IL CRITICISMO DI KANT

IMMANUEL KANT

Nello sviluppo dell’empirismo e del razionalismo, il problema del rapporto fra realtà intelligibile e realtà fisica, coi problemi connessi della conoscenza e della moralità, era stato discusso e risolto in varia guisa, talora trasformato o anche annullato. L‘empirismo era poi finito nello scetticismo fenomenistico dello Hume e il razionalismo nel dogmatismo aprioristico dello Spinoza e del Leibniz. Da questa situazione doppiamente difficile, perchè fatta di conclusioni contrarie, tolse la filosofia il tedesco Immanuel Kant.

IMMANUEL KANT nacque a Konigsberg nel 1724.
Studiò nella città natale, che non abbandonò per tutta la vita, consacrata all’insegnamento e alla meditazione. Compiuti gli studi universitari, fu dapprima precettore privato, poi libero docente all’università. Nel 1770 ottenne la cattedra di filosofia come insegnante titolare. Fino allora si era occupato di varie scienze, sia insegnando che scrivendo. Nota è la teoria, che porta il suo nome, oltre quello del Leibniz, intorno all’origine, da nebulosa, del sistema solare. In filosofia aveva seguito il razionalismo dogmatico del Leibniz, del Wolf e del Baumgartner. La dissertazione, che egli presentò per conseguire il posto di titolare, contiene già i germi del criticismo e porta il titolo: De mundi intelligibilis atque sensibilis forma et principii.

Gli anni dal 1770 al 1781 furono di intensa e tenace meditazione e portarono alla pubblicazione della famosa Critica della ragion pura, che segnò una nuova epoca nella vita del Kant e nella storia. della filosofia Dal 1781 in poi scrisse le opere che completano il sistema filosofico del criticismo. Morì nel 1804.

Opere principali: Critica della ragion pura; Critica della ragion pratica; Critica del giudizio; Prolegomeni ad ogni futura metafisica; Fondazione della metafisica dei costumi; Della pace perpetua; Dottrina della virtù; Dottrina del diritto.

IL PROBLEMA COME SI PRESENTÒ A KANT

Il razionalismo era finito nel dogmatismo, perchè ve lo portava la premessa del valore assoluto e oggettivo attribuito all’attività razionale, fondata sui principî a priori; la conclusione era: la realtà, così rigorosamente pensata, così logicamente, conosciuta, è la realtà assoluta. Era, in fondo, in edizione moderna, con variazioni dipendenti dalle vedute personali dei diversi filosofi, ancora il razionalismo o realismo metafisico degli antichi. (La realtà razionale, la realtà intelligibile è la realtà vera, assoluta).

Ma il guaio, che si nascondeva in seno a questa teoria metafisica, era grave: come garantire che la nostra scienza (costruzione razionale della realtà) abbia, per contenuto, proprio la realtà assoluta? Non era forse sempre presente, quantunque inavvertita, l’istanza che era stata diretta contro l’argomento ontologico del razionalista “realista” Anselmo d’Aosta, con la quale si contestava la legittimità del passaggio dall’idea alla realtà? Di più, ora, si trattava della realtà del mondo. Non conteneva, quindi, anche il razionalismo, in sè, il tarlo dello scetticismo? Lo conteneva, ma il filosofo razionalista, che l’avesse messo in evidenza, sarebbe venuto meno, naturalmente, alle sue premesse.

Dal canto suo l’empirismo era finito, come abbiam visto, nello scetticismo, perchè ve lo portava la premessa che il pensiero deriva tutto dall’esperienza. A bella prima, sembra che questa posizione sia la buona, in quanto la realtà dell’esperienza è pur quella concreta, salda, sperimentale, nostra. E anche l’empirismo, in fondo, era, in varia edizione moderna. ancora il sensismo degli antichi. Ma lo Hume ne mise crudamente a nudo il carattere fenomenistico e, per quanto riguarda la certezza razionale, il fondo scettico.

Infatti, poichè la nostra esperienza si costituisce soggettivamente, così occorre, per riconoscerle carattere di oggettività, presupporle un’altra oggettività, cioè quella dei fenomeni esterni, uniti in un sistema di rapporti reale, uniforme, costante; ma per poter pensare una realtà di tal fatta, occorre, presupporle la nostra esperienza come uniforme e costante, cioè reale e vera. È un circolo vizioso; e l’oggettività non è legittimata nè per una parte nè per l’altra.

