LUIGI LONGO in Spagna e nella Resistenza

Luigi Longo

LUIGI LONGO

In Spagna e nella Resistenza

DAL MEMORIALE DI PIETRO SECCHIA

“Oggi in Spagna, domani in Italia” non era stato soltanto il motto di Carlo Rosselli, i comunisti avevano pensato sempre all’Italia e come partito non l’avevano lasciata mai. Non sarà mai ripetuto abbastanza che il P.C.I. fu il solo dei partiti antifascisti a non piegarsi, nel novembre 1926, alle leggi eccezionali, a dire apertamente che non le accettava, non le riconosceva, che avrebbe continuato ad esistere ed a lottare contro il fascismo, malgrado il tribunale speciale, malgrado tutto. Gli altri partiti antifascisti, riprenderanno in seguito anch’essi l’attività e la lotta in Italia, ma per alcuni anni i comunisti furono soli ed il loro esempio servì di stimolo; a quell’esempio guardarono soprattutto le giovani generazioni di allora.
Non pochi giovani in quegli anni aderirono al P.C.I. più che sulla base di principî, perchè era il solo partito che continuava la lotta contro il fascismo. Tenacemente il P.C.I. mantenne quella sua posizione, malgrado i numerosi arresti, le condanne, il duro costo del lavoro, le perdite dolorose. Mantenne quella posizione anche a costo di urti, dissensi e rotture nel suo seno. Abbandonare la lotta in Italia avrebbe significato capitolare. venire meno alla funzione di partito rivoluzionario della classe operaia. Questa posizione combattiva, sostenuta sempre da Palmiro Togliatti, da Luigi Longo e dai loro più vicini collaboratori, fu la posizione che portò i comunisti italiani a dare un notevole contributo alla lotta in difesa della Repubblica spagnola, e il contributo decisivo, insieme alle altre forze antifasciste, alla Resistenza e alla lotta di Liberazione in Italia.

Longo (in alto a sinistra) con la delegazione italiana al IV congresso dell’Internazionale Comunista (1922)

Luigi Longo (Gallo) rivelò nel 1927-30 le sue notevoli doti di dirigente politico e nel 1936-39 in Spagna quelle di militare ed esperto comandante partigiano.

“Dal punto di vista militare – è lui stesso che scrive – la Spagna fu la prova generale delle guerre partigiane che in tutta Europa si sarebbero poi levate contro l’oppressore. Fu quella la prima guerra di Stato e di popolo, con tutta una serie di spiccate caratteristiche partigiane. Per la prima volta, come poi nelle resistenze armate di Francia, Italia, Jugoslavia, Polonia, Grecia, Danimarca, ecc., si fusero, per costituire un nucleo compatto, forze tanto profondamente differenziate politicamente e persino razionalmente. L’esperienza di Spagna è risultata preziosa per tutte le Resistenze successive, e su tutte le montagne d’Eur0pa, i partigiani ebbero come animatori e capi quelli che erano stati i dirigenti e i combattenti delle Brigate Internazionali spagnole”.

Nell’agosto del 1936 Longo è in Spagna, ad Albacete, con 300 uomini, mentre ad Alicante ne arrivano altri 500 che poi aumentano via via. Mal vestiti, mal armati, poveri di tutto, ma ricchi di una fede e di grande volontà di combattere. Come commissario politico di brigata Longo combatte alla città Universitaria, a Pozuelo de Alarcón rimane ferito, nel dicembre 1936 è nominato Ispettore generale delle Brigate Internazionali: 5 brigate, 24 batterie, 20 ospedali, innumerevoli reti di trasporto e posti di smistamento; complessivamente 50 mila uomini di 52 paesi, di lingue diverse e differenti orientamenti politici, dall’anarchico al socialista, dal comunista al repubblicano.

