LE BASI CHIMICHE DELLA NEVROSI – ANSIA

LE BASI CHIMICHE DELLA NEVROSI

L’incubo di quello che è stato definito nel secolo scorso il “male del secolo” sta forse per finire: nella lotta quotidiana tra evoluzione patologica e progresso medico, tutto lascia credere che quest’ultimo sia alla vigilia di una nuova, importante vittoria. Il professor Ferris N. Pitts, capo di una équipe di ricercatori della University School of Medicine di Washington, nel 1969 ha infatti annunciato di aver scoperto il meccanismo fisiologico e chimico dell’ansia o, per usare un termine medico più rigoroso, della nevrosi ansiosa.

Per valutare in tutta la sua importanza questa scoperta, diremo subito che, prescindendo dalle grandi epidemie del passato (come quella di colera del 1345 che fece circa 20 milioni di vittime), nessuna malattia conosciuta ha mai raggiunto la diffusione della nevrosi ansiosa; e le statistiche sono, in proposito, piuttosto esplicite: nei paesi evoluti le malattie cardiocircolatorie colpiscono lo 0,3 per cento della popolazione, quelle cancerogene lo 0,2, le affezioni polmonari lo 0,1, tanto per citare le più diffuse; la sindrome ansiosa, nelle sue forme più gravi, colpisce addirittura il 5 per cento della popolazione attiva e, nelle sue forme meno preoccupanti, investe nientemeno che il 15 per cento dell’intera umanità.

Ma in cosa consiste effettivamente, da un punto di vista clinico, questo male del secolo e quale è stata la sua evoluzione patologica? Quando il meccanismo di una malattia non è noto, bisogna accontentarsi della sintomatologia, e quanto più ricca è la sintomatologia tanto più si brancola nel buio. Ora, la sintomatologia dell’angoscia è di una ricchezza incredibile: palpitazioni cardiache, tremori, stanchezze ingiustificate, tachicardia, stati di depressione e di prostrazione, insonnia, difficoltà di respirazione, vomito, diarrea, emicrania, paura; soprattutto paura di ammalarsi e di morire.

Come si vede, i sintomi sono quelli caratteristici di tutti i mali conosciuti, come se l’ammalato riassumesse in sé un intero dizionario medico. Ma in realtà, ad una visita medica accurata, tutti i suoi organi risultano perfettamente sani e le loro funzioni appaiono del tutto regolari.
Ogni trattamento sintomatico è perciò destinato all’insuccesso: le cure specifiche non servono a niente e i medici generici confessano di preferire una bella polmonite doppia che si può curare e risolvere in pochi giorni, a questi fastidiosi disturbi che, se da una parte incidono sulla salute del malato come e più di una vera e propria malattia, dall’altra danno a chi deve curarli assai poca soddisfazione. Non solo, ma l’ammalato, di fronte all’evidente insuccesso della medicina (costretta a ricorrere esclusivamente a calmanti e tranquillanti), tende per la stessa natura del suo male a considerarsi incurabile, a ritenere che il medico non gli riveli per pietà le sue condizioni reali, a considerarsi quindi molto più ammalato di quello che realmente sia.
Quindi la spirale dell’angoscia finisce per travolgerlo in un circolo vizioso che è stato, finora, senza via d’uscita.

