FILOSOFIA – LA SCOLASTICA – I MISTICI – GLI ERETICI

LA SCOLASTICA
 (900-1400)

Razionalismo e misticismo nel pensiero del Medio Evo
La questione degli universali

CARATTERI GENERALI DELLA SCOLASTICA

Nonostante la decadenza della cultura fin verso il 1000, la tradizione filosofica si era, come si è detto, mantenuta nelle scuole dei monasteri, in quelle episcopali (presso le sedi vescovili) e in quelle palatine (presso le corti dei principi e dei re). Quando l’occidente europeo, verso il 1000, si risvegliò a nuova vita, 1’arte liberale della dialettica cominciò ad acquistare importanza particolare e divenne la filosofia scolastica, così chiamata, appunto, dalle scuole dov’era insegnata.

I contatti sempre più stretti e frequenti coi Bizantini e con gli Arabi, a cui quel risveglio generale di vita portava i cristiani d’occidente (poichè la scolastica fu propria della cristianità occidentale), permisero di valersi degli apporti di .quei due mondi relativamente più colti e che erano più direttamente imbevuti del vecchio pensiero greco.  Cosi troviamo che la filosofia del Medio Evo (già prima quella araba e poi quella pure degli Ebrei, svoltasi contemporaneamente alla scolastica cristiana) è legata alla filosofia greca, in ispecie ai due grandi Platone ed Aristotele. Ma questo fatto e l’altro di svolgersi in un ambiente ormai saldamente cristianizzato e per opera di gente di chiesa posero la scolastica in uno stato di notevole dipendenza dalla tradizione greca e dalla teologia (da questa, anche per il tramite della patristica). Pertanto si nota in essa l’ossequio all’autorità (filosofica e teologica).

Il metodo usato è il deduttivo. Il procedimento esteriore è il seguente: prima si annuncia la tesi, poi si espongono le difficoltà degli avversari, quindi le ragioni in favore della tesi e infine la confutazione delle obbiezioni. A noi moderni appare piuttosto arido e pesante, veramente “scolastico”; ma gli si deve riconoscere chiarezza e rigore. Se bene usato, come in San Tommaso, ha notevole efficacia dimostrativa e didattica.

Non dimentichiamo poi che si deve anche alla scolastica la trasformazione di semplici scuole di Arti liberali del Medio Evo in università, alcune delle quali dovranno a essa la loro celebrità. Valido contributo portò la scolastica all’elaborazione, che allora si andò facendo, dello stile filosofico e scientifico moderni e alla costruzione logica delle lingue nuove.

Sono comuni caratteristiche degli scolastici: la tendenza a costruire la sintesi generale del sapere in armonia con la fede cristiana; la fiducia indiscussa nell’oggettività della conoscenza; l’accettazione della tesi della personalità distinta  e trascendente di Dio, e della tesi della creazione del mondo; l’interpretazione dell’universo come risultante da materia e  forma; la teoria dell’unione sostanziale dell’anima col corpo; la “teoria della conoscenza” a base sensistica; l’affermazione della libertà della volontà; la teoria della felicità come premio nella vita futura.

Insieme col razionalismo, proprio della filosofia, si sviluppò anche la tendenza mistica, naturale conseguenza dei misteri della religione e della vita contemplativa dei monaci. È, d’altronde, lo spirito proprio della matura coscienza religiosa, la quale, in tempi di accentuato e rapido progresso del pensiero, come in quello di cui parliamo, teme che il raziocinio sia portato troppo oltre, Oppure sente, in esso, dell’insufficienza e afferma ed esalta il valore e la gioia della libera intuizione.

PERIODO DI FORMAZIONE

LA QUESTIONE DEGLI UNIVERSALI

Questo periodo va dal secolo nono al secolo dodicesimo e subisce un prevalente influsso platonico.

Il primo grande filosofo del medio evo scolastico è SCOTO ERIUGENA; già nominato. Secondo lui, la vera filosofia non differisce dalla vera religione. Egli interpreta il dogma della creazione nel senso di emanazione, proprio della scuola neoplatonica. Gliene deriva un panteismo mistico. Come ogni essere viene da Dio, così tutti devono ritornarvi. Scoto accetta la teoria della predestinazione, integrandola nel senso che tutti siamo predestinati alla salvezza eterna, poichè la potenza di Dio è abbastanza grande perchè la sua grazia abbracci e santifichi tutto l’universo.
Opera principale: De divisione naturae.
Porfirio, nell’Introduzione alle categorie di Aristotele, tradotta da Boezio, aveva posto la questione se le idee generali o “gli universali”, come “l’uomo” “la pianta”, corrispondessero a realtà esistenti per sè o fossero delle pure astrazioni, dei semplici nomi. Era la stessa questione che aveva diviso Platone ed Aristotele: per il primo, l’universale ha esistenza separata dagli individui che lo manifestano; per il secondo, esso non esiste che negli individui e questi soli sono reali. Risollevata dai filosofi del Medio Evo, il problema aveva anche gravi ripercussioni nel campo della fede, e fu lunga e tenace la polemica tra “realisti” e “nominalisti“.
D’apprima la questione fu risolta nel senso platonico, e famoso realista fu SANT’ANSELMO (nato ad Aosta nel 103 3 e morto arcivescovo di Canterbury nel 1109), il quale, oltre a riprodurre la dialettica platonica, ivi aggiunse un argomento nuovo per dimostrare la reale esistenza di Dio (argomento ontologico), che consiste nell’assumere come legittimo il passaggio dall’idea all’essere, passaggio implicito nella teoria dei realisti. L’argomento ontologico fa derivare la prova dell’esistenza di Dio dall’idea che abbiamo di lui, che è l’idea d’un essere perfetto, nella perfezione del quale, pertanto, è compresa la nota dell’esistenza (se no, non sarebbe perfetto). La dimostrazione era rivolta contro l’ateo insipiente della Bibbia, che negava l’esistenzadi Dio, mentre pur lo pensava: Dixit insipiens in corde suo “Non est Deus“.