Il primo lavoro organizzativo è la stampa, si pubblicano giornali in 13 lingue, milioni di manifestini da gettare nelle trincee nemiche, trasmissioni radio e altoparlanti sin sulla linea del fuoco. I compiti sono enormi, la febbrile attività di Gallo si estende in tutti i settori, le sue non comuni doti organizzative ricevono più di una conferma. Il 9 marzo 1937 è in prima linea a Guadalajara e di battaglia in battaglia dall’Estremadura a Madrid, da Brunate a Teruel, da Alcaniz al1‘Ebro, Gallo lavora, ispeziona, combatte, riorganizza unità sbandate, ne mette in piedi delle nuove. Poi la dura sconfitta della Spagna, il campo di concentramento al Vernet ed eccolo infine arrivare a Ventotene con molti dei suoi garibaldini e le preziose esperienze accumulate in tanti anni di lotte.

Ci si rivede depo molti anni (ero stato arrestato nell’aprile del 1931), saluti e abbracci poi immediatamente seguono le reciproche informazioni. Le sue sono assai più preziose, vive e molteplici: politiche e militari, la situazione italiana e quella internazionale e soprattutto la grande esperienza della guerra di Spagna; le nostre purtroppo modeste, limitate a quell‘isola del diavolo, alla vita dei confinati, alla nostra attività. Non eravamo rimasti in attesa che passassero gli anni e maturassero le mele. Avevamo organizzato la vita dei confinati, le mense, i laboratori, la biblioteca pubblica e quella clandestina, le scuole, corsi di cultura generale e di storia del partito e del movimento operaio.
Tra gli altri corsi, anche quelli militari. Avevamo una buona raccolta di volumi di arte militare: dalle opere di Pisacane e di Mazzini al Clausewitz, a quelle più moderne: Mazzitelli, Marselli, De Cristoforis, ecc., e poi tanti manuali di topografia, di logistica, di tattica delle piccole e grandi unità, persino i testi del generale Trabucchi il direttore della Accademia militare di Torino e poi capo di stato maggiore della IV Armata che la sorte volle diventasse poi il Comandante militare regionale piemontese della Resistenza alle dipendenze di Longo e di Parri.

“Ah! voi studiate tattica e alta strategia sui libroni di questi generali?” esclamò Longo un po’ ironicamente, con un sorrisetto di chi vuol fare il furbo, quasi che lui non avesse studiato insieme alle opere di Lenin anche i problemi militari. Ne aveva fatta della strada da quando era un giovane ufficiale dei bersaglieri! In realtà era soddisfatto del nostro lavoro, ma ci mise in guardia. “Bada che tutti questi studi dei generali con i loro piani, le loro carte e le loro sapienti manovre, servono a poco, specialmente nelle guerre partigiane e nelle lotte insurrezionali. In genere si va in battaglia, ci si impegna e poi si vedrà. Prima della battaglia nessuno sa chi vincerà. Lo decidono le circostanze, chi fa meno errori, chi è più fortunato, decide la sorte”. Mi sembrava di sentire Tolstoj in Guerra e pace; in Longo con tante eccelse qualità vi è tuttavia un certo fatalismo che tutti gli conosciamo. “Accade quasi sempre, aggiungeva, quello che nei piani non si è previsto”, così difatti avvenne anche per i piani dell’insurrezione generale in Italia.

Ma allora ci incoraggiò a continuare a studiare, aiutandoci con la sua ricca esperienza e le molte cose che aveva appreso. Da Ventotene ci eravamo collegati con gruppi di. comunisti di diverse province italiane, che erano rimasti senza collegamenti col centro del partito. Per questi, il centro dirigente, anzi addirittura il “governo” eravamo noi. Il “governo di Ventotene”, lasciò scritto, alludendo a noi, Giaime Pintor.

Finalmente il 25 luglio, e il 18 agosto la liberazione. Salpammo da Ventotene col nostro comandante in testa: Gallo e centinaia di antifascisti e di garibaldini che diverranno quadri dirigenti politici e militari della guerra partigiana.