I medici, di conseguenza, di fronte alla sindrome ansiosa così ribelle ad ogni trattamento e così avulsa da ogni causalità organica, hanno finito per considerarla più una forma di isterismo psicologico che un’affezione scientificamente trattabile. Essi hanno quindi ceduto ben volentieri allo psicanalista, questo nuovo consolatore degli afflitti clinicamente intrattabili, la responsabilità di risolvere e di mitigare l’ansietà del paziente ricorrendo all’ormai millenario e ben collaudato sistema terapeutico della confessione che, nella sua accezione più moderna non si svolge tra un nevrotico “oppresso dal peso dei suoi peccati” e un apposito funzionario in camice nero, ma tra un nevrotico oppresso dal peso delle sue angosce e un apposito funzionario in camice bianco. Detta così, la differenza tra i due tipi di confessione potrebbe apparire puramente formale; ma, in realtà essa contiene in sé dei valori molto sostanziali e la psicanalisi ha avuto il grande merito di aver aperto delle prospettive del tutto nuove e di aver dischiuso la porta di un mondo del tutto ignorato. L’inconscio, l’io, l’es, il “guardiano della soglia”, le stratificazioni dell’inconscio collettivo, l’istinto di morte, la volontà di potenza e l’angoscia sono dei termini confinati ancora in gran parte nella metafisica o nella sfera evolutiva individuale del paziente, e la psicanalisi per la sua stessa natura e per i suoi stessi presupposti non è riuscita ad assurgere al ruolo di scienza, nel senso proprio, cioè baconiano e galileiano della parola. Tuttavia in questi ultimi anni, nei paesi che sono attualmente all’avanguardia della ricerca scientifica e quindi soprattutto nell’Unione Sovietica e negli Stati Uniti d’America, numerosi ricercatori, guidati dalle intuizioni proprie della psicanalisi, hanno cercato di trovare una base fisiologica e biochimica, e quindi scientifica, a certi fenomeni  confinati fino a questo momento nella sfera delle cosiddette “reazioni psicologiche” individuali. In questo quadro rientrano gli studi degli scienziati marxisti Barnal e Oparin i quali nel 1970 hanno dimostrato i legami esistenti tra la cosiddetta “volontà di potenza” e il metabolismo degli ormoni sessuali. In questo quadro rientra pure la scoperta del professor Pitts che attribuisce ad un imperfetto metabolismo del complesso lattosio-adrenalinico la causa di quell’angoscia che sembra costituire la malattia principale dell’epoca. Una malattia, se così si può definire, che è entrata ormai nella letteratura e nell’arte del nostro tempo e che, secondo la scuola evoluzionista di Julian Huxley è dovuta alle condizioni “stressanti” a cui l’organismo umano viene sottoposto dall’intensa e relativamente troppo veloce evoluzione della vita moderna. O che, secondo molti sociologhi e pensatori anche borghesi è il naturale sottoprodotto “della vita inumana”, squallida, inibita, spiritualmente anarchica propria della fase della società neo-capitalista.
L’incertezza della medicina tradizionale nei confronti dell’ansia è documentata dalla stessa molteplicità delle denominazioni e degli attributi con cui essa viene catalogata nei trattati classici. Alfred Stillé, uno dei primi medici che abbia studiato questa affezione in modo organico la definì “palpitazione cardiaca”; il Poincaré “esaurimento cardio-muscolare”, il Da Costa “astenia neurocircolatoria” , lo Stein “sindrome nevrastenica”. Il termine attualmente accettato di “sindrome ansiosa” fu coniato da Sigmund Freud e finì per imporsi probabilmente perché la parola “ansia”, comprensibile anche a chi non conosce la terminologia medica, era destinata ad avere un grande avvenire e una triste popolarità. Oggi, infatti, nei paesi civili vengono giornalmente venduti 25 milioni di pillole tranquillanti e 5 milioni di compresse calmanti a base di barbiturici. Questo trattamento sintomatico dell’angoscia, oltre a non servire assolutamente a risolvere il problema di fondo (l’eliminazione delle cause che provocano l’angoscia), ha fatto addirittura sorgere una nuova malattia che è entrata in patologia con il nome di “sindrome tossica da medicamenti” e che colpisce soprattutto il sistema epatico e quello cardiocircolatorio.

Questa la drammatica situazione di oggi, mentre l’importante scoperta dell’équipe di ricercatori americani guidati dal professore Ferris Pitts viene accolta con enorme interesse perché essa offre finalmente una base scientifica all’indefinibile problema dell’angoscia. In fondo ci troviamo in questo momento nella stessa situazione dei contemporanei di Heinrich Hermann Robert Koch (Clausthal-Zellerfeld, 11 dicembre 1843 – Baden-Baden, 27 maggio 1910) : a quel tempo il maggiore flagello che colpiva l’umanità era rappresentato dalla tubercolosi, una malattia dai sintomi molteplici che veniva definita nei modi più pittoreschi, dal momento che se ne ignoravano le cause: “mal sottile”, “etisia”, “consunzione” , “incapacità respiratoria”. Le cure naturalmente erano sintomatiche: il paziente ha la febbre? ebbene applichiamogli degli impacchi freddi per spegnere il suo fuoco interno. Contemporaneamente diamogli poco da mangiare per non alimentare questo fuoco interno che irrimediabilmente lo consuma. Oggi, un ragionamento del genere ci fa sorridere di compatimento. Tutti sappiamo ormai che la tubercolosi è dovuta a un certo bacillo, quello di Koch, che si è dimostrato sensibile a un certo trattamento chimico e che questo trattamento, unito ad una superalimentazione atta a rinforzare al massimo le difese naturali dell’organismo, finisce decisamente per aver ragione di questo male già così temuto. Però, nonostante i nostri sorrisetti di compatimento, siamo pronti a ripetere lo stesso errore nel caso dell’angoscia.

