IL REALISMO ITALIANO

Renato Guttuso (1912-1987), legato a tematiche politico-sociali,
denota una violenza espressionista nel colore e nella prospettiva.
Qui vediamo Boscaiolo (1950) 

IL REALISMO

Il panorama artistico internazionale dopo il 1945 appare frantumato in una molteplicità di movimenti, correnti e orientamenti di ricerca, che non è facile ridurre ad unità e coerenza sia per quanto riguarda le loro linee di sviluppo interno sia per l’intreccio dei loro reciproci rapporti.
La situazione italiana riflette questo groviglio contraddittorio di posizioni, che spingono la ricerca su vari sentieri di sperimentazione, che si diramano, si sovrappongono e si interrompono sulla base di impulsi e sollecitazioni diverse che vanno dall’adesione alla grande lezione di Picasso, all’inserimento nel solco delle avanguardie, al riferimento al primato dell’arte francese.
Va comunque sottolineato il fatto che il dibattito artistico in Italia si giocava sostanzialmente sul rapporto tra i due grandi poli dell’impostazione realistica da un lato, e, dall’altro, della più libera sperimentazione formale svolta all’insegna della ricerca astratta.
Le esperienze del realismo trovavano il loro grande modello nell’opera di Picasso a partire dalla svolta rappresentata da Guernica, di cui si esalta la coraggiosa aderenza alle più scabrose evenienze della storia contemporanea, l’impegno sul piano civile per una rifondazione della società mondiale e l’intento di rivolgere il discorso dell’arte alle masse affinché si traducesse in un incitamento ad una presa di posizione morale e politica.
Questi elementi di impegno concreto non sono però mai disgiunti da un ardito proposito di rottura formale.
Il massimo esponente italiano di questo orientamento è Renato Guttuso, in cui la dimensione della militanza politica e dell’appassionata partecipazione al dibattito ideologico marxista si traducono in un intento di esplorazione delle condizioni di vita del proletariato, improntato sì ad una ricerca di rigoroso realismo, ma anche aperto ai contributi linguistici delle grandi esperienze di rinnovamento della pittura novecentesca europea.
Va però detto che nel complesso questo orientamento scade in una preoccupazione di inerte ritrascrizione realistica, di scrupolo descrittivistico e di costringente allineamento ideologico che, pur nel proposito lodevole di istituire un efficace rapporto comunicativo con le masse, approda a risultati espressivi banali e conformisti.
Dal Fronte Nuovo delle Arti, costituitosi alla fine del 1946 con la partecipazione di artisti quali Birolli, Morlotti, Pizzinato, Turcato, Vedova, Fazzini, Corpora e altri, si staccarono nel 1952 alcuni componenti che confluirono in un nuovo gruppo, presentatosi alla Biennale con il sostegno teorico del critico Lionello Venturi, che ne espose tra l’altro anche le linee programmatiche. La formulazione del Venturi inquadra il neonato gruppo degli Otto pittori italiani in una dimensione di superamento tanto del realismo, logorato da un assoggettamento alle direttive di partito che ne inibisce anche il lato propriamente creativo, quanto della ricerca condotta in nome dell’astrattismo, ormai anche troppo protesa verso esiti espressivi di ardua difficoltà.
Ma in realtà anche questa nuova posizione non sfugge a una certa genericità e superficialità, evidenti nella trascuratezza dei fondamentali contributi provenienti dall’espressionismo e dal surrealismo, e nella totale indifferenza mostrata verso l’unico evento autenticamente innovativo sul piano del pensiero e del linguaggio figurativo di questo periodo: l’informale con Dubuffet, Fautrier, Wols.
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Quarto Stato (1898-1901)
Giuseppe Pellizza da Volpedo 1868–1907)
Museo del Novecento, Milano
Olio su tela cm 293 × 545
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