IGOR KURCHATOV – Padre della bomba atomica sovietica

IGOR KURCHATOV

La volontà degli anglo-americani di utilizzare la bomba atomica in funzione antisovietica ha accelerato i lavori della bomba sovietica. Raggiunti gli americani, i sovietici conquistano il primato nucleare. Gli ammonimenti di Niels Bohr.

Igor Kurchatov (Sim, 21 gennaio 1903 – Mosca, 7 febbraio 1960) , il padre della bomba atomica sovietica. Scienziato di altissimo livello Kurchatov portò l’URSS al primato nucleare.

Postdam, 17 luglio 1945. Si apre, con la partecipazione di Stalin, Truman e Churchill, la conferenza dei tre “grandi” per decidere il nuovo assetto da dare all’Europa dopo la disfatta della  Germania nazista, e le misure necessarie per una rapida conclusione del conflitto anche in Estremo Oriente. In coincidenza con l’apertura della conferenza, Truman riceve un telegramma (“Bimbi nati in modo soddisfacente”) con il quale gli veniva comunicata la riuscita del primo esperimento atomico ad Alamogordo, nel deserto del Nuovo Messico.

Fin da quando era fuggito dalla Danimarca e si era unito agli scienziati anglo-americani che lavoravano a Los Alamos, il grande scienziato danese Niels Bohr, aveva proposto che l’Unione Sovietica venisse ufficialmente informata dell’indirizzo dato alle ricerche nucleari dalle potenze occidentali. Bohr era giunto rapidamente ad acquistare coscienza della rivoluzione politica che sarebbe stata provocata nel mondo dalla nuova forza atomica, e gli era sembrato evidente che la sola possibilità di dar vita ad una reale confidenza tra le grandi potenze e di edificare così una pace stabile era quella di mettere al corrente l’Unione Sovietica prima che la bomba atomica fosse utilizzata, e di organizzare con questo paese il controllo nucleare necessario. Bohr riteneva questa azione indispensabile per evitare la corsa agli armamenti nucleari, che, in caso contrario, si sarebbe ingaggiata inevitabilmente tra l’URSS e le potenze alleate occidentali.

Gli scienziati sovietici Emelyanov e Kurchatov accolgono nel loro laboratorio un collega americano

La sensata proposta di Bohr trovò però la recisa opposizione di Churchill che riuscì a superare su questo punto capitale le incertezze di Roosevelt. Così, appena ebbero ricevuta la notizia della prima esplosione atomica, Truman e Churchill decisero di farne un accenno a Stalin, ma in forma generica, “senza rivelare particolari di sorta” (Churchill ), per evitare di “allarmarlo” o “insospettirlo”. I due leaders occidentali della coalizione antifascista, pensavano già, ora che si trovavano in possesso di un’arma di potenza incalcolabile, di usarla in funzione antisovietica.

“Non avremmo più avuto bisogno dei russi – scrisse in seguito Churchill – La fine della guerra giapponese non dipendeva più dall’immissione delle loro armate nella fornace per il massacro finale e forse prolungato. Noi non avevamo bisogno di chieder loro favori… Noi eravamo entrati in possesso d’un mezzo provvidenziale (sic!) per abbreviare il macello in Oriente e ci si apriva una prospettiva ben più luminosa in Europa”.

Il 24 luglio Truman si decise finalmente a parlare a Stalin, ma la sua comunicazione reticente non sembrò impressionare per nulla il leader sovietico e soprattutto non servì a impedire che i sovietici, come d’accordo, entrassero in guerra in Estremo Oriente al fianco degli alleati nel termine fissato di 90 giorni dopo la disfatta della Germania.
Stalin deluse l’uomo della “cortina di ferro” anche per la “prospettiva ben più luminosa in Europa” per il blocco imperialistico sulla quale aveva fatto conto.

Niels Bohr e l’inglese Cockcroft (a destra); Lo scienziato danese condusse negli USA una battaglia contro la gara nucleare.

Sia Truman che Churchill ci hanno lasciato testimonianze dirette sulla “indifferenza” dimostrata da Stalin di fronte alla “notificazione” di Truman.
“Il 24 luglio accennai rapidamente a Stalin – ha scritto il presidente degli Stati Uniti – che noi avevamo una nuova arma di inabituale potenza distruttrice. Il capo dello Stato sovietico non dimostrò alcun segno particolare di interesse”. Dal canto suo Churchill ha ricordato: “Vidi il presidente accostarsi a Stalin e i due conversarono solo alla presenza dei loro interpreti. Io ero forse a cinque metri di distanza, e seguii con la massima attenzione l’importante colloquio. Sapevo quello che stava per fare il presidente. Ciò che contava era misurarne l’effetto su Stalin. Rivedo tutto come fosse ieri. Lui parve deliziato. Una nuova bomba! Di potenza straordinaria! Probabilmente decisiva per tutta la guerra giapponese! Che colpo di fortuna! Fu questa la mia impressione in quel momento ed era certo che non aveva idea della portata di quanto gli riferiva”.