Il monaco Gaunilone, nel suo Liber pro insipiente, obbiettava a Sant’Anselmo che dall’idea, ad esempio, d’una isola, anche se immaginata come la più bella possibile, non si poteva concludere alla sua esistenza. Sant’Anselmo, nel Liber apolageticus ad insipientem, ribatteva che il paragone non andava, perchè l’isola è sempre un essere determinato e finito, mentre Dio è l’essere assoluto.  Opere principali di Sant’Anselmo: Monologium (de Divinitatis essentia…); Proslogium (seu fides quaerens intellectum); Cur Deus homo?; De veritate.

Oltre l’ argomento ontologico intorno all’esistenza di Dio, è celebre di Sant’Anselmo anche il detto “Credo ut intelligam“, che ha suscitato, esso pure, tante meraviglie e riprovazioni. Il “credo ut intelligam” di Sant’Anselmo non è, poi, quell’assurdo a priori, che un vano popolo di dotti pensa. Esso vuol dire che non possiamo capire il mondo, senza credere in una Causa creatrice, in una Mente ordinatrice; che non possiamo spiegare noi stessi, la vita, il pensiero, la coscienza  del bene e del male, del vero e del falso, senza ammettere, anzitutto, un Principio e una Ragione di tutto ciò.

GUGLIELMO DI CHAMPEAUX (1070—1120) fu un altro realista, più radicale dello stesso Anselmo, in quanto affermava che solo l’universale ha realtà sostanziale, mentre gli individui non sono che accidenti.
Il più violento avversario dei realisti fu ROSCELLINO, canonico di Compiegne, nato in Bretagna intorno al 1050. Egli sosteneva che gli universali sono dei nomi, “flatus vocis”, e che la realtà è solo propria degli individui. Applicando il suo nominalismo alla teologia, diceva che in Dio non sono reali se non le tre persone individuali e che l’essenza o natura comune che, secondo la Chiesa, le unisce in un solo Dio, non è che una parola, una sintesi ideale; faceva così della Trinità tre Dei distinti (Triteismo). Altro nominalista era, nel secolo XI, BERENGARIO DI TOURS, perseguitato come eretico.

Al Palet, presso Nantes, nasceva nel 1079 PIETRO ABELARDO, che fu celebre per la vita avventurosa e triste, per l’acutezza dell’ingegno, l’efficacia della parola e per le sue tendenze razionalistiche. Ebbe avversario acerrimo il mistico SAN BERNARDO di Chiaravalle, che lo fece condannare in due concili. Trovò asilo nell’abbazia di Cluny, dove morì nel 1142. Sue opere principali: Sic et non; De unitate et trinitate divina; Ethica; Theologia christiana.

Abelardo, discepolo tanto del realista Guglielmo di Champeax quanto del nominalista Roscellino, combatté l’uno e l’altro ed espose la teoria che l’universale è il giudizio (sermo) o, per meglio dire, il rapporto razionale, la legge, l’idea specifica, che si esprime col giudizio. Questa teoria avviò poi al concettualismo, che è più vicino al pensiero aristotelico che non sia lo stesso nominalismo e che consiste nell’affermare che gli universali hanno esistenza come “concetti” della mente (ante res in mente Dei, post res in mente hominis) e che esistono anche nelle cose (in rebus) quali loro specie.

I MISTICI

Accanto ai dialettici, bisogna ricordare i mistici di quel periodo: SAN BERNARDO di Chiaravalle (1091-1153), nemico della filosofia e della ragione, la quale ha la pretesa di comprendere tutto, mentre l’unica cosa che valga è l’amore di Dio. Riecheggia il suo misticismo pratico, più tardi, l’autore di quel gioiello che è l’Imitazione di Cristo, attribuito da alcuni a TOMMASO DA KEMPIS e da altri a GIOVANNI GERSON.

Mistici pratici e teoretici insieme furono, in quel tempo, alcuni monaci del convento di San Vittore alle porte di Parigi e perciò detti i VITTORINI: UGO RICCARDO, GUALTIERO. Quest’ ultimo, per antipatia contro quella che diceva sottigliezza della dialettica, chiamava PIER LOMBARDO e il discepolo PIETRO DI POITIERS, ABELARDO DI NANTES e il seguace GILBERTO DELLA PORRETTA “i quattro labirinti di Francia”, dove si deve evitare di perdersi. In un’epoca più inoltrata si ha la mistica tedesca del domenicano MAESTRO ECKHART, eterodosso, e di GIOVANNI TAULER, ortodosso.

 GLI ERETICI

È il tempo dei Catari, degli Albigesi, dei Valdesi. Vanno ricordati i nomi del monaco GIOACHINO DA FIORE (1130-1201), che dalla dottrina trinitaria traeva una partizione della storia in tre età, quella del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo; di ALMARICO DI BENE, che pure sosteneva che le tre persone della Trinità indicano solo le tre diverse forme successive dell’azione di Dio nel mondo; di DAVIDE DA DINANT, panteista.

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