Ritratto di Francesco De Sanctis, opera di Saverio Altamura, 1890
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FILOSOFIA E SENSO COMUNE
OGNUNO PER SÉ, DIO PER TUTTI
Nella sua “Storia della letteratura italiana” Francesco Saverio de Sanctis (Morra Irpina, 28 marzo 1817 – Napoli, 29 dicembre 1883) dà, com’è noto, un giudizio severamente critico della morale del Guicciardini, o meglio del “tipo d’uomo” che lo storico fiorentino in parte incarnava e in parte additava come modello da seguire. “Francesco Guicciardini – egli scrive – ancorché di pochi anni più giovane di Machiavelli, già non sembra della stessa generazione. Senti in lui il precursore di una generazione più fiacca e più corrotta della quale egli ha scritto il vangelo nei suoi Ricordi“.
Francesco Guicciardini (Firenze, 6 marzo 1483 – Arcetri, 22 maggio 1540) ha le stesse aspirazioni del Machiavelli…: “una libertà bene ordinata, l’indipendenza e l’autonomia delle nazioni, l’affrancamento del laicato”: senonché, aggiunge il De Sanctis, per lui, altro è opinare, altro è operare. Il consiglio che egli ti dà è: pensa pure come preferisci, ma fa come ti torna utile; la regola della vita deve essere infatti 1’interesse proprio, il particulare.
“Guicciardini biasima l’ambizione, l’avarizia, la mollizie dei preti e il dominio temporale ecclesiastico, ama Martin Lutero… ma per il suo particulare è necessitato ad amare la grandezza dei pontefici e a servire i preti e il dominio temporale”. Insomma: il dio del Guicciardini è il suo particolare, ed è un dio non mono assorbente che il Dio- degli asceti o lo Stato del Machiavelli. Tutti gli ideali scompariscono. Ogni vincolo religioso, morale, politico che tiene insieme un popolo è spezzato… Questo (per il Guicciardini) non è più corruzione contro la quale si gridi: è salvezza, è dottrina predicata e inculcata, è l’arte della vita”.
Sulla scena del mondo non rimane dunque che l’individuo, indifferente o ostile agli altri individui, squallidamente solo nella sua presunzione di essere tutto e di valere tutto. Bisogna però intendersi sulla natura specifica di questo individualismo quello che genericamente si definisce individualismo è infatti una tendenza o direzione spirituale tutt’altro che univoca. C’è l’individualismo “eroico”, aristocratico, “superomista”, legato ormai per tradizione al nome di Nietzsche: c’é l’individualismo intimista, introvertito, ripiegato su sé stesso di chi si isola dal mondo e dagli altri uomini coltivando – a vuoto – la propria problematica interiore: e c`é infine l’individualismo tutt’altro che romantico, gretto, opaco, privo di valori, di chi erige una fitta siepe attorno all`orticello delle proprie faccende personali e bada solo a che esse vadano nel più soddisfacente dei modi.
Se appena ci volgiamo intorno, ci accorgiamo che “l’uomo del Guicciardini” è stato tirato, per cosi dire, in un gran numero di esemplari, spesso assai peggiori dell’originale. Persone che aspirano solo a coltivare il proprio “particolare” piene di fastidio, di scetticismo o di timore verso tutto ciò che supera le dimensioni e la portata del loro privato nucleo di egoismo, ne incontriamo ogni giorno e ad ogni passo. Sono persone apparentemente rispettabili e molto “ammodo” e disdegnano tutto ciò che sa di attività e di interesse pubblico, che tendono a ridurre al minimo, ad allentare ad assottigliare il più possibile i legami che pur li uniscono agli altri. I grandi movimenti storici che mettono in fermento masse di uomini, i grandi ideali, le passioni collettive, li lasciano indifferenti o suscitano le loro grossolane ironie. Non hanno e non vogliono avere idee generali, se non quelle che esprimano o teorizzino o servano a giustificare il loro atteggiamento. La massima che essi citano con maggiore frequenza e in cui credono che sia spremuta tutta la saggezza del mondo, è presto formulata: “Ognuno per sé, Dio per tutti”, dove viene enunciata una chiara E significativa divisione dei compiti: io penso e bado a me, al mio benessere, al mio successo, alla mia tranquillità; a Dio invece l’incarico di occuparsi di tutti quanti assieme… Le responsabilità dell’uomo, che è veramente tale in quanto partecipi con attivo impegno alla vicenda universale dell’umanità, vengono cosi scaricate con estrema disinvoltura sulle spalle del buon Dio.
Peccheremmo però di astrattezza se considerassimo questo tipo di comportamento indipendentemente dalle concrete situazioni .storiche e sociali nelle quali esso trova affermazione e dalle quali ha tratto e trae alimento. Se il “guicciardinismo”, per esempio. è stato per secoli una delle note peculiari delle spirito pubblico italiano, ciò va posto in stretta relazione con le caratteristiche e le vicende della storia del nostro paese, con la ritardata unificazione nazionale; con la mancata formazione di uno Stato che poggiando su una larga base popolare, sapesse fondere tutte le energie nazionali in un’opera costruttiva nell’interesse collettivo.
