L’ARTE DELL’ANTICO EGITTO

I DIARI DELL’ANTICO EGITTO

1 viaggio attraverso il paese delle ombre, sulla nave dei morti, era stato drammatico, pieno di incubi. Ora l’anima dell’egizio defunto, varcate le soglie misteriose dell’aldilà, doveva superare l’ultima prova: il giudizio degli dei. Solo una vita esemplare dava diritto a entrare nel paradiso di Osiride, signore dell’oltretomba. Eccolo, il gran dio, seduto con le altre divinità nella vasta sala del tribunale supremo. Il suo volto è impassibile.
Gli è accanto Iside, la sua sposa. Anche gli altri dei, dal corpo umano e dal capo di bestia, fissano il mortale con occhi impenetrabili. Il silenzio è terribile, carico di attesa.
Thot, il dio dalla testa di ibis, in veste di cancelliere, è pronto ad annotare la confessione; con voce tremante, l’anima inizia la sua patetica discolpa: “Non ho commesso adulterio, non ho ingannato, non ho mentito, non ho ucciso…” fino a che i quarantadue peccati che privano dell’immortalità non sono tutti enumerati.

Quando l’anima tace, il silenzio si fa ancora più pesante. Non un muscolo del gelido volto di Osiride si è mosso.. L’anima, umilmente, attende. È il momento decisivo.
Il dio Horus, ministro della Verità, si avvicina lentamente alla grande, sensibilissima bilancia che troneggia nella sala. Su un piatto pone il suo simbolo, la Verità, sull’altro il cuore del morto. La bilancia ondeggia lievemente, appena Horus ritrae la mano; poi si arresta, in perfetto equilibrio. L’anima ha detto il vero. E, finalmente, Osiride sorride. Con lui, sorridono tutti gli dei. Allora l’anima si sente invasa da una grande dolcezza, mai provata in vita. Ha avuto l’immortalità.

I messaggeri di Osiride l’accompagnano a prendere possesso della sua tomba, nella quale non manca nulla di quanto può servire al defunto perla sua vita nell’aldilà: provviste, tesori, ornamenti. Questa sarà la sua dimora durante il giorno: La notte viaggerà dietro il sole, nel paradiso di Osiride. Il suo sguardo percorre le pareti, e il suo cuore si riempie di gioia: nelle pitture che egli stesso aveva fatto eseguire da vivo, ritrova i momenti del suo felice soggiorno sulla terra degli Egizi. Rivede come erano belle le loro donne, ritrova nelle immagini di caccia il piacere dell’avventura, riscopre la gaia atmosfera delle feste. Tutto ciò che ha amato sulla terra si trova simbolicamente riunito nella sua nuova dimora: l’oltretomba non è che un felice prolungamento dell’esistenza terrena.

Di quell’esistenza l’uomo moderno ha ritrovato l’immagine, rimasta pressoché intatta attraverso i secoli, nei templi e nelle tombe della favolosa valle del Nilo.
E anche noi oggi possiamo leggere, grazie a queste pitture destinate ai morti, la cronaca viva dell’antico Egitto, come nelle pagine di un meraviglioso diario.

SCENA DI CACCIA E PESCA – Tomba di Menna a Tebe

In un canneto di papiri avanzano due snelle imbarcazioni. Il signore, insieme alla famiglia e ai servi, si esercita nella caccia e nella pesca ed è raffigurato contemporaneamente nelle due diverse occupazioni. Il brulicare di pesci e il volo di anatre che, spaventate, si levano dai papiri rendono efficacemente l’emozione gioiosa di questa attività. La figura calma e forte del signore ci offre un esempio della tecnica pittorica degli Egizi. Essi, dopo aver tratteggiato i contorni delle figure in rosso, coloravano a tempera i corpi con ocra rossa per gli uomini e gialla o rosa per le donne. Quindi dipingevano gli abiti con un tenue bianco di calce, che lasciava solo trasparire il colore della pelle, dando l’illusione della leggerezza dei tessuti egiziani.

DAME DI CORTE DURANTE UNA FESTA  – Tomba di Nacht a Tebe

In atteggiamento composto e pieno di grazia, accoccolate alla maniera orientale su una stuoia di papiro, sei dame di corte ascoltano un po’ svagate la nenia di un cantore cieco. Le tre dame di sinistra sembrano. stranamente bionde. La scoperta di altre pitture, in cui le ligure avevano chiome dorate, lasciò perplessi i primi egittologhi. “Che gli Egizi fossero biondi?” si chiesero. La spiegazione è più semplice. Il nerofumo con cui si dipingevano le parrucche aderiva male alle pareti. Esso si staccava spesso e cadendo lasciava scoperto il giallo del fondo, che dà l’illusione di capelli biondi.

