SCHLIEMANN ALLA SCOPERTA DI TROIA

Heinrich Schliemann

SCHLIEMANN ALLA SCOPERTA DI TROIA

Heinrich Schliemann (Neubukow, 6 gennaio 1822 – Napoli, 26 dicembre 1890) è stato un imprenditore e archeologo tedesco.

Sui grandi giornali d’informazione e perfino sulle riviste “rosa” sono comparse delle notizie “sensazionali” che, una volta tanto, non hanno nulla a che vedere con la tormentata realtà quotidiana o con il più recente e squallido scandaletto della diva in cerca di pubblicità. Si trattava di notizie provenienti dal mondo degli archeologhi, quasi a dimostrare che anche in un’epoca dominata dall’esplorazione spaziale e dalla ricerca di un futuro cosmico, non è venuto meno l’interesse per quella particolare attività esplorativa che ha come oggetto il suggestivo passato dell’uomo.

Le notizie “sensazionali” sono queste: nella piana di Paestum, in provincia di Salerno, gli scavi, condotti sotto la direzione del sovrintendente alle antichità prof. Mario Napoli, hanno portato al ritrovamento di decine e decine di esempi di pittura greca. Una pittura di cui si avevano soltanto delle vaghe descrizioni e degli esempi minori, rappresentati dalla pittura vascolare, e che si credeva perduta per sempre.
La scoperta di numerose tombe greche riccamente affrescate e soprattutto la scoperta di quell’affresco che è ormai noto in tutto il mondo come quello del “Tuffatore” hanno riempito una grave lacuna culturale che coinvolgeva la storia e le origini di una delle più importanti arti figurative. La seconda notizia “sensazionale” ci viene invece da Cnido, la leggendaria isola greca in cui dominava sovrano il culto di Venere, dea dell’amore e della fecondità: l’archeologa americana Iris Love (anche il nome è significativo dal .momento che “love” in inglese significa “amore”) perseguendo, insieme ad un gruppo di entusiasti discepoli, il suo sogno di ritrovare la statua della “Venere al bagno” dell’insigne scultore greco Prassitele (statua che per la sua perfezione ha ispirato tutte le successive rappresentazioni plastiche della dea dell’amore e di cui si sono perdute le tracce fin dall’epoca di Teodosio), ha rinvenuto le mura spartane di Cnido e le colonne del grandioso tempio di Venere dove appunto era custodita la statua e dove le fanciulle dell’isola dell’amore esercitavano la “prostituzione sacra” con la scusa di fare cosa gradita alla dea.

Queste singolari scoperte, oltre ad avere evidentemente un enorme valore culturale oggettivo, rappresentano anche, in modo del tutto casuale, la miglior celebrazione del centenario di quelle scoperte che dovute alla passione ed alla tenacia di Heinrich Schliemann, ci hanno permesso di accostarci in modo concreto a quella civiltà egeo-minoica descritta poeticamente da Omero, e dalla quale direttamente e indirettamente discende anche la nostra civiltà. Perchè sono passati esattamente centocinquanta anni da quando il piccone di Heinrich Schliemann, ex garzone di drogheria a Fürstenberg e successivamente « gran commerciante nella prima corporazione di Pietroburgo, cittadino onorario russo, giudice del Tribunale commerciale e direttore della Banca di Stato a Pietroburgo, nonché archeologo dilettante, riportò alla luce le rovine di quella mitica Troia che gli “esperti” dell’epoca consideravano soltanto come un’invenzione poetica ma che in realtà è stata una delle protagoniste della prima “guerra imperialista” di cui si abbia notizia nella storia.

Il romanzo della scoperta di questa fondamentale tappa della civiltà umana è strettamente legato al romanzo della vita di Heinrich Schliemann che rappresenta forse la più singolare materializzazione di quella “teoria della predestinazione” così connaturale allo spirito (ed agli interessi) di una certa borghesia mercantile tedesca.

Heinrich Schliemann era nato infatti a Neubukow uno dei più miseri villaggi del Meclemburgo, una delle province più sottosviluppate del Regno di Prussia, nel 1822. Suo padre era un povero e rigido pastore protestante che non aveva potuto dargli nient’altro che una sommaria “educazione classica”. Un’educezione classica in cui non potevano mancare gli eroi di Omero: Paride, Ettore, Achille e l’invincibile Troia dalle forti mura incendiata e distrutta grazie all’astuzia di Ulisse. Il piccolo Heinrich rimase particolarmente colpito dall’affasciname narrazione dellaguerra troiana:
“E così Troia è stata completamente distrutta con tutti i suoi tesori e nessuno sa dove fosse?” chiedeva il bambino.
“È proprio così – rispondeva il padre.
“Non lo credo” commentò il piccolo Heinrich. “Quando sarò grande andrò in Grecia a cercare Troia e il tesoro del re!”

