1 – LA VERGINE DELLE ROCCE – Leonardo da Vinci


LA VERGINE DELLE ROCCE (1483-1486)
Leonardo da Vinci
Museo del Louvre a Parigi
Olio su tavola (trasportato su tela) cm 199 × 122
Il primo documento che si riferisce alla presenza di Leonardo a Milano è il contratto per l’esecuzione della Vergine delle rocce, e risale all’aprile del 1483. La realizzazione di questo dipinto fu commissionata dalla Confraternita di Santa Maria della Concezione e l’incarico non riguardava soltanto Leonardo, ma anche i fratelli Ambrogio ed Evangelista De Predis. L’opera constava di più pannelli dipinti, da inserire all’interno dell’articolata struttura di un altare ligneo, decorato e scolpito, già predisposto da Giacomo del Maino. L’intero complesso alternava, dunque, pitture e sculture, ed era destinato alla Cappella della Confraternita nella chiesa di San Francesco Grande a Milano, oggi distrutta.

Insieme a Leonardo, avrebbero dunque lavorato Evangelista De Predis, per rifinire e decorare l’altare ligneo, mentre il fratello Ambrogio avrebbe dipinto gli otto angeli cantori e suonatori previsti, quattro per parte, nei pannelli laterali. A Leonardo sarebbe invece spettato l’elemento centrale in cui si richiedeva di figurare una “Nostra Donna”, cioè la Vergine, a celebrazione del dogma dell’Immacolata Concezione.
Dell’opera realizzata da Leonardo, nota come la Vergine delle rocce, esistono due versioni, una al Louvre di Parigi e l’altra alla National Gallery di Londra (vedi immagine sotto), identiche per dimensioni ma che presentano significative differenze compositive e stilistiche.
Il dipinto del Louvre, originariamente su tavola ma trasportato su tela nell’Ottocento, costituisce la prima versione che è l’unica interamente autografa e che risale stilisticamente, dimostrando echi della precedente esperienza fiorentina, agli anni Ottanta del Quattrocento.
Leonardo concepisce una scena ricca di complesse implicazioni simboliche, a cominciare dall’ambientazione in un paesaggio roccioso, attraversato da corsi d’acqua che si perdono nella distanza. In questo scenario, creato dalle stratificazioni geologiche in cui le figure sono immerse, circondate da una vegetazione rigogliosa, la cavità oscura della grotta si schiude a suggerire l’idea del mistero della natura e dell’origine della vita.
L’osservatore è chiamato direttamente all’interno della composizione, introdotto nella scena dall’arcangelo Gabriele, sulla destra, che gli rivolge uno sguardo eloquente ed enigmatico allo stesso tempo, unito al gesto della mano che indica il san Giovannino mentre, con l’altra mano, sostiene il Gesù bambino.
Per definire la testa dell’angelo, Leonardo fa riferimento a un disegno, conservato a Torino, in cui fissa il volto, e lo sguardo suggestivo diretto all’osservatore, di una giovane che somiglia a Cecilia Gallerani (La dama con l’ermellino).
La disposizione piramidale stringe le quattro figure in uno scambio serrato di gesti e di sguardi: il vertice è costituito dalla Vergine che con la mano alzata, quasi in un atto solenne, rivolge il palmo aperto verso il Bambino, seduto in basso in primo piano. La mano dell’angelo si colloca esattamente in questo spazio, tra quella della Vergine e il Bambino, introducendo una direttrice orizzontale come a creare il disegno invisibile di una croce.
II Gesù bambino indirizza il suo gesto di benedizione al san Giovannino inginocchiato con le mani giunte. II cerchio si chiude con l’ampio movimento del braccio della Vergine che si estende a includere il san Giovannino e apre il mantello per rivelare la superficie illuminata della fodera interna.
Le figure emergono dall’oscurità in virtù della luce che ha il suo punto di provenienza in alto a sinistra. Lo stratagemma che consiste nel collocare le figure sulla soglia di uno spazio in ombra, in questo caso la grotta, illuminandole quindi dall’alto, permette a Leonardo di verificare un fenomeno ottico che aveva già sperimentato in piccolo nella Madonna Benois (1478 circa).
Trasposto qui allo scenario maestoso delle rocce, questo tipo di condizione accresce l’intensità sia delle luci che delle ombre: si determina un fenomeno che Leonardo definisce nella sua teoria “aumentazione d’ombre e di lumi”, ovvero il contrasto. Per effetto dell’illuminazione estremamente contrastata si annullano quasi del tutto i mezzi toni, cioè i passaggi intermedi fra luci e ombre, per cui le parti illuminate non hanno sfumature d’ombra mentre nelle ombre non si distinguono riflessi luminosi chiari.
Il fenomeno è teorizzato così da Leonardo stesso: “per la quale aumentazione d’ombre e di lumi ‘l viso ha gran rilievo, e nella parte alluminata l’ombre quasi insensibili, e nella parte ombrosa li lumi quasi insensibili”.
Questo è evidente nelle figure dove la luce si ferma sulle superfici rivolte verso l’alto, e lascia avvolti nell’ombra, per la parte centrale, i corpi sia della Vergine che del san Giovannino, la schiena del Bambino, come anche la mano sinistra e il piede destro dell’angelo, appena percepibili nella semioscurità.
Sullo sfondo quasi monocromatico, il contrasto tra zone chiare e zone scure avviene in base alla distanza, con le sagome scure e nette delle rocce della grotta in un confronto ravvicinato, quasi un gioco di incastri, con i picchi chiari dai contorni indefiniti delle montagne lontane. Qui Leonardo restituisce il fenomeno dell’aria umida, interposta fra l’occhio e il paesaggio, che genera una visione sfuocata.
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LA VERGINE DELLE ROCCE (1491-1499 e 1506-1508)
Leonardo da Vinci (1483-1486 circa)
National Gallery, Londra
Olio su tavola cm 189,5 x 120
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