A Ventotene, prima di partire, avevamo dato disposizione ai compagni delle diverse province di tenersi collegati tra di loro, di collegarsi. appena a casa con l’organizzazione locale del partito oppure di costruirla se ancora non esisteva. Stabilimmo accordi e prendemmo uno o due recapiti per ogni provincia. Li ritrovammo poi tutti e furono l’ossatura delle Brigate Garibaldi.

Longo a Roma non perse tempo, alla fine di agosto elaborò un “Promemoria sulla necessità urgente di organizzare la difesa contro l’occupante tedesco”: chiaro, concreto, nella sua concisione sono indicati i compiti essenziali da affrontare in quella situazione. Questo piano fu presentato dal Partito Comunista agli altri partiti, antifascisti che lo fecero proprio e poi inoltrato al generale  Badoglio; questi non lo respinse, ma lo ignorò, fatta eccezione per un certo quantitativo di armi consegnate dal generale Carboni a Luigi Longo nella notte sul 9 settembre.

Il contrasto tra il famoso O.P. 44 (che poi non fu mai applicato) e il documento di Longo, balza agli occhi anche ai profani. Nel primo vi sono riflesse tutte le indecisioni, le contraddizioni, la doppia faccia che caratterizzano il 25 luglio e che non potevano non portare, come in effetti portarono, alla disgregazione dell’esercito, alla fuga della monarchia e degli alti comandi militari. Quello di Longo invece coglie la realtà della situazione e sottolinea la necessità di organizzare la lotta popolare in armonia e collaborazione con quella dell’esercito.

Il 9 e il 10 settembre le avanguardie popolari antifasciste combatterono a Roma a fianco di alcune unità dell’esercito. La Resistenza a Roma, in quei due giorni, rappresentò, con tutti i suoi limiti “il tentativo più avanzato di collegare le forze popolari all’esercito” (Longo).

In quei due giorni Luigi Longo si portò da un punto all’altro della città; a Porta San Paolo, incita i combattenti, ispeziona i posti di collegamento, partecipa a riunioni. Ma alla sera del 10, vinte le ultime resistenze delle poche formazioni dell’esercito che unitamente a gruppi di lavoratori si erano battute valorosamente, i tedeschi entravano in città. Carri armati con lunghi pezzi di artiglieria, ricoperti di fronde avanzavano, lentamente per le vie della capitale, sferragliando. Quanto tempo vi sarebbero rimasti? Gli alleati li avrebbero incalzati? Avrebbero tentato uno sbarco? Dove si sarebbe stabilita la linea del fronte? Da quel momento cominciava una lotta che era prudente prospettarsi dura e difficile. Prevedevamo che l’Italia avrebbe potuto essere spezzata in due tronconi. Ci dividemmo in due gruppi di direzione, uno diretto dal compagno Scoccimarro a Roma e l’altro, diretto da Longo a Milano. Con le istruzioni di Longo, partii l’ll settembre da Roma con uno dei primi treni che lasciò la capitale, Longo mi avrebbe raggiunto una decina di giorni dopo.

Nel frattempo egli provvedeva ad inviare nelle Marche, nell’Umbria ed in Abruzzo degli ispettori, col compito di cercare di dare vita a bande di guerriglieri, di collegarsi con quelle già sorte. Ad uno di questi che non aveva mai sentito parlare di “guerriglia” Longo spiegava di che cosa si trattava, come dovevano combattere i partigiani, quale consistenza doveva avere un gruppo, un distaccamento, come dovevano agire. Uno di questi, ritornato entusiasta dal primo viaggio, si sentì chiedere da Longo: “C’erano poi quelle bande”? “Diventeranno brigate”? Quello lo guardò sorpreso, commentando tra sé e sé: “ma guarda questo qui mi ha mandato per prendere collegamento con delle bande che non sapeva neppure se esistessero!”.

Luigi Longo (primo a sinistra) in Spagna

La guerra partigiana è fatta di molte cose, di iniziative, di audacia, di studio, di riflessione e di spinte aggressive, è fatta di molta concretezza, ma anche di fantasia. Longo fu sempre il primo a dimostrarlo. Sin da quando disegnava quei timbri di gomma a triangolo, della stessa forma dei formaggini, con in mezzo la testa di Garibaldi ed il nome o il numero di una brigata, il più delle volte, all’inizio al meno, quella brigata non esisteva ancora, era soltanto un distaccamento. Ma Longo era certo che sarebbe diventata una brigata e così fu.

