UMANESIMO E RINASCIMENTO (1400-1600) – Il metodo sperimentale

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Cogito, ergo sum – Il pensatore (1879–1889) Auguste Rodin
    

 IL PROBLEMA DEL METODO

Alla fine del Cinquecento il nuovo spirito e il nuovo pensiero erano ormai maturi. La scienza e la filosofia sapevano ormai quale fosse la loro natura e quale fosse il loro compito; si trattava ora di fornirle d’uno strumento appropriato ed efficace, di tracciare una via sicura. Sorgeva così il problema del metodo.

Come avviene sempre nei periodi di rinnovamento, si ebbe anche allora la tendenza a screditare, oltre l’oggetto della speculazione, anche il modo di filosofare del Medio Evo e a sopravvalutare, ammirandone i risultati già conseguiti, il libero esercizio della ragione e l’osservazione diretta delle cose.
La scienza della natura, entrata in campo fresca e risoluta, e già ricca, giovane com’era, di successi, pareva dovesse dare le nuove norme anche alla filosofia, che si attardava alquanto sulle vie del passato.
Ma da che cosa venivano la forza e la certezza al nuovo pensiero? Gli venivano dai dati di fatto dell’esperienza, che gli fornivano il contenuto positivo, oppure dal rigore matematico con cui la ragione ne faceva la sistemazione e la sintesi? E nel caso che esperienza e ragione vi concorressero entrambe, qual ne era il fattore prevalente? Qual era quello che dava al conoscere il carattere della necessità, proprio della scienza?  Empirismo, dunque, o razionalismo?
La questione del metodo includeva quella del conoscere. E la questione della conoscenza è sempre intimamente connessa con quella della realtà.

 LA SOLUZIONE –  FRANCESCO BACONE

 
Francesco Bacone (Francis Bacon)
Già per tutto il Cinquecento il problema del metodo era stato affrontato e si erano fatti tentativi di soluzione, poco riusciti. Una trattazione metodologica, che fosse veramente nuova ed esauriente, si attendeva ancora. Non fa eccezione, benchè sia notevole per ingegnosità, nemmeno il De Methodo investigandarum tradendarumque scientiarum del trentino Jacopo Aconcio, pubblicato già nel 1558 e allora tradotto in tutte le lingue. Si ebbero certamente valorosi precursori nei nostri scienziati, come Leonardo e Telesio; ma la formulazione delle leggi del metodo in modo esplicito e dottrinale è fatta da Bacone, da Galileo, da Cartesio.
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Francesco Bacone, nato a Londra nel 1561, fatto barone di Verulamio, fu uomo politico e filosofo. Come statista (durante il regno di Giacomo I Stuart) fu dapprima assai fortunato, ma poi, accusato di corruzione e di venalità, perdette ogni potere e fu condannato a una grave pena. Graziato dal re, si ritrasse a vita privata e riprese gli studi. Come filosofo, conseguì molta fama con le sue opere, De dignitate et augmentis scientiarum e Novum Organum, che dovevano essere seguite da altre quattro, per compiere una grande Instauratio magna scientiarum. Morì nel 1621.
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I filosofi inglesi si sono in generale sempre rivolti all’esperienza, piuttosto che alla speculazione metafisica. Nel Cinquecento e nel Seicento il progresso scientifico favorì questa tendenza, che ebbe una notevolissima espressione in Bacone. Questi non costruì un vero e proprio sistema filosofico nuovo, poichè si occupò soprattutto di analizzare e sostenere il metodo d’osservazione e d’induzione.
Non inventò la scienza sperimentale nè i suoi procedimenti, alcuni dei quali, come ho detto, erano già in uso, ma ne fece una trattazione compiuta e organica. Non si domandò che cosa l’uomo conosca, nè perchè conosca, ma come l’uomo conosca.
Insegnò che le cognizioni scientificamente valide non si derivano, nè da Aristotele nè da nessun’altra autorità tradizionale, ma dalla natura direttamente e convenientemente interrogata.
Bisogna fare appello alla realtà delle cose e alla sana ragione. Sgombrata la mente dai pregiudizi naturali e acquisiti (idola tribus, comuni a tutta la specie umana e dovuti a inganni provenienti dai sensi e dall’immaginazione; idola specus dovuti a difetti personali ; idola fori, dovuti alle relazioni sociali e alla imperfezione del linguaggio; idola theatri, dovuti ai libri e alle scuole), è necessario applicare il metodo empirico, induttivo, nella ricerca della verità e nella spiegazione della natura, con osservazioni molteplici e varie, affidandone i risultati alle tre tavole di presenza, di assenza e di grado.
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Nella tavola di presenza si notano fatti nei quali si trova una determinata qualità, per esempio, il calore; nella tavola di assenza si notano fatti nei quali essa non si trova; nella tavola dei gradi si notano fatti nei quali essa si trova in grado diverso. Così si potranno mettere in evidenza le condizioni necessarie e sufficienti del fenomeno calore.
Per due fasi quindi si passa: negativa (pars destruens) e positiva (pars construens). Intento ultimo è la determinazione delle cause dei fatti naturali e la formulazione delle loro leggi: cause e leggi, che sono l’essenza dei fatti medesimi.