Certo qualunquismo cronico, certa amara sfiducia verso la politica che sarebbe sempre “cosa sporca”, certo costume individualistico e scetticheggiante che porta ad una accettazione mezzo ironica e mezzo rassegnata dello statu quo, tutti atteggiamenti ancora diffusi in non esigui strati della popolazione italiana, trovano almeno in parte la loro spiegazione in quel tradizionale distacco tra classe dirigente e popolo che è stato una delle principali “palle al piede” della nostra storia.
Ma questo è un solo aspetto della questione. e un aspetto tutt’altro che essenziale. In realtà. se si vuole identificare il tipico terreno sociale in cui alligna lo spirito del “particolare”, bisogna volgersi alla società borghese e più specificamente ai ceti borghesi. È qui che l’individualismo raggiunge il suo culmine, la sua espressione più compiuta e storicamente perfetta.
L’uomo “borghese” è’ l’individuo che, perseguendo come scopo supremo il proprio “particolare”, sopraffà o viene sopraffatto nella spietata competizione che caratterizza la società capitalistica. In questa società ciascuno si trova, almeno potenzialmente, in urto, in concorrenza con l’altro e viene indotto a credere – ma è credenza illusoria – di costituire una unità a sé autonoma e indipendente, avente principio e fine in se stessa. Si consideri inoltre che in regime capitalistico, come osserva Marx, i rapporti sociali tra uomo e uomo, tra produttore e produttore, si effettuano attraverso rapporti tra cose (le merci). Le relazioni intersoggettive assumono cosi l’aspetto, la maschera di relazioni tra enti “oggettivi”. La socialità dell’uomo, la sua appartenenza ad un sistema di organici rapporti sociali, vengono quindi oscurate, messe in ombra, considerate inessenziali, fortuite, esteriori, e ne viene così alimentato il mito dell’individuo-atomo, coesistente con gli altri ma da essi sostanzialmente separato.
Il fatto che lo spirito del “particolare” sia un aspetto tipico dello spirito borghese, non esclude che esso sia presente in una misura più o meno rilevante. anche in quel gruppo sociale che si pone in posizione antitetica rispetto alla borghesia e che ha il compito storico di dar vita ad una società che sia invece animata da uno spirito di fraterna e concreta cooperazione umana. Il lavoratore che non aderisce ad uno sciopero per evitare il danno economico che ne deriva, o per non incorrere in rappresaglie padronali, è un cultore del “particolare” nelle file della classe operaia. Se egli salvaguarda così il suo tornaconto immediato, tradisce però gli interessi generali della sua classe e quindi, indirettamente anche i suoi. La sua miopia politica e la sua angustia morale non lo portano soltanto ad abdicare alla funzione rivoluzionaria che spetta ai lavoratore nel mondo moderno ma finiscono prima o poi col ritorcersi contro di lui anche sul piano degli interessi quotidiani.
Il cultore assiduo del proprio “particolare” si ritiene di solito un astuto, un furbo, uno che sa mettere nel sacco il mondo intero. La strizzatina d’occhio e la sfregatina di mani sono fra i suoi gesti più abituali. In realtà invece è un povero ingenuo, anche se neppure lontanamente lo sospetta. Avviene sempre, infatti, che il mondo, la storia, le classi si prendano presto o tardi la rivincita su colui che aveva creduto di poter far coincidere l’orizzonte dell’universo con la cerchia dei propri particolari interessi. E allora sono scossoni brutali, amari risvegli. Guerre, rivoluzioni, moti sismici del sottosuolo sociale, abbattono di colpo e con estrema facilità la siepe del suo orticello e gli entrano in casa; lo mettono con le spalle al muro, sbalordito e indifeso.
È a tutti familiare, per fare un solo esempio, la figura dei piccolo o medio-borghese italiano del 1938-39, non veramente fascista ma tanto meno antifascista, tesserato per opportunità o per opportunismo, che plaudiva al regime quando l’opera di questo sembrava recargli un vantaggio personale, che brontolava nel caso opposto, sempre però sostanzialmente estraneo ad un interesse, ad una preoccupazione, ad una aspirazione che trascendesse il suo “particolare”. A furia di badare solo a sé, di infischiarsi della sorte comune, di lasciare al Signore l’incarico di pensarci, il nostro benpensante ha contribuito a preparare una catastrofe di cui anch’egli ha dovuto subire le dure conseguenze.
Il che vuol dire che (sapendo guardare le cose a distanza e avendo occhio per le scadenze più lontane), il consiglio suggerito dalla massima: “Ognuno per sé, Dio per tutti”, si rivela davvero un cattivo consiglio, anche a voler rimanere sul piano di una semplice considerazione utilitaristica.
Francesco Guicciardini
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IL PENSIERO FILOSOFICO E SCIENTIFICO NEL CINQUECENTO
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SAGGIO SULL’INTELLETTO UMANO – John Locke
SULL’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA – Pietro Pomponazzi
FILOSOFIA E SENSO COMUNE – Giuseppe de Sanctis
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CULTURA E POLITICA IN MACHIAVELLI – IL PRINCIPE
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Gramsci e Machiavelli – Quaderni del carcere – Il moderno Principe
UMANESIMO E RINASCIMENTO (1400-1600) – La filosofia del Rinascimento
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SVILUPPO DELL’EMPIRISMO – GEORGE BERKELEY