DON GIOVANNI o Il convitato di pietra – Molière

DON GIOVANNI o Il convitato di pietra

Fonte video: YouTube – giuliagenito

DON GIOVANNI

Regia: Vittorio Cottafavi 1967
Personaggio e interpret
Don Giovanni: Giorgio Albertazzi
Sganarello: Franco Parenti
Elvira: Margherita Guzzinati
Carlotta: Gianna Giachetti
Petruccio: Renzo Palmer
Don Alonso: Stefano Satta Flores
Don Carlos: Carlo Cataneo
Don Luigi: Sergio Tofano
Maturina: Mila Sannoner
Gusmano: L. Durissi
Ramaccio: Gino Nelinti
Violetta: Pierluigi Aprà
Signor Domenica: Camillo Milli
Un povero: Enrico Canestrini
Ragotin: Pierluigi Zollo

Trasmissione veramente notevole, per l’importanza dell’opera, è stata quella del Don Giovanni di Molière, nella valida interpretazione di Giorgio Albertazzi (Don Giovanni) e Franco Parenti (Sganarello) e nella intelligente regia di Vittorio Cottafavi. Quando Molière, nel 1665, portò alla ribalta il personaggio più popolare del teatro europeo, questo fu, per la prima volta accolto, se non dalla guerra aperta, dichiarata un anno prima contro il Tartufo, da ostile freddezza, che durò nel secolo successivo, per tutto il ’700, cioè, e più oltre. Causa della poca fortuna? La sconcertante modernità dell’opera che precorreva le posizioni più avanzate dell’illuminismo, costituendo una potente opera polemica di cui, forse, nemmeno l’autore stesso poteva valutare la precoce e grande importanza.
Vi sono, infatti, momenti in cui la commedia si stacca dal folklore spettacolare, legato alla tradizione risalente a Tirso da Molina, per diventare un dramma di pensiero, profondamente mirabile per l’epoca in cui apparve, che era ancora l’epoca del feudo e della scolastica. Ma già in Inghilterra Bacone aveva ammonito a leggere la scienza “nel gran libro della natura” e Locke lo seguiva, dimostrando che le idee vengono dall’esperienza. Già dall’Italia arrivava la verità di Galileo trionfante al di sopra dell’abiura e in Francia le coscienze religiose erano turbate dal giansenismo, e cattolici e protestanti, d’accordo, non riuscivano a confutare la concezione materialistica cartesiana della scienza. Bagliori, tutti, che annunziavano i “lumi” del secolo che sarebbe seguito.

Sergio Tofano e Giorgio Albertazzi interpreti del Don Giovanni di Molière

DON GIOVANNI o Il convitato di pietra

Titolo originale – Dom Juan ou le festin de pierre
Lingua originale – Francese
Opera teatrale in 5 atti in prosa di Molière
Ambientata in Sicilia nell’arco di 2 giorni
Prima assoluta 15 febbraio 1665
Palais-Royal
Personaggi
Sganarello; servo di don Giovanni, interpretato da Molière
Gusmano; scudiero di Elvira
Don Giovanni; ricco libertino
Elvira; sposa di don Giovanni
Carlotta; contadina
Pierrot; contadino ed amante di Carlotta
Maturina; contadina
Ramaccio; spadaccino di don Giovanni
Francesco; un Povero
Don Carlos; fratello di Elvira
Don Alonso; fratello di Elvira
Signor Domenica; mercante
Violetta; serva di don Giovanni
Don Luigi; padre di don Giovanni
Ragotino; servo di don Giovanni
Statua del Commendatore
Uno Spettro

Tragicommedia in prosa in cinque atti di Molière. Rappresentata a Parigi al Palais-Royal il 15 febbraio 1665, venne pubblicata con tagli nel 1682 e ad Amsterdam nel 1683 con reintegrazioni. Thomas Corneille, su richiesta della vedova Molière, ne fece un adattamento in versi nel 1677, che rimase il testo adottato sulle scene fine a metà Ottocento.

ATTO I

Don Giovanni, seduttore incallito, ha costretto Donna Elvira a fuggire dal convento, in cui si trovava, ma solo per sedurla e abbandonarla. Donna Elvira, decisa a tornare in clausura per il resto della sua vita, preannuncia a Don Giovanni la maledizione del Cielo.

ATTO II

Don Giovanni e il servitore Sganarello scampano a una tempesta marina grazie alla prontezza della contadina Carlotta, che, pur essendo promessa a Pierrot, cede alle lusinghe di Don Giovanni, come anche Maturina. Quando le due giovani si contendono le attenzioni di Don Giovanni, lo spadaccino Ramaccio gli annuncia che è ricercato da uomini in armi.