INCREMENTO DELLE SCIENZE

Bacone dettava le leggi del metodo sperimentale in un tempo in cui il pensiero scientifico era già notevolmente maturo. La scienza aveva già avuto e continuava ad avere cultori illustri.
Ricordo solo alcuni nomi, fra i più famosi.

 

Leonardo – Autoritratto (1513 circa) Torino, Biblioteca Reale
Leonardo (Vinci 1452-1519), autore del Codex atlanticus e di molti altri scritti scientifici, fu genio enciclopedico, applicatore del metodo sperimentale un secolo prima di Galilei.
Per lui, la sapienza è figlia dell’esperienza, la quale consiste nell’osservazione dei fatti, nell’induzione e generalizzazione delle leggi in essi riscontrate, nell’esperimento che le comprovi, nell’applicazione delle matematiche per rappresentarli con precisione, nella deduzione di un principio da un altro.
Fu grande in ogni ramo della fisica, specialmente nella meccanica (idraulica, balistica, studi sull’aviazione).
Nicolò Copernico
Nicolò Copernico (Thorn in Polonia 1473-1543) fu l’autore del De revolutionibus orbium coelestium. Visse parecchi anni anche in Italia, ove studiò a Bologna, Padova e Ferrara. Rimise in onore il sistema eliocentrico, partendo dal principio della semplicità della natura e da quello della relatività.
Concepì l’universo come finito, limitato dal cielo delle stelle fisse, con centro il sole e con la terra rotante intorno ad esso e su se stessa. Per Copernico, tale teoria voleva essere un’ipotesi matematica per semplificare la spiegazione dei fenomeni astronomici.

Attaccata da Lutero e da Melantone, passò nei primi tempi inosservata ai cattolici; sostenuta, e integrata dal Bruno, dal Keplero e soprattutto da Galilei, acquistò credito, fu ritenuta infondata, contraria alla Bibbia e fu combattuta.

William Gilbert
William Gilbert (Colchester, 1544-1603) fu autore del De magnete magneticisque corporibus et de magno magnete tellure …  Ebbe lodi da Galilei, applicò il metodo sperimentale, studiò il magnetismo, sostenne la teoria di Copernico, ammettendo in più l’infinità dell’universo, studiò l’elettricità, ripigliando l’antico esperimento di Talete con lo strofinio dell’ambra e ripetendolo su altri corpi. Determinò i corpi capaci di elettrizzarsi (idioelettrici), inventò la prima macchina elettrica (elettroscopio); gettò le fondamenta della scienza dell’elettricità, usandone per primo il nome.
Giovanni Keplero
Giovanni Keplero (Weil der Stad nel Wurtemberg 1571 – Ratisbona 1630) scrisse L’Astronornia nova. Si occupò soprattutto di astronomia matematica, fu amico e ammiratore di Galilei, sostenne la tesi copernicana. Famose sono le leggi di Keplero sul movimento dei pianeti:
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1) I pianeti descrivono orbite ellittiche, di cui il sole occupa uno dei fuochi.
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2) Le aree descritte dai raggi vettori, che uniscono i pianeti ai sole, sono proporzionali ai tempi impiegati a descriverle
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3)  I quadrati dei tempi delle rivoluzioni planetarie sono proporzionali ai cubi degli assi maggiori delle corrispondenti ellissi.
L’Italia non fu certo estranea all’elaborazione della scienza sperimentale. Oltre Leonardo, al nome del quale posso aggiungere quello di un altro genio enciclopedico, Leon Battista Alberti  (1406-1472), ricordo che il Telesio fondava l’accademia scientifica cosentina a mezzo il Cinquecento e precorreva Bacone nell’uso dell’induzione, e che il grande Galileo Galilei era quasi contemporaneo del filosofo inglese.

