LA SCUOLA FERRARESE: COSTA, TURA, DEL COSSA, DE’ ROBERTI

LA SCUOLA FERRARESE

A Ferrara, culla di una scuola insigne, lavorano Piero della Francesca ed il Mantegna, e le due correnti si fondono tanto in un’accentuazione di valori cromatici, gemmei e profondi, quanto nella persistenza del plasticismo. Le vecchie consuetudini sono contradette con singolari prove d’indipendenza date non già da BONO, austero – squarcionesco, vissuto intorno al 1460, ma da tre grandi iniziatori.

COSMÉ TURA (1430-1495), lodato dal Filarete nella Sforziade  e da Giovanni Santi nella Cronaca rimata, importa a Ferrara acute impressioni mantegnesche, che rielabora con lo spirito irrequieto e con gli smalti translucidi del colore. I suoi paesi sembrano tagliati nel cristallo, e le ossute figure (su cui si ribattono le vesti metalliche), con facce spesso contratte, hanno una coerenza estetica e una sofferenza morale che la rude e tortuosa individualità del maestro placa in opere ragguardevoli, come la fantastica e rilevata Allegoria (Londra, Galleria Nazionale), come la classica pala del Museo di Berlino e come la intarsiata Annunciazione (Ferrara, Duomo).

Studiolo di Belfiore, Calliope (1460)
Cosmé Tura (1430–1495)
Olio con tempera su tavola cm 116 x 71
National Gallery di Londra

FRANCESCO DEL COSSA (1436-1478) studia in patria i lavori di Piero della Francesca, e ne deriva alcuni caratteri morfologici, che si innestano nella plasticità del Mantegna. Lo stupendo colorito ferrarese si ritrova nel solenne San Girolamo (Ferrara, Pinacoteca) e nei vigorosi affreschi (predella della Pinacoteca Vaticana), per riprendere monumentalità di volumi nell’arido cromatismo della Madonna fra i SS. Petronio e Giovanni Evangelista (Bologna, Pinacoteca).

Pala dei Mercanti (1474)
Madonna in trono tra i santi Petronio e Giovanni evangelista
Francesco del Cossa (1436-1478)
Bologna, Pinacoteca Nazionale

ERCOLE DE’ ROBERTI (1450-1496), più signorile e misurato di Cosmé Tura e del Cossa, ingentilisce i lunghi ovali delle teste, assottiglia le manie raffina la sensibilità nella corrente di Giovanni Bellini. Un capolavoro è la  Pala di Santa Maria in Porto per la novità della composizione e per il trono ottagono che, sopra lo zoccolo di bassorilievi – fra colonnine di pietre preziose -, apre una bella marina. L’umanità d’Ercole ha qualche rincrudimento, ad esempio nello scarnificato San Giovanni del Museo di Berlino, ma il bellinismo vince ogni resistenza nella Madonna in trono fra i Santi Giorgio e Giovanni Battista (Londra, Galleria Nazionale), e modella con spirituale perspicuità e con sentimento soggettivo la Deposizione (Bologna, Pinacoteca), forse finita da Bastiano Filippi.

Pala di Santa Maria in Porto (1480)
Ercole de’ Roberti (1451 circa –1496)
Olio su tela cm 323 x 240
Pinacoteca di Brera, Milano

Se ne sta in disparte LORENZO COSTA (1460-1535), il più giovane pittore ferrarese di questo tempo. Egli impara l’arte dal Tura, ma, fin dal 1483, lavora nel distrutto palazzo Bentivoglio di Bologna, dove affresca la Madonna dei Bentivoglio (Chiesa di San Giacomo Maggiore), aggrappando la famiglia dei signori della città intorno al trono. I ricordi ferraresi sono indeboliti nella tecnica da una sgradevole formula fisionomica, e nei Trionfi, rappresentati di fronte, l’ingegnosità sostituisce la fantasia. Da questi inanimati spettacoli pittorici si sale alla più sciolta Madonna e Santi del San Petronio, con gli assistenti ancora un po’ freddi e rifiniti. Sullo stile del Costa, ormai decaduto dalla potenza della sua scuola, può l’esempio della pala londinese del De’ Roberti, specie per la Vergine e per il san Giovanni Evangelista della Madonna in trono e Santi (Bologna, San Giovanni in Monte), ed anche l’analogia con Francesco Francia comincia ad avvertirsi con caratteri perugineschi, e poi più spontanea.
La secchezza. delle figure dalle carni rossicce rende spesso meno pregevole il colorista, che nella Conversione di Valeriano (Bologna, Santa Cecilia) ci mostra un paese profondo nelle gamme dei verdi e nelle limpide gradazioni della luce, e che, nell’età provetta, oscilla, come chi è provveduto di seri studi, tra la finezza di Sant’Anna che insegna a leggere alla Vergine (Milano, Collezione Brivio) e le gelide allegorie (Il regno del dio Como (nel Louvre), con corpi mal costruiti e disarticolati.

L’altare della Madonna in trono (1492)
Lorenzo Costa (1460-1535)
Bologna, Basilica di San Petronio

Un timido ritratto femminile è ad Hampton Court, ma nel quadro del Castello Clary-Aldringen in Teplitz (Investitura di Federigo Il Gonzaga a capitano della Chiesa) il ferrarese si affatica con le ricerche plastiche e dinamiche, non accorgendosi di essere alieno per indole da tali soggetti fragorosi e complicati. Fra gli scolari di Lorenzo, merita citare ERCOLE GRANDI e GIOVANNI MARIA CHIODAROLO.

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