Qual è il segreto delle capacità militari, oltreché politiche di Longo? si chiedeva più d’uno. Non c’è alcun segreto: esperienza e grande fiducia nelle capacità di iniziativa e di lotta della classe operaia e dei lavoratori. Non c’era difficoltà che Longo non risolvesse, per ogni problema aveva una risposta pronta, in gran parte si trattava di problemi non nuovi per lui, al resto suppliva una certa dose di fantasia.
Dove prendere le armi? Si conquistano. La direttiva era di attaccare soldati o ufficiali, tedeschi e fascisti, isolati: attaccare caserme dei carabinieri, delle guardie di finanza e altre che non potevano opporre valida resistenza. Alle richieste di armi da parte delle formazioni disponeva che se ne mandassero a quelle che già avevano saputo conquistarsele, di non mandarne invece a quelle che non avevano ancora dimostrato di saper agire, di essere capaci di impadronirsi almeno di qualche deposito di armi.

Che si fa nelle fabbriche? Si sabota la produzione, si raccolgono aiuti per i patrioti ed i partigiani, si costituiscono Comitati di agitazione, si organizza lo sciopero. Soprattutto bisogna agire subito. Contro chi? Contro i tedeschi ed i fascisti. Non si possono lasciare tranquilli o gli uni o gli altri. Vi erano tendenze ad attaccare solo i fascisti ed altre a colpire soltanto i tedeschi. No, bisognava picchiare contro l’invasore e nello stesso tempo contro i suoi servi: i traditori fascisti. Si dovevano o no fare gli scioperi? Qualcuno sosteneva che gli scioperi indebolivano l’unità e la lotta nazionale. Al contrario Longo rispondeva: la lotta di classe non soltanto non indebolisce ma rafforza la lotta nazionale. Con gli scioperi gli operai si battono per le loro rivendicazioni economiche, ma nello stesso tempo contro i padroni collaborazionisti, riducono la produzione e i loro profitti, danneggiano i tedeschi ed aiutano la guerriglia partigiana. La lotta partigiana per sostenersi, espandersi, ha bisogno dell’appoggio delle masse operaie e contadine, queste a loro volta si sentono forti nella misura in cui le formazioni partigiane si irrobustiscono e le loro azioni si moltiplicano.

Ogni guerra di carattere largamente popolare deve impegnare nello stesso tempo forze politiche e forze, militari, deve utilizzare contemporaneamente la lotta politica di massa e la lotta armata dei partigiani e dei G.A.P. per conseguire la vittoria.
Longo parti dal principio che il moto si prova camminando, che la tattica la si elabora combattendo. Criticò fermamente sin dai primi giorni la posizione di alcuni esponenti dei partiti politici e di certi ufficiali con mentalità da accademia, che sostenevano doversi prima, per alcuni mesi, organizzare le formazioni partigiane, istruirle, inquadrarle in organici efficienti, fornire ad esse delle armi e soltanto dopo cominciare a farle agire. Combatté decisamente l’illusione che si potesse preparare in gran segreto  l’esercito della Liberazione, le brigate da fare scattare soltanto all’ora X. La prima offensiva che egli lanciò e diresse fu quella contro l’attesismo. Sostenne col più grande rigore e con argomenti inconfutabili la necessità di agire subito, di lottare subito e con tutti i mezzi. Raccomandò sempre la più grande audacia e la più grande spregiudicatezza nell’azione.

Dalle direttive politiche passava a quelle militari con una ricchezza di iniziative, di suggerimenti, di cose concrete da fare, lasciando sempre il più grande spazio all’iniziativa di  base, di ogni formazione. Infaticabile, deciso nell’imprimere ogni giorno più la spinta aggressiva al movimento partigiano. Sempre calmo come se stessimo giocando una partita a scacchi.

