrittrice. Poesie da lei composte erano possedute dal conte Bastiano Mistruzzi, e alcune prose e orazioni dal cancelliere dei Conti di Spilimbergo, Francesco Stella; ma tutti questi saggi letterari andarono perduti.

L’attività di questa fanciulla ebbe qualcosa di prodigioso; ma sembra che la natura non voglia mai venir meno alla sua legge sulla graduale e lenta evoluzione dell’intelligenza umana. Lo studio, le veglie, le fatiche avevano già minato la salute di Irene. A nulla valsero le esortazioni amorevoli; i consigli, l’affetto, i rimproveri di chi l’amava e le stava accanto.
L’ansia e il tormento di non poter raggiungere la meta prefissasi erano diventati quasi una seconda natura che per poco tempo valse a sostenere la fragilità del suo corpo.

Aveva appena 18 anni quando una febbre ardentissima l’assalì, accompagnata da acutissimi dolori alla testa.
Per 22 giorni si dibatté tra la vita e la morte e poi reclinò il capo come un fiore troppo bello per restare più a lungo sui giardini della terra.
Il trapasso, anche nel tormento del male, fu sereno e cristianissimo come era stata la sua vita.
Era il 1559.

La notizia della sua morte si sparse rapidamente.
E fu un accorrere angoscioso di artisti e di letterati, e fu una gara di lodi e di omaggi alle doti di mente e di cuore di Irene.
Tiziano che l’aveva avuta allieva prediletta, che l’aveva amata come un padre, la volle immortalare in un quadro dove splendore, bellezza e compostezza si fondono mirabilmente.
Il quadro era posseduto dal Conte Giulio di Spilimbergo e custodito nella sua casa di Dernanins a Maniago.
Successivamente fu portato in casa dei Conti Maniago a Maniago.

Torquato Tasso, che era legato ad Irene oltre che dalla stima da un vincolo di parentela, avendo Lucia Tasso, sorella naturale di Bernardi, sposato il Conte Alessandro di Spilimbergo, si inchinò commosso davanti alla morte della promettente fanciulla e venne a confondere “il proprio pianto al pianto universale per la cruda morte di Irene: di questa Beatrice della pittura e del femminino friulano”.
Volle anche, dopo aver visto il quadro del Tiziano, rievocarla in pochi versi:

Quai leggiadri pensier, quai sante voglie
dovea viva destar ne l’altrui menti
questa del Gran Motor gradita figlia!
Poi c’hor dipinta (o nobil meraviglia)
e di cure d’honor calde ed ardenti
e d’honesti desir par che ne invoglie.

Tre secoli più tardi il poeta Luigi Carrer nel suo “Anello di 7 gemme o Venezia e la sua storia” pose Irene da Spilimbergo tra le sette donne che diedero luce e gloria senza pari alla Serenissima che con l’iniquo trattato di Campoformido cessava per sempre di esistere.

E il Prati ancora, osservando un dipinto nel vecchio castello di Spilimbergo, volgeva un pensiero reverente all’autore Giovanni da Udine, che…

…del merlato Spilimbergo intorno
udia sull’aura reverenti i nomi
di Vecellio e di Irene, ambo immortali.

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Tiziano Vecellio

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Più recentemente il nome di Irene di Spilimbergo fu posto ancora una volta in luce.
Un trafiletto de “La Patria del Friuli” del 12 settembre 1907 riportava un desiderio espresso da Pietro Mascagni di avere un libretto da musicare, disposto per questo a pagare qualsiasi somma.
La scrittrice viennese Tosa Will, nota maggiormente sotto il pseudonimo di Wilda, compose un libretto in un prologo e 2 atti dal titolo “Irene da Spilimbergo”.
Il manoscritto fu dal Mascagni ricevuto e fatto tradurre, ma poi, non si sa come, andò perduto.
Per questo motivo l’autrice che non ne possedeva un altro esemplare, sporse querela contro l’insigne musicista italiano.

Per una fatalità quindi ci è venuta forse a mancare un’opera che avrebbe certamente divulgato ancor di più il nome e le virtù di questa meravigliosa figlia del Friuli.

Lungo sarebbe ricordare anche soltanto i nomi di tutti coloro che dal tempo della morte di Irene ad oggi vollero in qualche modo celebrarla e glorificarla.
Credo tuttavia che il profilo di Irene, quale appare dalle poche e frammentarie notizie raccolte, sia sufficientemente delineato per mostrare quanto degnamente il suo nome possa stare sulla facciata del glorioso Istituto Magistrale di San Pietro al Natisone fondato da 130 anni ormai.

Questa volitiva fanciulla è guida delle giovani menti che si accingono a percorrere le dilettevoli, se pur aspre, vie del sapere…, possa la sua luce illuminare le intelligenze e il suo calore accendere nei cuori quelle fiamme che solo nell’amore della terra natale, del buono e del bello trovano un’esca che le rende inestinguibili.

OPERE CONSULTATE

GIUSEPPE BONTURINI – Elogio delle pittrici veneziane Irene da Spilimbergo e Maria Tintoretto

FABIO DI MANIAGO – Storia delle Belle Arti Friulane

PIER ANTONIO SERASSI – La Vita di Torquato Tasso

CHINO ERMACORA – Il Friuli – Itinerari e soste, in Indicatore della Provincia di Udine

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