Incredulità? incomprensione da parte di Stalin del carattere assolutamente “nuovo” della terribile arma? Nulla di tutto ciò. Oggi sappiamo con certezza che non solo Stalin si rendeva perfettamente conto del valore e del significato della nuova terrificante arma di sterminio, ma che gli scienziati sovietici vi lavoravano intensamente da tempo ed erano ormai a buon punto.
La reticenza di Truman servì però a dargli una prova concreta della malafede degli alleati occidentali e della loro intenzione di utilizzare l’arma atomica in funzione antisovietica.

Sulla storia e lo sviluppo della scienza atomica sovietica se ne sa oggi molto di più grazie ad un libro su Igor Vasilyevich Kurchatov, il padre della bomba atomica sovietica, scritto da uno dei suoi più stretti collaboratori, il fisico atomico Igor Golovin. Ampi estratti del volume sono stati condensati nella nuova rivista sovietica Sputnik, che mensilmente offre ai lettori occidentali il meglio della produzione storica, politica, letteraria, scientifica, culturale e di attualità, selezionato da oltre 11.000 giornali e riviste sovietici.

Igor Vasilyevich Kurchatov era nato il 12 gennaio 1903 nei pressi di Čeljabinsk negli Urali. Laureato a vent’anni in fisica, cominciò ad interessarsi alla nascente fisica atomica negli anni 30. Nel 1938 è a capo del laboratorio di fisica nucleare del nuovo istituto di Kharkov. Già allora gli specialisti sovietici si impegnano in ricerche di avanguardia. Nello stesso 1938, il professa: Ioffé riceve da Joliot Curie l’annunzio della fissione. Kurchatov e Flerov si pongono allora a studiare le esperienze per misurare l’energia dei frammenti di fissione. Kurchatov organizza a Leningrado un gruppo di studio, mentre, fin dal novembre 1939, gli scienziati Khariton e Zeldovich presentano alla sezione di fisica dell’Accademia delle scienze di Kharkov le loro conclusioni sulla reazione a catena nel torio e nell’uranio.

Il mondo è in guerra ma gli scienziati sovietici credono ancora alle possibilità della collaborazione internazionale. Nel settembre 1940 Flerov e Piotrjak, scoprono la fissione spontanea dell’uranio e inviano per la pubblicazione una memoria su questa loro scoperta alla Physical Review negli Stati Uniti: gli scienziati sovietici non riceveranno risposta; negli Stati Uniti è stato deciso il segreto su tutte le ricerche atomiche. In Unione Sovietica invece i risultati ottenuti continuano ad essere resi pubblici, anche se gli scienziati si sono resi conto della possibilità di utilizzazione militare ed anche se l’accademico Nicolas Semionov indirizza una lettera al ministro dell’industria pesante, attirando la sua attenzione sulla ” arma di distruzione massiccia che sarebbe una bomba ad uranio”.

L’invasione dell’Unione Sovietica da parte delle armate hitleriane concentra l’attenzione degli scienziati sui compiti più urgenti della difesa: protezione antimine delle navi, sviluppo del radar, ecc. Il laboratorio di Leningrado viene. trasferito a Kazan, dove le apparecchiature scientifiche restano imballate. Ma Flerov, il collaboratore di Kurchatov, insiste sulla sua idea di una “arma a uranio”. Kurchatov studia la letteratura americana e si convince del segreto che gli americani hanno fatto calare su queste ricerche. Stimolato da Kurchatov, Flerov scrive allora al Comitato di Stato per la difesa: “Noi dobbiamo costruire una bomba ad uranio senza perdere tempo”.

Convocato nel giugno 1942 da questo comitato apprende che i servizi di informazione sono al corrente dell’indirizzo militare dato dagli scienziati anglo-americani e tedeschi alle loro ricerche. Quattro grandi fisici (Ioffé, Vernadski, Khlopin e Kapitza) sono incaricati di studiare il problema e giungono alla conclusione che bisogna procedere rapidamente e che l’uomo ideale per dirigere il programma atomico sovietico è Igor Kurchatov, il quale, alla fine del 1942, viene nominato capo del programma atomico che dirigerà fino a quando la paralisi agli arti sinistri non lo colpirà nel 1956.

“Little Boy” (in alto) e “Fat Man” (in basso) le prime due bombe atomiche sganciate nell’agosto 1945 a Hiroshima e Nagasaki

Kurchatov è in tutti i sensi l’uomo ideale. Le sue qualità di coordinatore, la sua conoscenza degli uomini e della materia, la sua energia indomabile, la sua fenomenale capacità di lavoro, la sua memoria lo mettono in grado di portare la scienza atomica sovietica all’avanguardia nel mondo. Tutti i problemi pratici, anche i più insignificanti, passano al suo vaglio, dallo stadio dell’idea fino alla realizzazione finale. A differenza di Oppenheimer, il suo omologo statunitense, Kurchatov non lavora alle dipendenze dei militari. Il potere sovietico ha fiducia negli scienziati sovietici. Mentre Oppenheimer sarà circondato dal sospetto e dalle misure persecutorie, Kurchatov godrà della piena fiducia dei dirigenti sovietici e nel 1950 e 1954i suoi meriti saranno premiati con l’elezione al Soviet supremo dell’URSS.