GALILEO GALILEI 

LA QUESTIONE DEL SISTEMA TOLEMAICO  E DI QUELLO COPERNICANO

Galileo Galilei nacque a Pisa nel 1564. Fu professore a Pisa, a Padova, a Firenze. Sostenne la teoria eliocentrica copernicana, per cui fu censurato dal tribunale romano del Santo Ufficio. Morì nel 1642.
Galilei vide meglio di Bacone il vero carattere dei metodo induttivo e ne precisò i tre momenti dell’osservazione, dell’ipotesi e della verifica. Alla dottrina unì l’applicazione pratica; scoprì la legge della caduta dei gravi, i satelliti di Giove, le montuosità della luna, le macchie solari, le fasi di Venere, gli anelli di Saturno. A lui si deve, se non l’invenzione, almeno l’uso primo del telescopio.
La pratica continua dell’osservazione e le polemiche con gli aristotelici lo condussero a porre e a risolvere problemi d’indole più propriamente filosofica; come quello delle qualità dei corpi, al quale dava la medesima soluzione data da Democrito, distinguendo le qualità in primarie o oggettive e secondarie o soggettive: soluzione che da lui ripeteranno il Descartes e il Locke.
Il metodo galileiano è il miglior metodo scientifico, in cui si contemperano osservazione e ragionamento, induzione e deduzione.
Degli scritti di Galilei ricordo: Sidereus Nuncius…, Il Saggiatore…, Il Dialogo dei massimi sistemi …, i Discorsi su due scienze nuove e attinenti alla meccanica.
Galileo “sgombrava le vie del firmamento” al celebre scienziato inglese Isacco Newton, nato lo stesso anno della morte del Pisano e sostenitore ed applicatore come lui del metodo scientifico integrale.
Newton morì nel 1727 e la sua opera maggiore è: Principi di filosofia naturale.
La mentalità nuova e l’incremento della matematica, della fisica e dell’astronomia portarono nel Cinquecento a metodi più diretti e liberi di ricerca e alla formulazione di ipotesi, che permettessero una più soddisfacente spiegazione dei fenomeni della natura.
Contributo notevole fu dato anche dall’aumentata conoscenza del pensiero scientifico antico (presocratico ed ellenistico) e dall’elaborazione già fattane dagli Arabi. Discussioni vivaci e feconde si facevano fra tolemaici e averroisti, fra aristotelici e sperimentalisti. Manifestazioni furono il pensiero filosofico e critico del Rinascimento, la metodologia e la scienza del Cinquecento. Espressione tipica fu la questione dibattuta intorno al sistema tolemaico e a quello copernicano, provocata dalla teoria proposta dal Copernico.
Aristotelici, scolastici, teologi, in nome della tradizione, dei dati sensibili e dell’autorità filosofica (Aristotele) e religiosa (Bibbia), sostenevano la concezione geocentrica. Pochi scienziati novatori, come Galilei e Keplero, sostenevano la rinnovata concezione eliocentrica, come quella che dà dei rapporti di movimento fra sole e terra e gli altri pianeti una spiegazione più chiara ed esauriente.
Famosa opera relativa a questo dibattito è il Il Dialogo dei massimi sistemi del già rammentato Galilei.
Gli interlocutori sono tre: Simplicio, Salviati (che rappresenta Galilei) e Sagredo.
Galileo Galilei dimostra che la terra, come gli altri pianeti, è senza luce propria; che si muove; che il moto rotatorio della terra non scaglia lontano gli oggetti, perchè questi sono attratti verso il centro da una forza superiore a quella centrifuga; che l’aria non resiste nè percuote con violenza gli oggetti della terra che gira, perchè anch’essa partecipa al suo moto; che gli oggetti lanciati si muovono relativamente agli oggetti non lanciati, ma che anche questi si muovono con quelli e con la terra relativamente agli altri corpi celesti, ciò che implica una teoria di movimenti assoluti e relativi, di coesistenza, dipendenza e composizione dei movimenti.
Galilei mostra infine come il sistema tolemaico non spieghi vari fenomeni constatati nei rapporti di movimento degli astri, mentre il sistema copernicano li spiega. ( * )
Una soluzione intermedia fu quella dello svedese Tycho Brahe (1546-1601), che escogitò una complicata teoria fra geocentrica ed eliocentrica, per la quale i pianeti girerebbero intorno al sole e questo, con quelli, girerebbe in un anno intorno alla terra, immobile.

