AVANGUARDIE DELLA PITTURA – L’INFORMALE

Concetto Spaziale – Attesa (1965)
Lucio Fontana (1899–1968)
Idropittura su tela cm 66 x 53

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L’INFORMALE

Il fenomeno dell’Informale raccoglie l’eredità del movimento surrealista, con la sua aspirazione a stabilire un contatto con i livelli profondi e inconsci dell’attività psichica per ritrascriverne il movimento segreto. A ciò si aggiunge il riferimento al linguaggio figurativo infantile e primitivo, come valorizzazione di un rapporto istintuale con i materiali finalizzato all’espressione immediata dell’impulso vitale dell’artista direttamente collegato al gesto creativo.
L’energia psichica dell’artista si manifesta cosi in modo libero e incontrollato, scaricandosi nell’atto stesso della realizzazione dell’opera, che diviene in tal modo l’immagine vivente di un episodio della sua attività mentale, un frammento materializzato della sua stessa esistenza.
Altro elemento fondamentale dell’arte informale è infatti costituito dalla materia, che è sentita come qualcosa di duttile, plasmabile, sensibile, pronto a ricevere l’impulso energetico che, attraverso il gesto, proviene dall’interiorità dell’artista, e a lasciarsi quindi impressionare dalla sua furia vitale. La materia viene infatti manipolata dall’artista in modo quasi violento, febbrile, per farne un’estensione del flusso esistenziale, una traccia che visualizza – nell’evidenza del suo aspetto tormentato, raggrumato, filamentoso, scrostato – l’angoscia e il caos interiore dell’uomo moderno. Ormai la pittura non è più rappresentazione, e viene meno anche al rispetto delle più elementari e basilari convenzioni del linguaggio pittorico (la tela come piano di proiezione, la figurazione, la stesura del colore), fino ad arrivare alla negazione dell’ultimo valore ancora superstite – sia pure sotto forma di stravolgimento antinaturalistico -, vale a dire la forma. Ormai c’è solo l’atto dell’artista, privo di dominio razionale, di progetto e di controllo secondo i procedimenti tecnici tradizionali, e, all’altro polo, la materia, che costituisce un tutt’uno con la frenesia gestuale e psichica dell’artista. Questa concezione della materia, come elemento concreto e corporeo che si può manipolare e che si immedesima con la sostanza psichica dell’artista, di cui accoglie l’impronta vitale, è l’elemento più innovativo del linguaggio pittorico informale, che sostituisce il concetto di forma con quello di segno. Emblematica a questo proposito in ambito italiano è l’esperienza di Lucio Fontana (Rosario, 19 febbraio 1899 – Comabbio, 7 settembre 1968) che distrugge tutti i principi della pittura: la tela ha una coloritura uniforme e su di essa vengono praticati tagli decisi, fenditure nette. Il proposito di Fontana è quello di stabilire una continuità dello spazio, che si sviluppa dentro e fuori la tela, rifiutando ogni limite convenzionale e principio rappresentativo connessi alla superficie della tela come rigido piano di proiezione. Analoga è la ricerca di Giuseppe Capogrossi (Roma, 7 marzo 1900 – Roma, 9 ottobre 1972), seppure risolta in modo del tutto diverso: un medesimo segno viene continuamente ripetuto, ricercando però, attraverso le frequenze ritmiche e gli esiti combinatori dell’impaginazione, di trasformare un rapporto meramente quantitativo in un valore qualitativo.
Altrettanto significativa è l’esperienza di Alberto Burri (Città di Castello, 12 marzo 1915 – Nizza, 15 febbraio 1995), che parte da una valorizzazione originalissima della materia, inizialmente la tela di sacco, che in lui è assunta per quello che è, con la sua superficie scabra, con la tangibile realtà della sua trama ruvida, evidenziata da strappi, lacerazioni, combustioni, slabbrature. La tela di sacco viene incollata sul supporto in vari ritagli dalla forma irregolare, con linee di sutura accentuate dalle cuciture o da impasti densi e scrostati di colore, alternati a zone di diradamento della trama che si aprono in veri e propri buchi, da cui si lascia vedere la stesura spessa e pesante del colore sottostante. La materia dunque si stratifica e si modifica a vista, in relazione a eventi fisici traumatici: tagli, bruciature, incollature e coloriture deturpanti. La materia è evidentemente concepita come qualcosa di sensibile e modificabile, che riceve l’aggressione dell’artista e reagisce ad essa, opponendo diversi gradi di resistenza. Anche in questo caso l’arte è l’espressione di un incontro di forze ostili, il luogo di un antagonismo, che fa dell’opera un evento in atto, afferrabile cioè nel corso stesso di una modificazione, che è qui quella della sofferenza della materia, del suo tormento e della sua degradazione. Ancora una volta compare il tema moderno dell’esistenza come angoscia e dolore, che però in Burri non è solamente subita, bensì fatta oggetto di una rigorosa e lucidissima presa di coscienza. Questa dimensione cosciente si evidenzia nel tentativo di implicare nella tecnica di stravolgimento dei materiali una vera e propria costruzione spaziale, un equilibrio di effetti cromatici e luminosi. La sofferenza si traduce dunque in un processo creativo dominato dall’intelletto.