RITRATTO DI DONNA – Tomba di Menna a Tebe

Il volto leggiadro di questa giovane dama di corte rivela la sua origine nobile nel naso dalla linea purissima, nella bocca perfetta, nello sguardo altero. Notiamo l’eleganza dell’acconcìatura: un grosso orecchino dorato, che si intravede tra i capelli, rompe la pesantezza della raffinata pettinatura: la ricca collana a più giri di perle è resa leggera dall’accostamento di morbide tinte. La stessa delicatezza di colori si ritrova nella fascia che cinge la sommità del capo e nel bianco fiore di loto sospeso nel mezzo della fronte.

TRE FANCIULLE MUSICANTI – Tomba di Nacht a Tebe

La vita di corte era rallegrata da musica e danze. Queste tre bellissime fanciulle diffondono attorno a loro un’atmosfera di gaiezza. Quella a destra trae accordi da una lunga arpa, quella a sinistra modula le note su un flauto. Al centro una musicante esibisce il suo agile corpo in un aggraziato movimento di danza, accompagnandosi con un curioso mandolino. Notate le lunghe vesti aderenti che danno alla figura delle donne uno stile inconfondibile.

LA PROCESSIONE FUNEBRE – Tomba di Ramsete a Tebe

In processione solenne un corteo di giovani si reca alla tomba del signore portando sulle spalle le suppellettili che renderanno più confortevole la ultima dimora. Un coro di lamentatrici, abbigliato con tuniche di un azzurro evanescente, intona il canto funebre levando le braccia al cielo. La scena è di un equilibrio perfetto: per non turbare l’armonia delle linee. l’artista ha dipinto due dei portatori di sinistra con un solo braccio.
I geroglifici, qui come in molte altre pitture egizie, oltre che a descrivere la scena o riportare le parole dei personaggi, valgono spesso egregiamente come decorazione dello sfondo.

OFFERTA AGLI DEI

Il Faraone morto, secondo gli Egizi, si identificava con il dio Osiride. Seduto, vediamo qui infatti un faraone ormai identificatosi con Osiride: porta i simboli del potere regale e del potere divino. Di fronte, il Gran Sacerdote gli offre i doni della terra del Nilo.

IL LAVORO NEI CAMPI

Spesso le pitture delle tombe egizie si sviluppano mediante diverse scenette poste l’una sopra all’altra e che si devono leggere procedendo dal basso verso l’alto. Qui sopra si vedono appunto alcuni schiavi che fanno il raccolto del grano. Poi (scena superiore) dei buoi aggiogati vengono fatti camminare sul mucchio di grano, in modo che il loro peso faccia uscire tutti i chicchi.

LE CERIMONIE FUNEBRI

Durante le operazioni di imbalsamazione del defunto, uno dei momenti salienti era la cerimonia dell’apertura della bocca: un gesto simbolico che doveva garantire all’anima del defunto la possibilità di avere vita eterna nell’aldilà. Poi il defunto era collocato nella sua tomba, dove veniva preso in custodia dalle divinità protettrici dei morti. Alcune possiamo vederle in queste illustrazioni: Anubis, con corpo umano e testa di cane selvatico, si china sul morto per guidarlo verso l’aldilà: Hathor, la dea in forma di mucca con il simbolo del sole tra le corna, attende l’anima del defunto (simboleggiata dagli uccelli con testa umana) per trasportarla verso il tribunale di Osiride, il dio che giudicherà quale premio o quale punizione spetta all‘anima.

L’ARTE NON HA LIMITI

La pittura egizia si può distinguere in tre grandi epoche. La prima è quella dell’Antico- Impero (2500-2100 a.C. circa, quando era capitale la città di Menfi). In questo periodo appaiono le prime figure graffite o sbalzato sullo sfondo e poi colmate di colore. La tecnica si affinò maggiormente, pur restando semplicissima, durante il Medio Impero (2100-1500 a.C. con capitale Tebe). I dipinti di questo periodo spesso sono però oscurati da una patina che si tenta oggi di levare e che impedisce di ammirarli in tutto il loro splendore. Ma la grande stagione della pittura egizia si ha sempre a Tebe, durante il Nuovo Impero (1500-1100 a.C.).

Per comprendere quale alto concetto avessero gli Egizi dell’arte, basta riportare questa massima antichissima ritrovata in una tomba: “L‘arte non conosce limiti e nessun artista potrà mai possedere la perfezione”.

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