Ma la strada che doveva portare il “predestinato” Heinrich a Troia ed al tesoro del re doveva essere ancora molto lunga e piena di avventure. A quattordici anni, a causa della precaria situazione familiare, egli deve interrompere gli studi e lavorare dalle cinque di mattina alle undici di sera come garzone in una drogheria della cittadina di Fürstenberg. Qui egli si fa la fama di un ragazzo piuttosto strano dal momento che sperpera gran parte del suo misero salario per finanziare le bevute di un cliente, un mugnaio ubriacone, che però in cambio gli recita a memoria i versi della Iliade di Omero. Nel 1841 Schliemann si imbarca ad Amburgo come mozzo su una nave diretta nel Venezuela, ma una violenta tempesta fa naufragare la nave ed egli viene ricoverato in un ospedale olandese. Dimesso, trova un posto di usciere in un ufficio di Amsterdam.
Nella misera soffitta in cui abitava iniziò lo studio sistematico delle lingue estere – francese, inglese, portoghese, italiano, russo – secondo un suo metodo personale. Grazie alla conoscenza del russo, egli fu promosso corrispondente di una ditta che intratteneva rapporti commerciali con la Russia, finchè pensò di mettersi in commercio per conto proprio: nel 1846 fu nominato dalla sua ditta agente a Pietroburgo ma già l’anno successivo fondava una società commerciale tutta sua ed una banca per il commercio dell’oro.
Assistiti da una incredibile fortuna i suoi affari prosperarono in breve tempo (uno spaventoso incendio, tanto per fare un esempio, aveva distrutto i depositi del porto di Memel in un periodo di grande richiesta: gli unici magazzini risparmiati con tutte le loro preziose merci furono quelli dello Schliemann). La guerra di Crimea, il commercio del tè, la crisi economica americana abilmente sfruttati da questo geniale “self made man” contribuirono a dargli un’enorme ricchezza ed un prestigio indiscutibile che permettevano a lui, il povero ex garzone della misera drogheria di Fürstenberg di trattare da pari a pari con lo Zar di tutte le Russie e con il Presidente degli Stati Uniti d’America.

Schliemann dirige gli scavi di Troia

Nel 1863, conquistata una solida agiatezza, Heinrich Schliemann avrebbe potuto ormai condurre la vita del gran signore e del prestigioso, uomo d’affari rispettato e consultato dai più importanti governi. Ma evidentemente per lui la ricchezza non era stato un fine ma soltanto un mezzo: un mezzo che gli permettesse di realizzare quei sogni infantili che erano stati suscitati in lui dalle parole del padre durante le malinconiche passeggiate nei dintorni di Neubukow. È così che Schliemann, messi da parte i libri mastri delle sue fiorenti imprese commerciali, si diede allo studio del greco: in soli sei mesi egli fu in grado di padroneggiare completamente la lingua. “Mi sono messo a studiare Platone con tanto impegno che se fra sei settimane egli potesse ricevere una mia lettera, dovrebbe poterla capire” scriveva a quel tempo lo Schliemann ad un amico. Poi, approfittando della sua conoscenza del greco, egli incomincia a studiare in modo approfondito i poemi di Omero, prendendo naturalmente alla lettera, da buon dilettante, ogni affermazione ed ogni resoconto fatto dall’antico poeta sulla guerra e sulle vicende di Troia. Il fatto è che Schliemann non era un dotto perchè altrimenti avrebbe ritenuto, come tutti i dotti dell’epoca, che Omero era il cantore di una sepolta preistoria, forse addirittura un sim-bolo, un nome convenzionale a cui era stata attribuita la paternità di comodo di un insieme di leggende e di racconti mitici dovuti a vari rapsodi greci dell’età eroica. La guerra di Troia e Troia stessa, secondo questi dotti, non erano altro che delle poetiche invenzioni, delle storie buone tutt’al più a fornire il tema a favole e leggende moraleggianti utili all’edificazione e all’educazione della gioventù studiosa.

Per Schliemann invece, che nulla sapeva del mondo dei dotti, il racconto di Omero era una vera e propria “cronaca di guerra” da prendere alla lettera e da assumere come guida per partire alla ricerca di un mondo sepolto dalla sabbia e dall’oblio dei secoli. Ed egli partì a tale ricerca nel 1868: la sua prima tappa fu Itaca, la patria di Ulisse, dove conobbe un maniscalco la cui moglie si chiamava Penelope e il cui figlio si chiamava Telemaco e dove lesse di sera, sulla piazza del paese ai discendenti di coloro che erano morti 3000 anni prima, il canto XXIII dell’Odissea commuovendosi fino alle lacrime, lui lo spietato speculatore della guerra di Crimea, e inducendo al pianto gli uomini e le donne che assistevano alla sua lettura.

