CHICHÉN ITZÁ – LA CITTÀ DEI MAYA

Piramide di Kukulkan

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CHICHÉN ITZÁ – LA CITTÀ DEI MAYA

Lo splendore di una civiltà sconosciuta

Ancora poco conosciuto, ma di barbarico splendore, l’impero dei Maya della penisola dello Yucatan, che attualmente fa parte del Messico, fiori nel periodo in cui l’Europa era ancora immersa nel periodo buio noto col nome di Medio Evo.  Molte delle grandi città di pietra e dei luoghi di culto maya, nascosti per secoli dalla intricatissima vegetazione della giungla, erano collegate fra loro per mezzo di una rete di belle strade soprelevate e lastricate, larghe dai due metri e mezzo ai nove metri e oltre. La più lunga di queste strade correva per 100 km in tre rettilinei da Cobá a Yaxuna, attraversando foreste e paludi. Il sistema di pavimentazione stradale era semplice, ma destinato a durare nel tempo: una parte interna di pietrisco fiancheggiata da muri di pietra e pressata con pesanti rulli, sempre di pietra, per essere infine ricoperta con una specie di cemento bianco.
Liberate dalla prigionia della giungla, le città maya si innalzano come una testimonianza di un misterioso passato. Una delle più indimenticabili è senz’altro Chichén Itzá.
Nello Yucatan, paese arido soggetto a rare piogge stagionali, i centri abitati si svilupparono attorno a grandi bacini idrici, i cenotes, in grado di sopperire al fabbisogno di acqua potabile per tutto l’anno. La scoperta di due specchi d’acqua particolarmente grandi e profondi permette di far risalire la fondazione di Chichén Itzá al V secolo o all’inizio del VI. A quell’epoca la civiltà maya era in pieno rigoglio, ma sarebbe andata incontro alla rovina intorno al 987, data in cui i Toltechi occuparono la città e ne fecero la capitale del loro impero.

Durante l’XI e il XII secolo, Chichén Itzá raggiunse l’apogeo della fama e della prosperità. Le tradizioni maya non andarono perdute e i Toltechi costruirono meravigliosi templi di pietra, palazzi e colonnati nei quali lo stile architettonico maya e quello tolteco si fondevano in perfetta armonia. Risale a questo periodo anche il famoso tempio delle mille colonne. Le colonne si ergono attorno a uno spiazzo di due ettari e sono alte più di 20 metri.
Come tutte le città maya, anche Chichén Itzá ha il suo stadio, un rettangolo di 82 metri per 60 circa, dove due squadre si misuravano nel pok-a-tok, un gioco che somiglia a una specie di pallacanestro. Ogni squadra si sforzava di mandare una pesante palla di caucciù nella “rete” avversaria. Le “reti” erano anelli di pietra incastrati nei muri. Il gioco era condotto in modo così violento, che a volte i contendenti perdevano la vita nel corso della partita.
Il gioco sembra quindi aver avuto un significato rituale e religioso, ed è molto probabile che i perdenti fossero destinati al sacrificio. La città è famosa anche per il suo Pozzo dei Sacrifici, una fossa profonda collegata alla Grande Piazza da un percorso lastricato, lungo circa 300 metri.
È probabile che vi venissero gettate le vittime ancora vive per propiziarsi gli dèi in periodo di siccità.

Pozzo dei Sacrifici

La fine di Chichén Itzá fu repentina. Per circa 200 anni, la città fu una specie di città santa dei Toltechi, ma poi fu improvvisamente abbandonata dagli abitanti verso il 1224, quando vi giunsero i guerrieri Itzá. Gli Itzá vi si stabilirono; poi, verso la metà del XV secolo, ne furono cacciati, e Chichén Itzá fu abbandonata per sempre. Il sito di Chichén Itzá è stato dichiarato patrimonio dell’umanità UNESCO nel 1988. Costituisce una proprietà federale dello stato del Messico, ed è amministrato dall’Instituto Nacional de Antropología e Historia (INAH). È stato inserito nel 2007 fra le sette meraviglie del mondo moderno.

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