Il programma atomico sovietico potrà entrare in fase di attuazione, nel 1943 dopo la liberazione di Stalingrado, ma fin quando non sarà chiaro l’obiettivo anglo-americano di usare l’arma atomica in funzione antisovietica, il programma si svilupperà su una scala molto ridotta. Fino ad allora lo sforzo sovietico non assomiglierà affatto a quello gigantesco degli Stati Uniti. Poche decine di fisici lavorano al programma con mezzi limitati ed in mezzo alle difficoltà della guerra. Alla liberazione di Kharkov, nel luglio 1943, il centro di ricerche viene organizzato in questa città, dove cinquecento persone lavorano in un’edificio di tre piani, riuscendo a costruire in un anno un ciclotrone.

All’inizio del 1945, l’industria comincia a fornire grafite allo stato di purezza atomica indispensabile. Viene accumulato l’uranio.

L’esperimento di Alamogordo, le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, la crescente tensione dei rapporti sovietico-occidentali causata dall’illusione degli Stati Uniti di aver conquistato una duratura supremazia mondiale, spingono il governo sovietico al massimo impegno nel settore atomico e ad accelerare la realizzazione della bomba sovietica per bilanciare quella americana.

Nella primavera 1946, la prima pila sperimentale era iniziata. Il 25 dicembre, quattro anni dopo la pila di Enrico Fermi, anche quella sovietica entra in funzione. Nell’autunno 1947 viene costruito il primo reattore nucleare per la produzione del plutonio. Alla fine del 1947 Molotov può annunziare alla tribuna delle Nazioni Unite che anche l’Unione Sovietica è in grado di costruire armi atomiche.

Kurchatov, che ha tutto organizzato, diretto, sorvegliato, prepara anche il primo esperimento atomico, il 14 luglio 1949. Questo successo, che ristabilisce l’equilibrio mondiale, viene a coronare uno sforzo considerevole, realizzato in un paese devastato dalla guerra ma in piena ricostruzione, grazie alla più alta priorità riconosciuta allo sviluppo scientifico come a quello industriale. Con questo sforzo gli scienziati sovietici sono riusciti a superare il ritardo nei confronti degli Stati Uniti ed a portare l’URSS all’avanguardia nel campo nucleare. Infatti, fin dai primi mesi del 1952, gli scienziati sovietici, diretti e animati da Igor Kurchatov, mettono a punto una bomba termonucleare trasportabile, che però viene sperimentata solo il 12 agosto 1953, dopo che gli americani avranno fatto esplodere a Enewetak, nel novembre 1952, un ordigno termonucleare estremamente voluminoso, troppo grande per essere trasportato da un aereo. Gli Stati Uniti potranno sperimentare una bomba termonucleare trasportabile solo il 1° marzo 1954 nell’atollo di Bikini.

L’esplosione della prima bomba all’idrogeno sovietica, rappresentò un formidabile contributo alla distensione internazionale. Essa servì a risvegliare gli americani dalla loro illusione di dominazione mondiale e a far superare loro la muraglia d’isolazionismo atomico dietro cui si erano volontariamente ritirati, sicuri della loro strapotenza, dopo la
seconda guerra mondiale.

Negli anni 50, durante la visita di una delegazione sovietica alle istallazioni atomiche inglesi di Harwell, uno sconosciuto (per gli occidentali), Igor Kurchatov, provocò una vera scossa negli scienziati inglesi quando con disinvoltura disse: “Vi esporrò ora i lavori e i risultati raggiunti nell’Unione Sovietica, dopo il 1950, sul controllo dell’energia termonucleare…”. Si trattava allora di un argomento proibito del quale gli scienziati parlavano tra di loro a bassa voce. Il gigante sovietico dalla curiosa barba lunga ne parlava tranquillamente in un ambiente dove il segreto più assoluto circondava tutte le ricerche.

In verità fin dal novembre 1949, il delegato sovietico presso l’ONU, Andrei Vishinski, aveva parlato alla tribuna dei progetti sovietici per l’utilizzazione pacifica dell’energia atomica: per spostare fiumi e montagne, per irrigare deserti. A queste ricerche pacifiche Igor Kurchatov, il padre delle “bombe” sovietiche, ha dedicato gli ultimi anni della sua vita. Colpito nel 1956 dalla paralisi, Kurchatov si è dedicato con passione alle ricerche sul controllo e l’utilizzazione pacifica dell’energia H, finché, prematuramente stroncato da un lavoro enorme, non è morto il 7 febbraio 1960 all’età di soli 57 anni.

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