ATTO III

In una foresta Don Giovanni soccorre un gentiluomo assalito da tre banditi e scopre che si tratta di Don Carlos, uno dei fratelli di Donna Elvira che cerca Don Giovanni per vendicare l’onore della sorella. Riconosciuto, Don Giovanni viene lasciato libero per l’azione generosa appena compiuta. Inoltrandosi nella foresta, si trova davanti al monumento funebre del Commendatore, da lui assassinato, che accetta l’invito a cena fattogli per bravata da Don Giovanni.

ATTO IV

A casa di Don Giovanni, mentre viene allestito il banchetto serale e si attende l‘arrivo della Statua del Commendatore, don Giovanni riceve le visite del padre Don Luigi, che lo invita a ravvedersi, e di Donna Elvira, che gli chiede inutilmente, prima di ritirarsi definitivamente in convento, un atto di contrizione. Durante il banchetto la del Commendatore invita Don Giovanni a cena per la sera successiva a casa sua.

ATTO V

Don Giovanni, per allontanare le insistenti richieste di ravvedimento del padre di soddisfazione di Don Carlos, afferma ipocritamente d’essersi convertito. Questo e l’ultimo dei suoi crimini: dopo la comparsa di un fantasma femminile velato con le sembianze del Tempo, Don Giovanni accetta l’invito della Statua del Commendare, che, afferratolo per la mano, lo inabissa in uno sfolgorio di lampi e fiamme.

COMMENTO

“Che avete fatto, voi, per essere nobile?… No, no… la nascita non conta nulla”. Questa battuta del Don Giovanni è un colpo di ariete contro il bastione feudale. Poi vi sono colpi, non nuovi per Molière, contro la morale sociale fondata sull’ipocrisia; ma soprattutto potenti i colpi contro gli spalti della superstizione.

Oltre al contenuto spettacolare, comune ai Don Giovanni che lo avevano preceduto e lo seguiranno (il fascino erotico e la professione di poligamia del protagonista – la “trovata” della statua che cammina e parla – le fiamme, le folgori e il fragore dell’inferno al finale) vi è un contenuto ideologico. Alla intransigente condanna del peccatore e al trionfo oleografico della fede sui negatori di Dio (meglio riuscivano i trucchi delle fiamme, al finale, e lo sprofondamento nell’inferno e meglio erano servite la morale e la fede) Molière, che non ripudia gli effetti teatrali, aggiunge, di suo, uno spirito nuovo e diverso, uno spirito rivoluzionario sul terreno religioso e sul terreno sociale: lo spirito in cui si è già fatta strada la ragione con una concezione materialistica dell’universo.

“In qualche cosa bisogna credere a questo mondo”, afferma Sganarello, che supera la stessa fede in Dio per affermare il concetto di una più ampia ed imprecisata fede; e domanda: “E voi a che cosa credete?”. “Io credo che due e due fanno quattro e quattro fanno otto”. L’illuminismo è alle porte.

E Don Giovanni di Molière è, soprattutto, un cervello che non ha pace; un tormentato, più che un tormentatore; l’egoismo balza dalla inesausta avidità di godimento, dalla perenne angoscia inappagata. Quando la società si metterà contro di lui – ed egli sa che essa è ancora la più forte – Don Giovanni si difenderà con l’arma stessa di quella società: l’ipocrisia. Egli vedrà in essa il solo mezzo per poter continuare ancor meglio la sua vita peccaminosa (“io mi erigerò a censore delle azioni altrui, dirò male di tutto il mondo e non si avrà buona opinione che di me… io farò il vendicatore degli interessi del cielo, e con questo comodo pretesto avrò ragione dei miei nemici”). Alla polemica precocemente razionalistica contro l’oscurantismo religioso si aggiunge la polemica sul costume: è Tartufo che torna.

Seguirà, poi – bisognerà fare i conti con le esigenze fondamentali del soggetto – la punizione esemplare e spettacolare del peccatore, che, nella trasmissione televisiva, il regista Cottafavi, ha sottratto ad esigenze teatrali superate, riducendole nei limiti di un moderno buon gusto, alla rapida e simbolica stretta di mano, bruciante, della statua all’accanito amatore, ucciso dalla sua sete di godimento e dalla sua ansia di libertà dello spirito; e la statua – la Morte – è poco più di un miraggio; smaterializzata, non esiste che per l’allucinazione, l’incubo di Don Giovanni e di Sganarello.

Il Don Giovanni di Molière fu nel gennaio 1948 ripreso a Parigi da Jouvet e a Milano dal Piccolo Teatro con Salvo Randone (regista: Costa). Nel 1955 fu ripresentato a Venezia dal Theatre National Populaire di Vilar.

Albertazzi è stato un interprete squisito che ha sottolineato tutta la perfida e scettica ironia del protagonista. A Sganarello Parenti ha dato, con efficacia, la pavida comicità del servo diviso fra il tentativo di ribellione al padrone ed il servilismo.

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