INFLUENZA DEL RINASCIMENTO ITALIANO NEL PROCESSO FORMATIVO DEL PENSIERO MODERNO

Quando si parla di umanesimo e di Rinascimento, si pensa subito alle lettere e alle arti. Indubbiamente esse trionfarono, soprattutto in Italia, e la rinascita letteraria e artistica italiana fu motivo ed esempio a quella delle altre nazioni. Ma come le lettere e le arti sono espressione della vita spirituale di un dato tempo, così questa è effetto di una speciale concezione della realtà, ossia d’un “pensiero” filosofico, vago e relativamente passivo nella coscienza comune, attivo e tendente alla piena consapevolezza nella coscienza dei dotti.
Gli umanisti che studiavano e riproducevano lo stile greco e latino, finivano con l’arrivare, attraverso le lingue, al pensiero degli antichi e a riviverlo. Anche se avevano un dichiarato intento linguistico, questo si tramutava, nelle loro stesse menti, in un mezzo per l’attuazione d’uno scopo filosofico.
A partire dal secolo XI lo spirito cristiano si era andato maturando, come la storia ci dimostra facendoci assistere al rapido e continuato risveglio in tutti i campi di attività: sociale, politico, giuridico, economico, filosofico, artistico. Era ovvio che da un tale accumulamento di energie si sprigionasse il Rinascimento; com’era naturale che, essendo stata l’Italia la protagonista di tutto ciò, per la maggiore sua romanità e cattolicità, si avesse ora in essa, prima e più che in altri Paesi, la pienezza della nuova vita culturale, destinata a suscitare, da noi e altrove, scienziati e artisti, invenzioni e scoperte; a muovere idee e popoli; a provocare rivolte e riscosse.
A dare all’Italia questo compito di prima elaborazione e di propulsione, altri fattori concorsero.
Le crociate fallirono al loro scopo di conquista duratura, ma servirono a temprare lo spirito combattivo dei cristiani per un comune ideale, quasi a pratica conferma della conseguita unità della fede; e servirono ancora a moltiplicare i rapporti con arabi e con bizantini, cioè con mondi culturali ricchi e diversi dal proprio; e servirono pure ad arricchire le nostre repubbliche, contribuendo a dare all’Italia quelle forze economico-sociali, che sono mezzi necessari all’incremento civile e culturale d’un popolo. Specialmente Costantinopoli e la Grecia erano ancora custodi delle tradizioni letterarie e filosofiche dell’antichità.
Ebbene, già nel 1439, in occasione del concilio di Firenze per l’unione delle Chiese, molti dotti greci e colti prelati ortodossi convennero in Italia e alcuni vi rimasero; fallì, in definitiva, il voluto scopo religioso, ma dall’importante convegno trasse giovamento la cultura. Abbiamo già visto che Firenze e altri centri culturali d’Italia divennero allora focolai di filosofie classiche, anche per effetto della caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi. L’Italia ridiventò, dal punto di vista letterario, artistico e filosofico, ciò che era stata duemila anni prima, cioè al tempo di Parmenide e di Pitagora. E fu una quarta volta maestra al mondo.
Non voglio dire che tutta la scienza di quel tempo fosse italiana, anche se Copernico e altri uomini d’oltralpe studiarono in Italia; anche allora la cultura era cosmopolita, come era realtà di diritto e di fatto l’universalismo cristiano. Ma si può ben concludere, dopo quanto s’è detto, che dal Rinascimento italiano è partito e ha tratto i suoi “motivi” il processo formativo del pensiero moderno.
Il naturalismo nella scienza, il monismo nella filosofia, coi loro derivati, quali lo sperimentalismo, l’empirismo, l’immanentismo, il positivismo e l’idealismo, sbocciarono dal nostro Rinascimento; e se costituiscono, come si vuole, le linee maestre del pensiero moderno, è indubbio che la traccia di tali linee maestre si trova nel nostro Rinascimento.