Il prof. Ferris Pitts e i suoi collaboratori non hanno scoperto un nuovo bacillo a cui si possa attribuire la responsabilità della nostra angoscia, ma hanno scoperto che il metabolismo dell’acido lattico è strettamente legato al meccanismo dell’angoscia, e che un soggetto ansioso presenta sempre nei suoi tessuti una dose eccessiva di lattosio.

Come è noto, l’acido lattico è un normale prodotto del metabolismo umano e rientra nello schema biochimico usuale in base al quale una sostanza eccitatrice, dopo aver indotto un determinato organo a compiere un lavoro, dopo avergli cioè ceduto una certa dose di energia, si trasforma in un’altra sostanza chimicamente inerte e per lo più tossica. Un po’ come succede con la benzina che, dopo aver messo in moto un motore, dà come residuo il gas di scarico che deve essere assolutamente eliminato se si vuole che il motore continui a funzionare bene.
L’acido lattico, seguendo la nostra similitudine, rappresenta proprio il gas di scarico mentre la benzina è rappresentata dal glucosio, cioè dagli zuccheri che nutrono e stimolano il tessuto neuro-muscolare.

Ora il prof. Pitts era rimasto colpito dalla similitudine esistente tra i sintomi della sindrome ansiosa e quelli dell’ipocalcemia, cioè di quella condizione patologica caratterizzata dalla povertà di ioni di calcio nel sangue umano. Ora il lattosio ha proprio la capacità di fissare il calcio dando origine ad un lattato chimicamente inerte. Da qui l’ipotesi che la quantità eccessiva di lattosio presente nell’organismo degli ansiosi neutralizzi gli ioni di calcio che, come è noto hanno oltre a tutto una finzione determinante nella trasmissione degli impulsi nervosi.

Per poter comprovare in modo definitivo l’esattezza di questa loro brillante teoria. i ricercatori dell’University School of Medicine di Washington, hanno effettuato su un gruppo di volontari la prova inversa iniettando una soluzione di acido lattico nei tessuti di un certo numero di persone le cui condizioni di salute erano eccellenti e che nulla sapevano degli scopi dell’esperimento (per evitare fenomeni di autosuggestione).
Dopo pochi minuti tutti i soggetti trattati con l‘acido lattico incominciarono ad accusare i sintomi classici della nevrosi ansiosa con tachicardia, sudorazione e depressione nervosa. L’unico elemento variabile all‘interno del gruppo era il grado di intensità dei disturbi, evidentemente legato alla particolare costituzione fisica di ogni soggetto e soprattutto alla differente quantità di adrenalina prodotta dall’organismo di ogni cavia umana sotto lo “stress” emotivo dell’esperimento.

In definitiva un numero ormai imponente di prove e di controprove sembra ormai aver dimostrato che sotto l’effetto degli “stress” dovuti alle cause più svariate ma anche più frequenti nella vita moderna, l’orgnismo umano, a seconda della sua maggiore. o minore reattività produce un eccesso di adrenalina la quale a sua volta induce un eccesso di acido lattico nei tessuti. Questo neutralizza gli ioni di calcio rendendo così più difficili i collegamenti nervosi e alterando gravemente l’equilibrio neuro-vegetativo. L’insieme di questi scompensi biochimici si traduce a livello fisiologico nella cosiddetta sindrome ansiosa.

Non resta quindi, una volta individuata la causa, che studiare il rimedio adatto. La parola quindi è all’industria farmaceutica che, a quanto si sa, sta già sperimentando un preparato, il propranololo, capace di bloccare nell’organismo l’eccessiva produzione di acido lattico. Ci sono ottime speranza quindi li vincere anche la battaglia contro l’angoscia e di lenire tante inutili sofferenze.

Distribuzione percentuale dei sintomi caratteristici nei soggetti affetti da nevrosi ansiosa clinicamente accertata (in rosso) e in soggetti di controllo (in nero) in apparenza perfettamente sani.

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