Da Itaca Heinrich Schliemann proseguì direttamente per l’Asia Minore raggiungendo il piccolo villaggio di Bunarbashi dove, secondo i pochi eruditi che credevano alla realtà dei racconti omerici, avrebbe dovuto sorgere un tempo la città di Troia. Nei pressi di Bunarbashi infatti c’erano le due sorgenti descritte nel canto XXII dell’ Iliade, ma Schliemann, ispezionando la zona si accorse che nelle vicinanze c’erano almeno altre trenta sorgenti e inoltre constatò, orologio alla mano, che mai e poi mai gli eroi greci avrebbero potuto compiere due o più volte al giorno il percorso dalle loro navi alle mura della città nemica che risultava troppo distante dal mare. Egli decise perciò di spostare le sue ricerche verso nord in una località in cui, secondo il racconto dello storico greco Erodoto, l’imperatore dei Persiani Serse aveva sacrificato cento buoi alla dea Minerva sulle rovine della “Pergamo di Priamo” cioè della cittadella dell’antica Troia e dove Alessandro il Grande aveva dissepolto alcune antiche armi che poi fece sempre portare, in battaglia come talismani dalla sua guardia del corpo. Nella sua marcia, guidata soltanto dalla fede più assoluta negli antichi scrittori, Schliemann giunse un giorno sulla collina di Hissarlik e fu subito colpito dal fatto che dalla sua cima si potesse vedere il monte Ida “dalla vetta del quale (secondo Omero) Giove rimirava la città di Troia”.
Il suo incontro con il console inglese che possedeva una villetta estiva nei dintorni e che gli raccontò distrattamente come fosse facile trovare in quei paraggi numerosi oggetti antichi, convinse definitivamente l’archeologo dilettante tedesco di aver trovato quanto cercava.
Ingaggiati cento operai egli si mise al lavoro in modo frenetico e nei primi mesi del 1870 comparvero alla luce i ruderi di un’antica città. Ma Schliemann non tardò ad accorgersi che non si trattava di Troia ma probabilmente di quella “Nuova Ilio” che era stata visitata da Serse e da Alessandro il Grande.
Ripresi gli scavi egli scoprì che sotto le rovine di “Nuova Ilio” c’erano le rovine di una città più antica e che sotto a queste ce n’erano altre ancora: la collina di Hissarlik era composta da ben nove strati sovrapposti ognuno dei quali aveva ospitato una città e una cultura di epoca diversa a cominciare dallo strato più basso che era addirittura preistorico tanto che i suoi abitanti non avevano ancora conosciuto l’uso del metallo. Schliemann era raggiante: aveva speso somme enormi e aveva smosso più di 250 mila metri cubi di terra, ma il suo nome era diventato famoso in tutto il mondo, aveva mandato ai musei pezzi di inestimabile valore, aveva suscitato l’entusiasmo di tutti i paesi civili, aveva fatto trionfare il vecchio Omero ma soprattutto aveva coronato, come rare volte accade agli uomini, il sogno della sua giovinezza.
Ma, a voler essere pignoli, il suo sogno giovanile non si era proprio avverato del tutto, mancava un particolare, il più fantastico e il più fiabesco. Un particolare a cui lo stesso Schliemann non pensava certamente più, se non ricordando il sorriso indulgente del padre che si sentiva dire da un ingenuo ragazzino: “Quando sarò grande andrò a cercare Troia e il tesoro del re!”.
Eppure… Abbiamo già avuto occasione di vedere come Heinrich Schliemann fosse stato un uomo eccezionalmente fortunato. Ma la sua fortuna stava proprio allora per dare la prova più alta di se stessa: pago di aver scoperto la città di Troia (che egli erroneamente riteneva trovarsi nel secondo strato), egli aveva deciso di sospendere i lavori e di trasferirsi a Micene per individuare la reggia del leggendario re Agamennone. Aveva fissato il 15 giugno 1873 come ultimo giorno di soggiorno a Hissarlik e in quello stesso giorno stava facendo un’ultima passeggiata di commiato in compagnia della sua bellissima moglie greca (in cui egli vedeva una specie di reincarnazione della divina Elena) nei luoghi che avevano visto la sua pluriennale fatica. Egli stava procedendo lungo le fondamenta delle mura troiane quando un po’ di terra franò sotto i suoi piedi ed egli potè intravvedere qualcosa che lo fece trasalire. Afferrato un coltello si mise febbrilmente a scavare e, aiutato dalla moglie, portò alla luce una pesante cassa stracolma di oggetti d’oro, d’argento e d’avorio di squisita fattura. Schliemann non ebbe alcun dubbio: quello era il tesoro di Priamo, sepolto in fretta e furia prima dell’arrivo degli invasori! La notizia suscitò una nuova ondata di entusiasmo in tutto il mondo, Schliemann riuscì a portare il tesoro in Europa in circostanze romanzesche e a compiere ancora un numero imponente di scavi a Micene, Orcomeno, Tirinto e Creta dando un contributo enorme alla scoperta ed alla conoscenza di una delle più antiche civiltà del mondo. La sua attività fu interrotta soltanto dalla morte che lo colse a Napoli nel 1890 sulla strada del ritorno di una delle sue tante spedizioni. Heinrich Schliemann non morì da milionario e da mecenate circondato dal cordoglio e dalla retorica che normalmente vengono riservati ai benefattori dell’umanità. Il destino fu ancora una volta benigno con lui: colpito da paralisi in una strada di Napoli e soccorso da alcuni passanti pietosi fu regolarmente respinto, secondo una tradizione che dura tuttora, dal locale ospedale perchè, essendo ancora in “tenuta archeologica”, non aveva certamente l’aria del gran signore. Quando l’equivoco fu chiarito era ormai troppo tardi: l’ex garzone di drogheria era serenamente spirato avendo avuto tutto il tempo, durante le lunghe e solitarie ore della sua lucida agonia di accomiatarsi da quelle grandi ombre del passato alle quali egli aveva dato una nuova realtà e di recitare ancora una volta tra se e se quegli immortali versi dell’Odissea che lo avevano fatto piangere a Itaca in una sera d’estate di tanti anni prima.