Il genio universale di Leonardo basterebbe da solo a confermarlo. Con lui siamo nel primo fiore del Rinascimento. Nel periodo maturo ecco un altro precursore gigantesco, Galileo Galilei. E, tra loro, il Pomponazzi insegna a distinguere ragione e fede a tanti che lo seguiranno, non escluso il Descartes; Andrea Cesalpino precorre lo Harwey, il Descartes, lo Spinoza; Bernardino Telesio fonda la prima accademia scientifica moderna e influisce notevolmente, coi suoi scritti, su Francesco Bacone; Giordano Bruno prepara il monismo sostanzialistico dello Spinoza, la monadologia del Leibniz, l’evoluzionismo panlogico
dello Hegel; il Campanella spiega il sorgere del Descartes e inizia tanto lo psicologismo ontologico, maturato poi nel famoso Cogito, quanto l’idealismo empirico della scuola inglese.
È vero che i nostri filosofi del Rinascimento non presentano generalmente un chiaro e, per così dire, filtrato sistema. Nè poteva essere diversamente; rapida era stata l’evoluzione del nuovo pensiero. Ma questa loro turgida e alle volte confusa complessità, non priva nemmeno di contraddizioni e che d’altronde si limita al campo filosofico, è segno di spontaneità, originalità, ricchezza di idee feconde.
Non dobbiamo, dunque, cercare nelle loro dottrine quello svolgimento lineare nè quella sicurezza riflessa e vigilata, che troviamo nei grandi “sistematici” della filosofia europea immediatamente successivi. Metto tuttavia in rilievo la reale aderenza dei nostri filosofi del Rinascimento allo spirito vivo del loro tempo in Italia, mentre la filosofia dotta successiva si andò sempre più. separando dalla vita vissuta, e quando nel Settecento e nell’Ottocento parve nuovamente costituire l’espressione della cultura generale, dovette acconciarsi a divenire quella facile dottrina che si chiamò, prima, razionalismo sensistico e poi positivismo.
Quanto a noi Italiani, abbiamo naturalmente ricevuto, dopo il Rinascimento, gli influssi di ritorno, in tutti i campi: influssi che, se abbiamo accolti, non si può dire abbiamo veramente assimilati. Non abbiamo fatto nostro il protestantesimo tedesco nè l’inquisizione spagnola, non molto a fondo la rivoluzione francese e, per lo più, in quanto si connetteva con aspetti del nostro spirito nazionale e civile, risvegliatosi nel Settecento. Quanto al razionalismo puro, contro di esso si levò, fin dal primo Settecento, il Vico, e contro il sensismo e, insieme, contro l’idealismo assoluto di marca straniera si levò, sul primo Ottocento, Antonio Rosmini.
* ) Il Galilei fu fedele alla religione, non meno che alla scienza; atomista in fisica, fu spiritualista in filosofia; indagatore e scopritore delle leggi meccaniche della natura e assertore delle cause efficienti e finali e della Causa prima. – A proposito del noto processo e della condanna di Galileo, riporterò quanto ne scrissi altrove:
“Nel 1616 il Galilei fu ammonito dal Santo Uffizio (che proprio allora aveva emanato un decreto di censura della teoria copernicana) ad abbandonarla. Promise di farlo. Nel 1632 credette di poterne trattare imparzialmente, presentandone il pro e il contro; in realtà la sosteneva. Lo fece nel celebre Dialogo. Nel 1633, quantunque la pubblicazione del Dialogo fosse avvenuta con licenza dei revisori ecclesiastici, si ebbe il processo. Galileo fini per confessare di aver avuto l’intenzione di sostenere la teoria copernicana e firmò una formula d’abiura di essa, come eretica. Fu condannato. – Nella complessità di elementi e nel sistema penale del tempo va cercata la spiegazione di giudizi contrastanti che si sono sempre dati sul processo galileiano, celebre per le parti in causa, per la questione scientifica ché ne stava a fondamento e per una più alta e generale questione di principio che implicava. – La condanna al carcere perpetuo, fu quasi subito commutata in quella di residenza obbligata. Il Galilei rimase per breve tempo nella villa Medici a Roma, e successivamente a Siena nel palazzo dell’arcivescovo di quella città, poi, sempre dedito agli studi, e fino alla morte, nella propria villa di Arcetri, presso Firenze.
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IL PENSIERO FILOSOFICO E SCIENTIFICO NEL CINQUECENTO

GIORDANO BRUNO – Vita e opere

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TOMMASO CAMPANELLA – Filosofia della natura e teoria della scienza

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