L’unità più larga, da realizzare nella lotta, era il suo obiettivo fondamentale, tenendo duro però sulle questioni di fondo.

Ad un certo momento qualche partito lamentò che noi comunisti avessimo polemizzato con la decisione di non ricordo quale C.L.N. Dichiarammo che ai C.L.N. noi comunisti partecipavamo con piena autonomia, indipendenza e senso di responsabilità. Avremmo fatto di tutto per assicurare ad essi la più larga base e influenza politica, vi avremmo portato il contributo decisivo, mai che il P.C.I. rivendicava il diritto di fare conoscere la sua politica e le sue posizioni e qualora in seno a qualche C.L.N. si fossero manifestate tendenze alla passività, all’attesismo o comunque nocive al popolo italiano, il P.C.I. rivendicava il diritto di poter criticare quelle tendenze.

Non fu facile ad esempio arrivare allo sciopero generale del 1-8 marzo 1944; lo dovemmo rinviare due volte per convincere, persuadere altre forze dello schieramento antifascista della possibilità di organizzarlo e realizzarlo con successo.

E riuscì il più grande sciopero generale dell’Europa occupata dai tedeschi.

Altro insegnamento in cui fu veramente gran maestro fu quello della “interpretazione”. Non prendere le cose di petto, non battere la testa contro il muro, saper interpretare le direttive. Ad esempio, ad un certo momento, dopo la svolta di Salerno si trattò di accentuare, allargare ancora di più l’unità nei CLN.
Un giorno gli dissi: “D’accordo, dobbiamo collaborare attivamente anche con le forze monarchiche, anche con gli ufficiali badogliani, ve ne sono di animati da spirito patriottico e combattivo. Ma se il fronte lo allarghiamo sempre più a destra….. “.

“Ma chi ti dice, mi rispose, di allargarlo a destra. Di che cosa ti preoccupi? Tu allarga a sinistra; vi sono tante forze non rappresentate nei C.L.N. Le direttive che vengono dall’alto devono essere accettate, ma interpretate”.

Longo è stato sempre uno specialista delle “interpretazioni”. Le direttive bisogna saperle interpretare, come fu per il famoso proclama di Alexander che era destinato a smobilitare i partigiani alla vigilia dell’inverno, e Longo seppe “interpretarlo” così bene da farne un elemento di stimolo e di rafforzamento della lotta. Commentando con una direttiva-interpretativa – ogni parola del proclama, ne modificava profondamente il significato. La frase “ha inizio la campagna invernale” non può significare “stasi invernale”; le direttive di Alexander non si riferiscono all’inverno in generale, ma solamente al periodo della pioggia e del fango; “dette direttive non sono di smobilitazione o di stasi, ma di continuazione della lotta, seppure mettono in guardia, per il momento, da operazioni organizzate su vasta scala”.

Così via, di nodo in nodo, di battaglia in battaglia, dalla costituzione delle Giunte di Governo per la amministrazione delle zone libere sino alla “pianurizzazione” (le formazioni non si lascino cacciare dai rastrellamenti in alta montagna, scendano in pianura) sino all’insurrezione generale è un susseguirsi di direttive dettate per lo più da Luigi Longo che rivelano la stoffa di un grande combattente e di un comandante di eccezione.

La Resistenza fu di certo una delle più grandi imprese in cui il P.C.I. impegnò col più grande successo tutte le sue energie. Merito del successo, va alle decine e decine di migliaia di combattenti ed in primo luogo ai caduti, ma grande è il merito del nostro comandante Luigi Longo che seppe interpretare le migliori energie e lo spirito rivoluzionario della classe operaia e dei lavoratori offrendo tutta l’essenza delle sue virtù di dirigente politico e militare.

Dal memoriale di Pietro Secchia (Occhieppo Superiore, 19 dicembre 1903 – Roma, 7 luglio 1973) è stato un politico e antifascista italiano, importante dirigente e storico memorialista del Partito Comunista Italiano.

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