La figura e l’opera dello Schliemann suscitò naturalmente molte discussioni fin dall’epoca dei suoi primi ritrovamenti. Egli fu accusato di aver danneggiato gli strati archeologici con degli scavi irrazionali, di aver sbagliato la datazione, di aver situato Troia nel secondo strato mentre essa si trovava in realtà nel sesto, di aver preso per il tesoro di Priamo quello che in realtà era il tesoro di un re vissuto molto tempo prima. In una parola Schliemann fu accusato soprattutto di dilettantismo. Ma in realtà nessuna critica potrà sminuire il suo grande merito, quello di aver scoperto, sia pure sbagliando date e confondendo strati, la più antica civiltà mediterranea, la civiltà del passaggio dalla comunità primitiva all’allevamento del bestiame, la civiltà dei “re pastori”, dei primi scambi e dei primi commerci, la civiltà delle prime “città Stato” che verranno prese a modello di ordinamento politico dagli stessi distruttori di questa antichissima civiltà, gli ancor barbari Achei che successivamente ci tramanderanno quelle forme e quei valori fondamentali del vivere civile dei quali siamo loro tuttora debitori.

Heinrich Schliemann ci ha aperto questo mondo proprio perchè era un dilettante, perchè aveva fede negli antichi poemi e ignorava le diatribe e lo scetticismo della scienza ufficiale. Pensando a lui viene spontaneo di ricordare le parole del severo filosofo tedesco Schopenhauer: “Dilettanti! Così vengono chiamati con disprezzo coloro che si occupano di una scienza o di un’arte per il loro diletto, cioè per la sola gioia che ne ricevono. Un tale disprezzo deriva dalla meschina convinzione che nessuno possa prendere qualcosa sul serio se non sotto lo sprone della necessità, del bisogno o della avidità. La verità è al contrario che per il dilettante la ricerca diventa uno scopo, mentre per il professionista rappresenta solo un mezzo, ma solo chi si occupa di qualcosa con amore e con dedizione può condurla a termine in piena serietà. Da tali individui, e non da servi mercenari, sono sempre nate le grandi cose”.

Queste parole di Schopenhauer riecheggiano naturalmente una concezione piuttosto romantica dell’individuo e del ruolo della personalità, tuttavia la storia dimostra che molto spesso sono stati proprio i dilettanti a “fare le grandi cose” nei più disparati campi della scienza: Otto von Guericke, il più grande fisico tedesco del 1600 era un giurista, Beniamino Franklin, l’inventore del parafulmine era un uomo politico, Galvani, lo scopritore dell’elettricità era un medico come Roberto Meyer, lo scopritore della legge di conservazione dell’energia. Il primo telegrafo elettrico fu costruito dal professore di anatomia Samuel Thomas von Sömmerring, Samuel Morse era un pittore come Daguerre, l’inventore della fotografia. Le prime buone traduzioni del sanscrito le dobbiamo a Jones che non era un filologo ma un giudice nel Bengala e i primi passi verso l’interpretazione dei geroglifici li dobbiamo a Thomas Young che era un medico. Perchè meravigliarci quindi se anche la scoperta di Troia e di una nuova civiltà vanno ascritte al merito di un dilettante, l’ex garzone di drogheria e grande commerciante della piazza di Pietroburgo Heinrich Schliemann?

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