LA NUOVA SOLUZIONE KANTIANA

Per sfuggire tanto al “dogmatismo del senso”, proprio dell’empirismo, quanto al “dogmatismo della ragione”, proprio del razionalismo, mascheranti entrambi un’intrinseca insufficienza, non c’era che da ritenere, col Kant: (contro l’empirismo puro) che l’esperienza soggettiva e la realtà naturale, invece di riferirsi l’una all’altra, in un’antitesi sterile, e che non spiega gli effetti della vita della coscienza e di quella della stessa realtà, si riferissero ambedue a un terzo principio, come a loro comune fondamento: a un principio pertanto assolutamente a priori e puro (perchè non presuppone nulla, essendo esso il presupposto di tutto, e perchè non contiene ancor nulla di empirico), in virtù del quale si organizza la nostra esperienza e insieme si costituisce la realtà naturale; (contro il razionalismo puro) che questa esperienza e questa realtà sono l’esperienza e la realtà nostre, umane, relative a noi; non, dunque, il pensiero assoluto, nè la realtà assoluta, in sè (noumenica).

È questo il principio kantiano della sintesi a priori. Così il Kant limitava l’ambito del conoscere umano, ma per quell’ambito poteva garantire la certezza. Tutto il macchinoso apparato della sua critica della ragione gli servirà a dedurre scolasticamente le molteplici leggi del conoscere, ma il principio informatore, più o meno chiaro, è sempre quello: la sintesi a priori della conoscenza, come della realtà; l’intento è sempre uno: giustificare la possibilità di essa, visto che s’impone come necessaria. Il risultato è sempre il medesimo, sia che nell’estetica trascendentale (prima parte della Critica) il Kant analizzi la sintesi sensibile o intuizione, come risultante dall’elemento for-
male dello spazio e del tempo e dall’elemento materiale dei dati del senso, sia che nella logica trascendentale (seconda parte della Critica) analizzi la sintesi concettuale, come risultante dall’elemento formale delle categorie intellettive e dall’elemento materiale delle intuizioni sensibili, sia che nella dialettica trascendentale (terza parte della Critica) analizzi la sintesi razionale, per mostrare che essa, poichè aspira a determinare (relativizzare) l’assoluto, non è possibile, mancandoci l’assoluto stesso (perchè l’elemento sensibile, che- è tutto il nostro contenuto conoscitivo, reale e possibile, è sempre limitato).
Dire che ci manca l’assoluto equivale a dire che ci vengono meno ambedue gli elementi della bramata sintesi razionale suprema, il contenuto, cioè, e la forma. Le sintesi della ragione, quindi, daranno luogo a concezioni sempre più profonde, ma sempre necessariamente manchevoli rispetto all’assoluto, che pure pensiamo esistere. L’assoluto in sè resta inconoscibile.
E ciò è naturale, poichè non siamo soggetti assoluti; se lo fossimo, avverrebbe che, poichè l’elemento formale adeguerebbe in noi la totalità dell’essere e perciò si identificherebbe con esso, noi non saremmo più “soggetti” conoscenti: ci risolveremmo nell’unità assoluta che è superiore a qualunque possibilità di analisi e di sintesi. Ma per non cadere nella suggestione di far della, metafisica insidiosa, il Kant si arrestava e diceva che la realtà assoluta è solo pensabile (noumenica), non conoscibile.
Le concezioni, che possiamo farcene, hanno valore di intesi ideali, non di sintesi reali, e le forme di queste sintesi sono tre idee regolatrici della ragione, l’idea dell’anima, l’idea del mondo, l’idea di Dio.
Così anche a queste idee supreme il Kant ha attribuito carattere trascendentale, come alle categorie dell’intellettoe alle forme del senso; ma, appunto perchè tali, non possono mai attuarsi completamente e quindi son sempre inferiori al loro assunto. Invece le sintesi sensibili e quelle concettuali, benchè per causa del loro, elemento formale trascendentale siano anche esse sempre superabili, e quindi siano relative, sono giustificate nella loro attuale realtà: non pretendendo all’assoluto, sono giustamente quello che sono. Il Kant supera, in tal modo, l’unilateralità dei due precedenti indirizzi, col principio seguente: la razionalità del pensiero è l’esperienza della realtà. In altre parole: la razionalità vale per l’esperienza e questa per quella, e perciò si richiamano, senza possibilità di separazione. La razionalità è la forma, i dati sensibili sono la materia. La forma, senza il contenuto sensibile, e come un mulino che macina a vuoto; il contenuto, senza la forma, è solo possibilità bruta di realtà e di scienza.

Per aver riconosciuto la necessità della presenza, nell’atto conoscitivo, dell’elemento formale, che è a priori e ha il carattere dell’universalità, il Kant è razionalista; per avere riconosciuto la necessità della, presenza, nell’atto conoscitivo, anche dell’elemento materiale, che per la sua particolarità e individuazione porta seco il carattere della concretezza, il Kant è empirista; ma siccome per lui-nessuno dei due elementi prevale, così egli non è più nè razionalista nè empirista. La sua dottrina si chiama criticismo, non solo dal titolo e dal contenuto dei libri, ma per il carattere positivo, antimetafisico delle conclusioni. Così l’esperienza (che quando è elaborata e sistemata si chiama scienza) è bene fondata.

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